Lega tipografica

Normalmente parlando di caratteri in metallo si dice che sono fatti di piombo, mentre in realtà sono in una lega a base di piombo della quale fanno parte anche altri due metalli: stagno e antimonio.

Alla “lega tipografica” è dedicato un articolo di Wikipedia in italiano, anche se non vengono fornite le proporzioni.

Più precisa la versione inglese dell’articolo, che dice che il piombo può essere tra il 50 e l’86%, l’antimonio tra l’11 e il 30%, lo stagno tra il 3 e il 20%.

L’articolo in italiano spiega perché non si usa piombo puro: anche se il metallo è facile a fondersi, duttile e compatto, perde facilmente la forma e non permette di ottenere oggetti di grande precisione.

L’antimonio aggiunge alla lega la durezza che garantisce la resistenza dell’oggetto nel tempo. Viene detto “regolo”.

Il suo problema è che tende a restringersi col calore, rendendo il composto instabile durante la lavorazione. Per compensare questo effetto, viene aggiunto dello stagno che invece si dilata col calore. La sua funzione è quella di antiossidante e amalgamante. Aumenta la fluidità della lega fusa, che così aderisce meglio alla forma.

In Italia lo stagno era già usato nel sedicesimo secolo, quando in Francia ancora non era preso in considerazione, anche perché raro e costoso.

Il piombo veniva fatto fondere in una pentola di ghisa, l’antimonio in un crogiolo di terracotta.

Le impurità venivano tolte con una schiumarola, prima di filtrare la lega e versarla in un recipiente detto cassetta in cui si solidificava formando i pani di lega tipografica.

Che poi dovevano essere fusi di nuovo per ottenere il liquido da versare nella forma con la matrice per produrre il singolo carattere tipografico.

L’articolo di Wikipedia fornisce tutta la terminologia, e mostra anche un’incisione settecentesca in cui si vedono alcuni strumenti in uso nelle fonderie all’epoca.

Le proporzioni dei vari metalli variano a seconda se bisogna produrre caratteri individuali, righe intere, o intere lastre per la stereotipia, dice Wikipedia in inglese.

Accanto all’articolo c’è un’illustrazione di fine Seicento che mostra le attività in una fonderia tedesca.

Tra il Quattrocento e l’Ottocento la produzione di caratteri era un’attività artigianale, in cui tutte le operazioni venivano fatte a mano. Dopo la rivoluzione industriale vennero introdotti numerosi automatismi. Nel Novecento una fonderia era uno stabilimento industriale pieno di macchinari che si usavano per ingrandire e rimpicciolire i disegni, incidere i punzoni, batterli sulle matrici, produrre i caratteri. La fusione dei caratteri veri e propri venne incorporata nelle attività di composizione del testo. Le tipografie acquistavano macchine monotype, linotype e simili, procurandosi dalle fonderie semplicemente le matrici da caricarci dentro. I caratteri venivano fusi mano mano che il tipografo digitava il testo su una tastiera.

Al giorno d’oggi nuovi metodi hanno soppiantato la rilievografia, per cui non si producono quasi più caratteri mobili, al massimo solo per applicazioni particolari.

Nella stampa offset il testo e le immagini della pagina da stampare vengono trasferiti su una lastra di un materiale flessibile, tipo alluminio, già pronta. Quindi anche nella stampa industriale non si vede più del metallo fuso, né piombo né altro.

Gutenberg non ha lasciato nessuno scritto in cui spiegava come lavorava, per cui si è speculato a lungo su quali materiali utilizzasse per i suoi punzoni, le sue matrici e i suoi caratteri.

L’articolo di Wikipedia in inglese è dettagliatissimo, e ci mette anche una tabella con le proporzioni esatte per ciascun uso. Ad esempio nelle linotype la lega usata aveva 86% di piombo, 11% di antimonio e 3% di stagno.

I caratteri per la composizione a mano avevano poco piombo, 54%, e maggiori quantità di antimonio, 28% e stagno, 18%, e talvolta anche un po’ di rame.

Il rame induriva il metallo, ma nelle macchine monotype lasciava dei residui difficili da pulire che alla lunga bloccavano completamente l’apparecchiatura.

Altri metalli che hanno controindicazioni negli usi tipografici sono zinco e alluminio, magnesio e ferro.

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