Che font usa Einaudi?

Una trattazione su quali sono i font usati dagli editori italiani per i libri di letteratura praticamente sul web non c’è. C’è un articolo di qualche anno fa che nel titolo suggeriva che “tutti” i libri italiani sono scritti in Garamond, o meglio nel Garamond di Simoncini. Una affermazione un po’ drastica, e in effetti nell’articolo si dice anche qualcos’altro (il Palatino usato dalla Mondadori), ma comunque si tratta di una semplificazione: è facile dire Garamond; di versioni ce ne sono a bizzeffe. Ed è facile pure Simoncini Garamond: ma digitalizzato da chi? Come? Quando? Non basta inserire la foto di una pagina in un computer per ottenere un font bello e pronto, come sa chi ha provato a digitalizzare un font esistente. E qui stiamo parlando di un tipo di carattere disegnato negli anni 50, col vecchio sistema dei punzoni, delle matrici, dei pantografi, e che per forza di cose è stato trasformato in un font digitale solo in un secondo momento.
C’è un articolo sul sito Hello.gustomela.net, datato 2012 che cerca di fare luce sulla questione, attingendo alle discussioni che sono nate sui forum esteri, in cui si disquisisce sulle differenze minime: Granjon, Estienne, Simoncini Garamond, ma derivato da cosa?...
Il sito concludeva che si trattava di un Einaudi Garamond, che è una forma di Simoncini Garamond che però non ha nulla a che vedere con i vari Simoncini distribuiti da Adobe, Linotype e Urw, e che derivava da un Estienne disegnato dallo stesso autore del Granjon. Un po’ di confusione? Troppi nomi insoliti? Il guaio è che servirebbero un po’ di foto, di raffronti, di specimen, ma il blog si limita a fornire i link necessari.
Il tipo di carattere sarebbe uno dei primi ad essere ideati e sviluppati in ottica strettamente editoriale (insieme al Pastonchi di Mondadori, che se non sbaglio è di molto precedente); gli anni di lavoro furono due, tra il 56 e il 58. La versione digitale fu curata da Apple all’inizio degli anni 90. “I pochi selezionatissimi possessori del font assicurano che l’aderenza del digitale ai caratteri in metallo è di rara accuratezza, un capolavoro”, dice il sito. Che conclude con una polemica: “Peccato oggi ci pubblichino gli scarti di Drive In”. In effetti l’articolo era iniziato con un’altra polemica: quella sull’uso di certi accenti da parte di Einaudi, che alcuni considerano scorretto (ma non tutti).
Identifont non conosce l’Estienne (o meglio, ne conosce un altro che non c’entra niente), ma conosce il Granjon. Provando a confrontarlo col Simoncini Garamond (della Linotype) si notano minime differenze. Non tanto quelle elencate dal sistema di schedatura del sito, secondo cui le due M avrebbero una concezione diversa mentre sono pressoché identiche. Invece si nota la diversa forma della C (nel Granjon le punte sono più slanciate in avanti) e delle grazie di E ed F (anche qui, slanciate in avanti nel secondo). Altre differenze si notano di meno, sempre relative alle grazie anziché alla concezione della lettera. Forse quella che potrebbe risultare più evidente è quella che riguarda la T: il Simoncini Garamond è famoso per il fatto di avere le grazie inclinate nella stessa direzione, mentre nel Granjon la grazia di destra è pressoché verticale.
La Q in entrambi i casi ha una coda che non si estende oltre il limite destro della lettera. Anche l’Estienne dovrebbe avere avuto una Q del genere, a quanto si vede in uno specimen pubblicato nell’articolo sopra, dove però era prevista anche una versione a coda lunga che sottolineava la u successiva.

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