Fonderia Reggiani
Su Issuu c’è un catalogo di 144 pagine con l’intero campionario sfogliabile della scomparsa Fonderia Reggiani.
Alcuni caratteri non hanno niente di particolare. Altri si fanno notare, come la serie D’Annunzio, piena di soluzioni insolite.
O la serie Ciclope, dai tratti molto spessi, con i trattini orizzontali di F ed E realizzati in forma triangolare, e la S che guarda in avanti e indietro.
O l’elegante Tosca. O la veneziana Jenson. La romana Beatrice. Ci sono la O e la C arricciate della serie Rossana. La Rosmunda, che mi ricorda il periodo Liberty. La Licia, molto condensata. La serie Mefistofele, che potrebbe fare concorrenza al Futura Black.
Infine ci sono fregi di vari tipi.
Della fonderia in sé si sa poco e niente. Dice Luc Devroye che era basata a Milano, e che per lo meno negli anni 30 era attiva. Ma non la collega a nessun font ad eccezione del Triennale (1933).
I caratteri Mefistofele si possono vedere nella testata della rivista Tipografia, 1931.
Eye Magazine ha dedicato un articolo ad una mostra sulla tipografia italiana, organizzata a Milano nel 2012.
“Durante i 20 anni di interregno che hanno separato i caratteri in metallo da quelli digitali, a parte i disegni di Novarese per Berthold e Itc, poco è accaduto in Italia. I disegnatori hanno mostrato poco interesse nei caratteri, e hanno scritto tutto in Helvetica, Futura, Times o Bodoni. Le cose sono iniziate a cambiare quando Fontographer ha attratto l’attenzione di giovani disegnatori all’inizio del nuovo secolo. Allora sono fioriti i corsi di type design e sono emersi disegnatori di talento, come Luciano Perondi, Michiele Patanè e Riccardo Olocco. Ciò che ancora manca è una fonderia italiana digitale con un profilo internazionale”, scriveva la rivista, nel 2012.
Alcuni caratteri non hanno niente di particolare. Altri si fanno notare, come la serie D’Annunzio, piena di soluzioni insolite.
O la serie Ciclope, dai tratti molto spessi, con i trattini orizzontali di F ed E realizzati in forma triangolare, e la S che guarda in avanti e indietro.
O l’elegante Tosca. O la veneziana Jenson. La romana Beatrice. Ci sono la O e la C arricciate della serie Rossana. La Rosmunda, che mi ricorda il periodo Liberty. La Licia, molto condensata. La serie Mefistofele, che potrebbe fare concorrenza al Futura Black.
Infine ci sono fregi di vari tipi.
Della fonderia in sé si sa poco e niente. Dice Luc Devroye che era basata a Milano, e che per lo meno negli anni 30 era attiva. Ma non la collega a nessun font ad eccezione del Triennale (1933).
I caratteri Mefistofele si possono vedere nella testata della rivista Tipografia, 1931.
Eye Magazine ha dedicato un articolo ad una mostra sulla tipografia italiana, organizzata a Milano nel 2012.
“Durante i 20 anni di interregno che hanno separato i caratteri in metallo da quelli digitali, a parte i disegni di Novarese per Berthold e Itc, poco è accaduto in Italia. I disegnatori hanno mostrato poco interesse nei caratteri, e hanno scritto tutto in Helvetica, Futura, Times o Bodoni. Le cose sono iniziate a cambiare quando Fontographer ha attratto l’attenzione di giovani disegnatori all’inizio del nuovo secolo. Allora sono fioriti i corsi di type design e sono emersi disegnatori di talento, come Luciano Perondi, Michiele Patanè e Riccardo Olocco. Ciò che ancora manca è una fonderia italiana digitale con un profilo internazionale”, scriveva la rivista, nel 2012.
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