Koloss

Quando ero ragazzino avevo un bel libro di Romain Simon: Piccoli amici del bosco. C’erano tre storie di tre diversi cuccioli di animali che si affacciavano per la prima volta a esplorare il mondo: Fanù, il piccolo cerbiatto; Lampo, la volpe delle colline; Gianconiglio, coniglietto selvatico. Era un libro di disegni a pastello, con brevi testi che spiegavano il contenuto delle immagini. Copyright francese, Gautier-Languereau, diffuso in Italia da Editrice Piccoli, Milano.
Il titolo sulla copertina, e i titoli dei vari capitoli sono in un font inconfondibile, a caratteri grassi, nerissimi.

Solo a distanza di anni sono andato a cercarne il nome, per saperne un po’ di più. Si tratta del Koloss, disegnato da Jakob Erbar nel 1924. Ce ne sono versioni digitali di varie fonderie, e a quanto pare è molto usato.
A me ricorderà sempre i libri per bambini, ma l’ho trovato anche sul retro degli scontrini della libreria e, in una versione diversa, su un barattolo di vernice (la parte superiore della a è dritta anziché essere arrotondata).
Erbar, tedesco collegato col Bauhaus, ha prodotto anche altri font che esistono tutt’ora in versione digitale, tra cui un Phosphor che è un senza grazie molto scuro con una sottile linea bianca al centro di ogni tratto (inline). È come il famoso Neuland, che è della stessa epoca (avete presente Jurassic Park?), solo che è dritto e composto, mentre il Neuland ha i tratti un po’ sbilenchi.
Un altro font che io collego all’infanzia è il Böcklin, disegnato nel 1904 e nominato così in memoria di un simbolista svizzero morto pochi anni prima.
Avevo un’edizione della Storia Infinita di Michael Ende, Longanesi, che aveva il titolo della prima pagina e quella dei singoli capitoli scritti con questi caratteri inconfondibili e molto popolari. “Probabilmente è il carattere Art Nouveau meglio conosciuto”, dice Wikipedia, secondo cui nei ’60 e ’70 c’è stata una vera e propria riscoperta di questa font.

Più di recente è stata utilizzata nei titoli del That’s 70s Show, serie televisiva americana della fine degli anni ’90.
La Storia Infinita è un libro magico. Rilegato con una copertina rossa, ha il testo stampato in parte ad inchiostro verde, in parte ad inchiostro rosso. E già questo dal punto di vista tipografico appare insolito. Poi, mentre il giovane lettore procede nella storia, si rende conto che i protagonisti del libro si imbattono proprio in un libro dalla copertina rossa e con l’inchiostro di due colori. Lo stesso libro che il lettore ha in mano! Meraviglia! Come può un libro parlare di... se stesso?

Pochi mesi fa ho trovato in una libreria una edizione economica della Storia Infinita. Non aveva la copertina rossa, e il testo era tutto ad inchiostro nero. Le varie storie del romanzo si distinguevano solo perché alcuni paragrafi erano a caratteri normali, mentre altri in corsivo. Un po’ della magia si perde, no?


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