Italics

I caratteri italici vennero realizzati per la prima volta dallo stampatore Aldo Manuzio nel ’500 (da cui il nome aldini). A disegnarli fu il suo tipografo Francesco Griffo. Vennero utilizzati inizialmente per piccole edizioni popolari di libri, soprattutto di poesia. Imitare la scrittura a mano dava un senso di informalità a letture da fare nel tempo libero.
Scrive Wikipedia che per imitare lo stile della scrittura a mano vennero realizzate almeno 65 legature, ovvero caratteri singoli che contengono più di una lettera.
Nel giornalismo, tradizionalmente, si scrivevano a caratteri italici gli editoriali e i commenti, che ancora oggi vengono detti “corsivi” anche se sono scritti a caratteri normali.
In seguito, il corsivo è stato utilizzato per evidenziare delle parole in un testo, anziché sottolinearle, come si fa nei testi scritti a mano. 
Chiaramente, se l’intero testo è scritto in corsivo, la parola da evidenziare viene scritta in tondo (regular).
Il fatto di usare tondo e corsivo nello stesso testo ha fatto sì che si studiassero dei caratteri in grado di sposarsi bene uno con l’altro. Così lo stesso tipo di carattere (typeface) viene distribuito in versioni diverse (font), regular e italic, tra le quali è possibile passare cliccando un semplice pulsante. (A queste di solito si aggiunge la versione grassetta dello stesso tipo, e il relativo grassetto italico).
Ne consegue che la gente più distratta non si sofferma sui dettagli, e resta convinta che per passare tra tondo e corsivo basta semplicemente inclinare l’asse del carattere verso destra.
Non è così. Esiste anche quello, e si chiama obliquo. Il computer lo attua in automatico quando non c’è una versione corsiva del font installata. Ma normalmente è proprio la forma delle lettere che cambia quando si passa dal regular all’italic.
Il cambiamento che preferisco è quello della f. A differenza che nella calligrafia, la f stampatella minuscola non scende sotto alla linea di base del carattere. Quando invece si passa al corsivo, la f ha anche il discendente (la coda, diciamo).
Altri cambiamenti riguardano la a, che perde il ciuffo, la e, che perde lo spigolo, la v, che perde la grazia a destra ma sviluppa quella di sinistra, e la z, che diventa ondulata.
Interessanti i cambiamenti di m e n, che perdono le grazie inferiori tranne l’ultima a destra, che diventa un ricciolo, come pure si arriccia quella in alto a sinistra.
La k diventa più sinuosa e può ottenere un occhiello. E l’h... dipende.
Normalmente il piede destro si arriccia verso l’esterno, come la m e la n corsive. Ma in alcuni casi si arriccia verso l’interno. La lettera somiglia un po’ alla b, ma comunque questa soluzione è la più elegante. Una h snob, direi.
Anche la & commerciale è una lettera che tende a cambiare forma.
Se c’è il Garamond della Monotype installato sul vostro computer provate a metterlo in corsivo e vi rendete conto. La h è come una b aperta, la k ha l’occhiello, la z scende giù e poi risale con una certa civetteria. E la Q, che al tondo ha una coda semplice, acquista un bel ricciolo sulla sinistra.
Dice ancora Wikipedia che si tratta di una replica abbastanza fedele dei caratteri di Jean Jannon risalenti al diciassettesimo secolo.
Non tutti i caratteri vengono diffusi con la versione italica adatta. Quando questa manca, automaticamente il computer crea una versione obliqua del testo, senza tenere conto di eventuali dettagli che un disegnatore umano correggerebbe (e che viene corretta se viene fornita di proposito una versione obliqua del carattere).
Comunque, il carattere obliquo non fa lo stesso effetto del corsivo.
Tipo, il Lora che è per ora impostato di default come font di questo blog, non ha una versione italic. Ne consegue che non ci si prova gusto a mettere in corsivo le parole.

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