Gm – Giovani Marmotte

Era il marzo del 1995 e nelle edicole usciva il secondo numero di una rivista Disney che aveva come protagoniste le Giovani Marmotte, ovvero Qui, Quo, Qua, il Gran Mogol e altri personaggi creati apposta per la serie.
Il prezzo era di 4000 lire. Storie inedite, storie già pubblicate, e rubriche interessanti, in linea con i celebri manuali delle Giovani Marmotte che ormai erano un classico: c’era la spiegazione di come costruire un riparo con rami e foglie, o come osservare la crescita delle piante a partire da semi depositati sull’ovatta bagnata.
Una delle rubriche lanciava un’invenzione interessante: un codice segreto per comunicare tra Giovani Marmotte.
Ad ogni lettera dell’alfabeto veniva associato il disegno di un oggetto che aveva la stessa iniziale: a – arco; b – bosco, c – canoa; d – daino; e così via. Il disegno veniva stilizzato in due passaggi. Si otteneva così la lettera dell’alfabeto segreto. L’articolo era firmato col simbolo dell’erba, puntato, e con quello della penna. E.P. Che poteva essere la stessa direttrice della rivista, Elisa Penna.


La cosa interessante è che l’alfabeto entrò effettivamente in uso. I ragazzini scrivevano lettere al giornale usando quel codice, e queste venivano pubblicate!


Strano allora che sia caduto tutto nel dimenticatoio. Cercando su internet non sono riuscito a trovare nessun riferimento. Nè sui siti amatoriali né su quelli ufficiali. Possibile che quella generazione non ne conservi nessun ricordo?
È molto più comune invece trovare riferimenti ad un altro codice marmottesco, contenuto nel primo manuale delle Giovani Marmotte, quello degli anni 60.
È realizzato in maniera molto meno fantasiosa: si inseriscono le lettere in una serie di schemi (quello del tris, o una croce di sant'Andrea, con punti o senza); dopodiché, per codificare il messaggio, si trascrive solo la parte dello schema che riguarda la lettera in questione.
Il Manuale lo presentava come "codice segreto dei Dada Urca", riferito ad una fittizia popolazione marziana. Wikipedia invece lo chiama codice pigpen, in uso dai massoni fin dal Settecento. Su una lapide settecentesca di fronte ad una chiesa nei pressi di Wall Street a New York, c’è una iscrizione in pigpen.
Ovviamente un font per scrivere in pigpen è già stato creato: si scarica gratuitamente su Dafont.
Uno per il cifrario della rivista invece non c’è ancora.
Il primo, chiaramente, è diffuso a livello internazionale, il secondo era soltanto per il pubblico italiano. In altre lingue, le parole dei vari simboli avrebbero iniziali diverse.
Al giorno d’oggi un codice del genere ha meno fascino. Abituati a scrivere al computer, per cui basta cambiare font per convertire un testo e renderlo leggibile, quella forma di crittografia non avrebbe senso. Ma in quell’epoca in cui le lettere si scrivevano a mano, solo chi aveva memorizzato la tabella era in grado di decifrarle. Il legame con la rivista era così stretto che era stato realizzato un apposito normografo per disegnare le lettere con le proporzioni giuste, che veniva regalato a chi si abbonava.


In quello raffigurato sull'illustrazione mancano due lettere: la u e la q.
Sulla rivista si specificava che le lettere straniere, così come la punteggiatura, rimanevano invariate.

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