Veneziani
Ho trovato un cofanetto dei racconti di Kipling, anni ’60, Mursia editore.
I caratteri sono abbastanza strani, danno alla pagina un aspetto rigido.
Le lettere più caratteristiche sono due: la A maiuscola, che ha una cima con grazie da entrambi i lati, e una e alla veneziana, con il trattino che sale in obliquo anziché essere in orizzontale.
Detto così, a memoria, a uno viene in mente il font Italia, della Adobe e Itc, revival di un Jenson oldstyle realizzato dalla Dickinson Type Foundry nel 1893.
Ma non ci siamo proprio. Nell’Italia, le b e le d per esempio hanno le grazie superiori egizie e da entrambi i lati, anziché avere la consueta bandierina.
Ma ci sono anche differenze più concettuali, tipo la g, che nell’Italia ha l’occhiello aperto mentre sul libro della Mursia ce l’ha chiuso.
In digitale, c’è un Italian Old Style, della Lanston Type, attribuito a Goudy e paul Hunt, 1924, che ci si avvicina molto di più. Grazie a bandierina, terrazzino in cima alla A, e alla veneziana... Ma non è propriamente lo stesso. Basta guardare la G maiuscola: Goudy l’ha disegnata abbastanza normale, mentre sul libro della Mursia ha la grazia solo a sinistra. Mursia usa una C simmetrica non uncinata, mentre Goudy ce ne mette una asimmetrica e uncinata...
Insomma, è tutta un’altra cosa.
Gli altri font digitali simili mancano della caratteristica fondamentale: il tettuccio in cima alla A. Che del resto manca nei capostipiti, i caratteri intitolati al francese Jenson, attivo a Venezia già nel ’400, da cui caratteri come questi vengono catalogati come veneziani.
Altri font con una costruzione simile in cima alla A? I più famosi sono probabilmente i Benguiat, disegnati dall’americano Benguiat negli anni ’70 e tutt’ora molto diffusi. Anche qui c’è una e alla veneziana. Spesso vengono considerati solo caratteri display, da usarsi per le intestazioni, o le insegne dei negozi, ma sono stati usati anche per i testi.
Sul finire degli anni ’90 nelle edicole italiane usciva una serie di libri dedicata a Miti e Leggende. L’editore era Hobby&Work.
Tutti i testi erano scritti in Benguiat. Le pagine erano belle pulite e spaziose. In alcuni casi venivano messe in atto delle soluzioni da far sembrare il tutto un manoscritto miniato.
I titoli e le intestazioni erano invece scritti con un paio di font medievali che non sono riuscito ad identificare.
Identifont dice che il Benguiat ha una influenza Art Nouveau combinata con caratteristiche vecchio stile.
La definizione vecchio stile non mi piace per niente, è fin troppo ambigua. Su Google Fonts l’Old Standard è un carattere contrastato, con grazie sottili tipo quelle che si usavano quando è nato lo Scotch. Ma lo Scotch è nato nell’Ottocento, mentre i veneziani si usavano già quattro secoli prima. E del resto, quando sono stati creati primi caratteri romani da stampa li hanno chiamati Antiqua, per distinguerli dai gotici. I quali sono oggi considerati vecchio stile, nel senso che richiamano l’idea del medioevo.
Insomma, dire che un carattere è in “vecchio stile” non vuol dire praticamente niente: tutti i caratteri hanno qualcosa in comune con le lettere romane, o etrusche, o con qualche font di secoli o decenni prima.
Myfonts non cataloga il Benguiat come veneziano, ovviamente: troppo moderno (tags:1980s, Art Deco, Art Nouveau, decorative, party, stranger things).
Di catalogati come veneziani ne ha 307.
Di cui la stragrande maggioranza non ha nessun tipo di costruzione in cima alla A, e talvolta neanche la e col trattino obliquo. Con una eccezione: il 1543 Humane Jenson, della Glc, che riproduce il carattere usato nel 1543 per il De humanis corporis fabrica, trattato di anatomia stampato in Svizzera.
Non si tratta di una rielaborazione ideale, ma di una riproduzione dei caratteri dell’epoca, coi margini frastagliati a seconda di come si disponeva l’inchiostro. Insomma, serve solo per creare un testo dall’aspetto cinquecentesco, con tanto di s lunga e di legature. Adatto a titoli dei siti web, posters e volantini, o alla pubblicazione di testi antichi, consiglia la didascalia.
I caratteri sono abbastanza strani, danno alla pagina un aspetto rigido.
Le lettere più caratteristiche sono due: la A maiuscola, che ha una cima con grazie da entrambi i lati, e una e alla veneziana, con il trattino che sale in obliquo anziché essere in orizzontale.
Detto così, a memoria, a uno viene in mente il font Italia, della Adobe e Itc, revival di un Jenson oldstyle realizzato dalla Dickinson Type Foundry nel 1893.
Ma non ci siamo proprio. Nell’Italia, le b e le d per esempio hanno le grazie superiori egizie e da entrambi i lati, anziché avere la consueta bandierina.
Ma ci sono anche differenze più concettuali, tipo la g, che nell’Italia ha l’occhiello aperto mentre sul libro della Mursia ce l’ha chiuso.
In digitale, c’è un Italian Old Style, della Lanston Type, attribuito a Goudy e paul Hunt, 1924, che ci si avvicina molto di più. Grazie a bandierina, terrazzino in cima alla A, e alla veneziana... Ma non è propriamente lo stesso. Basta guardare la G maiuscola: Goudy l’ha disegnata abbastanza normale, mentre sul libro della Mursia ha la grazia solo a sinistra. Mursia usa una C simmetrica non uncinata, mentre Goudy ce ne mette una asimmetrica e uncinata...
Insomma, è tutta un’altra cosa.
Gli altri font digitali simili mancano della caratteristica fondamentale: il tettuccio in cima alla A. Che del resto manca nei capostipiti, i caratteri intitolati al francese Jenson, attivo a Venezia già nel ’400, da cui caratteri come questi vengono catalogati come veneziani.
Altri font con una costruzione simile in cima alla A? I più famosi sono probabilmente i Benguiat, disegnati dall’americano Benguiat negli anni ’70 e tutt’ora molto diffusi. Anche qui c’è una e alla veneziana. Spesso vengono considerati solo caratteri display, da usarsi per le intestazioni, o le insegne dei negozi, ma sono stati usati anche per i testi.
Sul finire degli anni ’90 nelle edicole italiane usciva una serie di libri dedicata a Miti e Leggende. L’editore era Hobby&Work.
Tutti i testi erano scritti in Benguiat. Le pagine erano belle pulite e spaziose. In alcuni casi venivano messe in atto delle soluzioni da far sembrare il tutto un manoscritto miniato.
I titoli e le intestazioni erano invece scritti con un paio di font medievali che non sono riuscito ad identificare.
Identifont dice che il Benguiat ha una influenza Art Nouveau combinata con caratteristiche vecchio stile.
La definizione vecchio stile non mi piace per niente, è fin troppo ambigua. Su Google Fonts l’Old Standard è un carattere contrastato, con grazie sottili tipo quelle che si usavano quando è nato lo Scotch. Ma lo Scotch è nato nell’Ottocento, mentre i veneziani si usavano già quattro secoli prima. E del resto, quando sono stati creati primi caratteri romani da stampa li hanno chiamati Antiqua, per distinguerli dai gotici. I quali sono oggi considerati vecchio stile, nel senso che richiamano l’idea del medioevo.
Insomma, dire che un carattere è in “vecchio stile” non vuol dire praticamente niente: tutti i caratteri hanno qualcosa in comune con le lettere romane, o etrusche, o con qualche font di secoli o decenni prima.
Myfonts non cataloga il Benguiat come veneziano, ovviamente: troppo moderno (tags:1980s, Art Deco, Art Nouveau, decorative, party, stranger things).
Di catalogati come veneziani ne ha 307.
Di cui la stragrande maggioranza non ha nessun tipo di costruzione in cima alla A, e talvolta neanche la e col trattino obliquo. Con una eccezione: il 1543 Humane Jenson, della Glc, che riproduce il carattere usato nel 1543 per il De humanis corporis fabrica, trattato di anatomia stampato in Svizzera.
Non si tratta di una rielaborazione ideale, ma di una riproduzione dei caratteri dell’epoca, coi margini frastagliati a seconda di come si disponeva l’inchiostro. Insomma, serve solo per creare un testo dall’aspetto cinquecentesco, con tanto di s lunga e di legature. Adatto a titoli dei siti web, posters e volantini, o alla pubblicazione di testi antichi, consiglia la didascalia.
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