Coop
Il marchio della Coop è inconfondibile. Che storia ha dietro?
Vari siti la raccontano. Il logo è stato creato nel 1963, da Albe Steiner, prendendo le lettere dell’alfabeto universale di Herbert Bayer e attaccandole tra di loro in maniera da creare “una cooperazione tra caratteri”, come disse giocando sul nome Coop (che è diminutivo di cooperative). La vicinanza tra le lettere doveva richiamare quindi il concetto di cooperazione.
Fino ad allora c’era stata una normale scritta in corsivo, che “non aveva un ruolo decisivo nella comunicazione perché si limitava a firmare il prodotto in modo defilato”, come spiega il sito Museo del Marchio Italiano.
All’inizio degli anni 70 c’è un restyling decisivo: “le lettere furono ingrossate nei tratti e furono migliorate le giunzioni della lettera p”, racconta il sito. Ma in un’immagine datata ’73 si vede ben altro: mentre fino ad allora la p era chiusa, da quel momento in poi è aperta. La parte terminale dell’anello termina a poca distanza dall’asta verticale, con un taglio anch’esso verticale.
L’intervento del 1985 è firmato da Bob Noorda, il quale ha operato “interventi minimi ma efficaci”, inserendo un “taglio sghembo” nelle lettere C e P, caratteristica che c’è ancora oggi.
Infine nel 2005 l’agenzia Advance inventa una figura rossa a forma di occhio nella quale inserire la scritta. E che viene utilizzata ancora oggi nel “packaging”.
Quindi, il carattere di partenza sarebbe di Bayer. Chi è Bayer? Un designer austriaco il cui nome è indissolubilmente legato alla scuola del Bauhaus. Che è una delle pietre miliari nella storia della tipografia.
Myfont presenta soltanto quattro font che fanno riferimento a Bayer come designer. Tra questi quello che si avvicina di più a quello usato per il marchio Coop è il P22 Bauhaus, della fonderia P22, appunto.
Col nome Bauhaus vengono venduti altri font, primo fra tutti quello della Itc, che ha il gap nella p, e ha una c coi tratti tagliati in verticale, mentre P22 li taglia in obliquo, come nel primo marchio Coop, dove, mentre l’estremità inferiore si univa alla successiva o, quella superiore ci si fermava a breve distanza, con un taglio pressoché parallelo al bordo della o.
Anche il Bauhaus 93 (e il Blippo) ha la p aperta, ma le estremità della c si fronteggiano chiudendola quasi completamente.
Un taglio obliquo simile a quello della p di Coop era già stato usato in passato dal neozelandese Churchward, di cui qui abbiamo già parlato. Là però la p si chiudeva, anche se per poco. La c era come quella di Bayer. La che ha ora la Coop invece è tagliata molto prima, poco a sinistra della verticale.
Dice Wikipedia che l’alfabeto di Bayer, concepito nella seconda metà degli anni 20, rimase per molto tempo solo un disegno, senza essere realizzato in metallo per usi pratici. I primi alfabeti derivati dal suo risalgono alla fine degli anni 60.
Il sito del Museo del Marchio è molto interessante. Ci sono tantissime schede sui loghi dei vari prodotti italiani, ognuno con una galleria di foto relative alle varie epoche, con delle curiosità molto rare. Mi colpisce per esempio uno scatto di quando la Birra Peroni aveva assunto i caratteri gotici, negli anni 50. Non li aveva usati prima, all’inizio del secolo, e non li ha usati più neanche dopo.
Il nome di Bob Noorda compare anche nel restyling del marchio Algida del 1983 (quello col sole arancione).
A dispetto del nome, Noorda era italiano (olandese di nascita). Ha lavorato e vissuto a Milano dal 54 alla morte, ed è seppellito lì.
È famoso anche oltre oceano, avendo collaborato con la Metropolitan Trasportation Authority di New York per la progettazione dell’intera comunicazione visiva della metropolitana di New York. Dopodiché si occupò di quella di San Paolo in Brasile. Aveva già esperienza, avendo lavorato prima a quella di Milano.
Un ricordo firmato dal collega Vignelli è pubblicato dal sito Display.
Vari siti la raccontano. Il logo è stato creato nel 1963, da Albe Steiner, prendendo le lettere dell’alfabeto universale di Herbert Bayer e attaccandole tra di loro in maniera da creare “una cooperazione tra caratteri”, come disse giocando sul nome Coop (che è diminutivo di cooperative). La vicinanza tra le lettere doveva richiamare quindi il concetto di cooperazione.
Fino ad allora c’era stata una normale scritta in corsivo, che “non aveva un ruolo decisivo nella comunicazione perché si limitava a firmare il prodotto in modo defilato”, come spiega il sito Museo del Marchio Italiano.
All’inizio degli anni 70 c’è un restyling decisivo: “le lettere furono ingrossate nei tratti e furono migliorate le giunzioni della lettera p”, racconta il sito. Ma in un’immagine datata ’73 si vede ben altro: mentre fino ad allora la p era chiusa, da quel momento in poi è aperta. La parte terminale dell’anello termina a poca distanza dall’asta verticale, con un taglio anch’esso verticale.
L’intervento del 1985 è firmato da Bob Noorda, il quale ha operato “interventi minimi ma efficaci”, inserendo un “taglio sghembo” nelle lettere C e P, caratteristica che c’è ancora oggi.
Infine nel 2005 l’agenzia Advance inventa una figura rossa a forma di occhio nella quale inserire la scritta. E che viene utilizzata ancora oggi nel “packaging”.
Quindi, il carattere di partenza sarebbe di Bayer. Chi è Bayer? Un designer austriaco il cui nome è indissolubilmente legato alla scuola del Bauhaus. Che è una delle pietre miliari nella storia della tipografia.
Myfont presenta soltanto quattro font che fanno riferimento a Bayer come designer. Tra questi quello che si avvicina di più a quello usato per il marchio Coop è il P22 Bauhaus, della fonderia P22, appunto.
Col nome Bauhaus vengono venduti altri font, primo fra tutti quello della Itc, che ha il gap nella p, e ha una c coi tratti tagliati in verticale, mentre P22 li taglia in obliquo, come nel primo marchio Coop, dove, mentre l’estremità inferiore si univa alla successiva o, quella superiore ci si fermava a breve distanza, con un taglio pressoché parallelo al bordo della o.
Anche il Bauhaus 93 (e il Blippo) ha la p aperta, ma le estremità della c si fronteggiano chiudendola quasi completamente.
Un taglio obliquo simile a quello della p di Coop era già stato usato in passato dal neozelandese Churchward, di cui qui abbiamo già parlato. Là però la p si chiudeva, anche se per poco. La c era come quella di Bayer. La che ha ora la Coop invece è tagliata molto prima, poco a sinistra della verticale.
Dice Wikipedia che l’alfabeto di Bayer, concepito nella seconda metà degli anni 20, rimase per molto tempo solo un disegno, senza essere realizzato in metallo per usi pratici. I primi alfabeti derivati dal suo risalgono alla fine degli anni 60.
Il sito del Museo del Marchio è molto interessante. Ci sono tantissime schede sui loghi dei vari prodotti italiani, ognuno con una galleria di foto relative alle varie epoche, con delle curiosità molto rare. Mi colpisce per esempio uno scatto di quando la Birra Peroni aveva assunto i caratteri gotici, negli anni 50. Non li aveva usati prima, all’inizio del secolo, e non li ha usati più neanche dopo.
Il nome di Bob Noorda compare anche nel restyling del marchio Algida del 1983 (quello col sole arancione).
A dispetto del nome, Noorda era italiano (olandese di nascita). Ha lavorato e vissuto a Milano dal 54 alla morte, ed è seppellito lì.
È famoso anche oltre oceano, avendo collaborato con la Metropolitan Trasportation Authority di New York per la progettazione dell’intera comunicazione visiva della metropolitana di New York. Dopodiché si occupò di quella di San Paolo in Brasile. Aveva già esperienza, avendo lavorato prima a quella di Milano.
Un ricordo firmato dal collega Vignelli è pubblicato dal sito Display.
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