Wood Type Museum, tipografie vecchio stile
Quando uno pensa alla stampa come si faceva una volta pensa subito al piombo. Gutenberg fondeva i caratteri in una lega a base di piombo, è così che è nato tutto, no?
In realtà già i cinesi nell’800 dopo Cristo usavano il legno per stampare. Nulla a che vedere con quello che fece più tardi Gutenberg. Il loro uso era più simile a quello dei nostri timbri, che vengono maneggiati uno alla volta, e non certo montati insieme a formare una pagina. Ma i caratteri di legno vennero molto usati anche dopo che Gutenberg aveva puntato sul metallo. Infatti quando la dimensione della lettera è molto grande, il metallo tende ad assumere una forma non piana, e quindi a non stampare in maniera uniforme. Inoltre si rompe facilmente. Così, per stampe di lettere di grandi dimensioni, per esempio i manifesti, si usavano caratteri di legno.
Nel 1827 in America venne elaborato un sistema per la produzione in serie di lettere di legno.
Ad Hamilton, Wisconsin, Stati Uniti, c’è un bel museo con 1 milione e mezzo di pezzi, in più di mille stili e dimensioni diversi. Il museo non si limita a mettere in mostra i cimeli, ma dà anche dimostrazioni di come si stampa, con le lettere inchiostrate a mano col rullo per ottenere colori diversi nella stessa stampa. Hanno un sito veramente ben fatto, con un video promozionale di 3 minuti (in inglese), in cui promuovono la loro attività.
A proposito di antiche tipografie ancora in funzione, su Youtube c’è un lungo video (8 minuti), che mostra all’opera le apparecchiature di una negozio tipografico di Nashville, Tennessee. I testi vengono ancora composti a mano, l’inchiostro viene dato con un’apposita paletta, la stampa avviene un foglio alla volta, girando un’apposita manovella.
Un bel filmato in italiano, sempre su Youtube, mostra la tipografia allestita da Emanuele Mensa a Torino, impossessandosi delle macchine d’epoca mano mano che venivano dismesse perché obsolete. Nel video è possibile ammirare sia una macchina più grande, per fare i manifesti, sia una macchina più piccola, per biglietti da visita e formati simili.
Per chi è appassionato di vecchie tipografie e vecchie macchine, un film culto, qua in Italia, è senza dubbio “La banda degli onesti”, con Totò, portiere che sta per essere licenziato, che si rivolge al tipografo Loturco, Peppino De Filippo, per provare a stampare banconote false, con l’aiuto di un pittore sotto sfratto. Memorabili le scene coi tre improbabili malviventi che lavorano di buona lena nelle ore notturne, il figlio di Loturco che compone i biglietti da visita con errori di ortografia (“cavagliere”), e l’arrivo di Totò nella bottega, quando gli viene presentata la famosa Pedalina (“E questo pedalino di che marca sarebbe?”).
Per la cronaca, la marca nominata nel film è “Bordini e Stocchetti di Torino”. Cercando su Google non viene nessun riferimento a quest’azienda (“Una fabbrica meravigliosa”, dice Loturco). Tra le ricerche consigliate c’è “Bordini stocchetti esiste”, segno che molti si sono posti il problema.
Qualcuno ha messo in vendita delle magliette con la scritta Bordini e Stocchetti, Macchine Tipografiche, Torino, Pedalina 1956 (l’anno del film di Totò), e la foto della macchina.
Ovviamente la pedalina esisteva, e veniva chiamata così perché era azionata a pedale. Ma la pedalina di cui si trovano tracce su internet è di marca Saroglia.
Saroglia di Torino? A quanto pare sì. L’azienda è scomparsa senza lasciare tracce, ma sulla pagina Facebook dell’Anonima impressori c’è la foto di una vecchia tirabozze con la scritta Saroglia-Torino in bella vista.
In realtà già i cinesi nell’800 dopo Cristo usavano il legno per stampare. Nulla a che vedere con quello che fece più tardi Gutenberg. Il loro uso era più simile a quello dei nostri timbri, che vengono maneggiati uno alla volta, e non certo montati insieme a formare una pagina. Ma i caratteri di legno vennero molto usati anche dopo che Gutenberg aveva puntato sul metallo. Infatti quando la dimensione della lettera è molto grande, il metallo tende ad assumere una forma non piana, e quindi a non stampare in maniera uniforme. Inoltre si rompe facilmente. Così, per stampe di lettere di grandi dimensioni, per esempio i manifesti, si usavano caratteri di legno.
Nel 1827 in America venne elaborato un sistema per la produzione in serie di lettere di legno.
Ad Hamilton, Wisconsin, Stati Uniti, c’è un bel museo con 1 milione e mezzo di pezzi, in più di mille stili e dimensioni diversi. Il museo non si limita a mettere in mostra i cimeli, ma dà anche dimostrazioni di come si stampa, con le lettere inchiostrate a mano col rullo per ottenere colori diversi nella stessa stampa. Hanno un sito veramente ben fatto, con un video promozionale di 3 minuti (in inglese), in cui promuovono la loro attività.
A proposito di antiche tipografie ancora in funzione, su Youtube c’è un lungo video (8 minuti), che mostra all’opera le apparecchiature di una negozio tipografico di Nashville, Tennessee. I testi vengono ancora composti a mano, l’inchiostro viene dato con un’apposita paletta, la stampa avviene un foglio alla volta, girando un’apposita manovella.
Un bel filmato in italiano, sempre su Youtube, mostra la tipografia allestita da Emanuele Mensa a Torino, impossessandosi delle macchine d’epoca mano mano che venivano dismesse perché obsolete. Nel video è possibile ammirare sia una macchina più grande, per fare i manifesti, sia una macchina più piccola, per biglietti da visita e formati simili.
Per chi è appassionato di vecchie tipografie e vecchie macchine, un film culto, qua in Italia, è senza dubbio “La banda degli onesti”, con Totò, portiere che sta per essere licenziato, che si rivolge al tipografo Loturco, Peppino De Filippo, per provare a stampare banconote false, con l’aiuto di un pittore sotto sfratto. Memorabili le scene coi tre improbabili malviventi che lavorano di buona lena nelle ore notturne, il figlio di Loturco che compone i biglietti da visita con errori di ortografia (“cavagliere”), e l’arrivo di Totò nella bottega, quando gli viene presentata la famosa Pedalina (“E questo pedalino di che marca sarebbe?”).
Per la cronaca, la marca nominata nel film è “Bordini e Stocchetti di Torino”. Cercando su Google non viene nessun riferimento a quest’azienda (“Una fabbrica meravigliosa”, dice Loturco). Tra le ricerche consigliate c’è “Bordini stocchetti esiste”, segno che molti si sono posti il problema.
Qualcuno ha messo in vendita delle magliette con la scritta Bordini e Stocchetti, Macchine Tipografiche, Torino, Pedalina 1956 (l’anno del film di Totò), e la foto della macchina.
Ovviamente la pedalina esisteva, e veniva chiamata così perché era azionata a pedale. Ma la pedalina di cui si trovano tracce su internet è di marca Saroglia.
Saroglia di Torino? A quanto pare sì. L’azienda è scomparsa senza lasciare tracce, ma sulla pagina Facebook dell’Anonima impressori c’è la foto di una vecchia tirabozze con la scritta Saroglia-Torino in bella vista.
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