Il Cifrario dei Templari, il Pigpen, i Dada Urka
Il sistema colpisce l’attenzione per via del fatto che segue uno schema: ad ogni lettera non corrispondono simboli arbitrari, ma simboli derivanti da un percorso ben preciso all’interno della croce. Percorso che comunque non è regolare: mentre le prime quattro lettere e le ultime quattro di ogni serie procedono in senso orario, le altre seguono l’ordine destra-sinistra-basso-alto.
Sul web ho trovato la scannerizzazione di una stampa d’epoca che spiega il sistema, anche se non viene specificato a che anno si riferisce. Lo stesso sito parla di usi di questo cifrario attorno al tredicesimo secolo, ma non ho trovato conferme.
Questo sistema ricorda un altro cifrario più celebre, quello chiamato Pigpen. In uso tra i massoni, viene fatto risalire ad antica conoscenza rabbinica, ai tempi delle crociate, alla tradizione cabalistica, ai Rosacroce eccetera.
Su Wikipedia in inglese il Cifrario Pigpen ha una voce a sé, mentre quello dei templari merita soltanto un paragrafo in coda all’articolo alla voce Varianti.
Dal punto di vista della complessità di decifrazione il cifrario non offre oggi nessuna sicurezza, visto che a lettera uguale corrisponde simbolo uguale. Come nei semplici giochetti che si trovano sulle riviste di enigmistica (talvolta coi numeri al posto delle lettere). Non a caso è un sistema che viene insegnato ai bambini. Sul Manuale delle Giovani Marmotte negli anni Ottanta venne pubblicato l’alfabeto segreto dei Dada Urka (popolazione marziana con cui i paperi Disney sarebbero venuti a contatto) che non è altro che una variante dell’alfabeto Pigpen. Non proprio la stessa cosa, in effetti: mentre nel pigpen viene alternata la griglia del tris alla croce di Sant’Andrea, prima senza puntini e poi con i puntini, l’alfabeto dei Dada Urka è composto soltanto con le parti dello schema del tris, ripetute tre volte: senza puntino, col puntino e con due puntini. Visto che questo dà 9x3=27 combinazioni e le lettere sono soltanto 26, resta una combinazione libera. Quale? Difficile dirlo ad occhio, perché alle giovani marmotte non è stato dato lo schema di base, ma solo la tabella con le corrispondenze delle singole lettere. Inoltre non è stato seguito l’ordine del pigpen: si parte con l’angolo in alto a destra, per la A senza punto, per la B con un punto e per la C con due punti; le altre tre lettere si formano con l’angolo superiore sinistro; si passa all’inferiore sinistro, all’inferiore destro, al superiore centrale, al centrale sinistro e al centrale inferiore. La parte finale è irregolare: la V è il laterale destro con punto, seguono tre lettere col quadratino centrale, infine la Z è il laterale destro vuoto. Resta non assegnato il laterale destro con doppio punto.
Sul web si trova anche la foto di una pagina di un libro tedesco del 1808, addirittura impaginato in blackletter, nel quale è mostrata una versione ancora diversa dell’alfabeto: qui mancano i quadrati vuoti, e i puntini possono essere uno, due o tre.
Su Dafont esistono due font contenenti la parola pigpen, il Pigpen di Luz Labza e il PigPen Code Font di Jasmine Croser. Entrambi sono stati inseriti nella categoria Dingbats, quindi non è possibile personalizzare l’anteprima. Tutti e due sembrano tracciati a mano, il secondo con un solo passaggio, il primo con la penna che va avanti e indietro almeno un paio di volte per ogni tratto. Nessuno dei due si ispira ai Dada Urka, qui c’è al massimo un puntino per lettera, col ricorso alle forme triangolari, ma la codifica delle lettere è diversa e nessuna delle due coincide col metodo suggerito da Wikipedia.
Per Wiki le posizioni vanno assegnate prima nel quadrato senza punti, poi nel quadrato coi punti, poi nella croce senza punti e infine nella croce con i punti. Luz Labza invece prima ha assegnato nel quadrato senza punti, poi nella croce di Sant’Andrea senza punti, ma invece che procedere su-sinistra-destra-giù come su Wikipedia ha fatto su-giù-sinistra-destra; per la seconda parte ha ripetuto lo schema, ma coi punti.
Jasmin Crozer invece ha assegnato le lettere prima a ciascun quadrato del primo schema (in alto a sinistra: A senza punto, B col punto), poi ai singoli triangoli che compongono la croce (nell’ordine su-sinistra-destra-giù).
Su Dafont c’è anche il TemplarsCipher Plus, di Benjamin Blaholtz, che invece riproduce il cifrario dei templari. Qui lo stile non è da scrittura a mano, ma le lettere sono disegnate in maniera geometrica.
Lo schema è quello corretto, e lo specimen mostra anche la disposizione delle lettere sulla croce completa. C’è un problema: questo schema contiene soltanto 25 lettere, tant’è vero che nel manuale ottocentesco la J viene saltata a pié pari, non viene proprio nominata. Come ha risolto il problema l’autore del font?
Non ha potuto fare altro che assegnare alla J lo stesso simbolo della I (losanga superiore vuota). Visivamente quindi le lettere sono intercambiabili, anche se comunque nel file che viene convertito usando questo font mantengono due codici diversi (I=73, J=74; le stesse forme vengono ripetute nelle posizioni delle minuscole, invariate).
Ma il font di Blaholtz è interessante anche per altri dettagli: ci sono i numeri. Non si sa se è una sua iniziativa o ha tratto ispirazione da qualche parte. Lo 0 è uguale alla lettera O. L’1 è uguale alla I, il due sono due I affiancate, il 3 sono tre I. Come nel latino. E proprio come nel latino sono strutturate le lettere successive: il 4, che in latino si scrive IV è formato dal simbolo della I attaccato a quello della V. E così via fino al 9 che è il simbolo della I attaccato a quello della X (losanga vuota – losanga con punto). Ovviamente se si converte un testo pieno di cifre usando questo font, il risultato non ha nulla a che vedere con le convenzioni latine: il 10 verrebbe IO, il numero 112 verrebbe traslitterato come una specie di I-I-II. Ma la soluzione adottata può essere un suggerimento: una volta che sai che i numeri possono essere resi mediante lettere, come facevano i romani, si può sempre intervenire sul testo e convertire manualmente le cifre (112 corrisponde a CXII).
Il font contiene tutta la punteggiatura (ottenuta in maniera tradizionale con una serie di segmenti a larghezza fissa e punti tondi), ma anche qualche soluzione bislacca per le lettere accentate. Le vocali accentate sono quasi tutte invariate, a parte la dieresi che viene aggiunta nella A e nella O in versione templare, e il cosiddetto anello che viene aggiunto solo nella A (maiuscola e minuscola).
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