Come nasce una matrice
All'inizio degli anni 60 Simoncini aveva commissionato un video per spiegare come venivano prodotte le sue matrici per la Linotype. Il filmato dura 32 minuti ed è stato messo online su Vimeo due giorni fa. (Solo la sigla dura due minuti e venti).
Le immagini sono in bianco e nero. La voce narrante ha lo stesso ritmo di quella dei film di don Camillo.
La fabbrica era divisa in quattro reparti principali: attrezzeria, disegno, punzoni, produzione.
Sulla facciata della fabbrica, accanto al nome, compariva in grande il profilo inconfondibile di una matrice per Linotype, con tutti i dentini che permettevano alla macchina di distinguere una lettera dall’altra in maniera automatica.
Le lettere venivano disegnate a mano in dimensione prestabilita, poi ricalcate con cura a china, prima i contorni, poi all'interno dell'occhio (la parte che viene stampata). Quest’ultima operazione si faceva col pennellino.
Le lettere poi venivano affiancate a comporre parole, che venivano fotografate e riprodotte in varie grandezze per verificarne la leggibilità.
Se la lettera superava l'esame, veniva riportata a mano su lucido: un foglio di plastica indeformabile e trasparente.
Il lucido veniva portato nel reparto punzoni, dove c’erano due tipi di pantografo: quello per il ritaglio dei modelli e quello per l'incisione dei punzoni.
Un tecnico ricalcava i contorni del disegno. Un utensile riproduttore incideva la lettera su una lastra di ottone.
Ne veniva fuori una lettera metallica, grande una decina di centimetri, che veniva verificata grazie al lucido che era già stato realizzato, per assicurarsi che fosse fedele all'originale fin nei dettagli.
La lettera veniva poi fissata su una base, sulla quale venivano scritti i dati della lettera (la serie di appartenenza). Veniva poi riposta, per essere ripresa quando si fossero dovuti fabbricare nuovi punzoni.
A questo punto la lettera veniva inserita nei pantografi del secondo tipo, in orizzontale.
Un addetto spingeva il copiatore lungo i bordi in rilievo della lettera, guardando attraverso una specie di periscopio. Un albero verticale riportava il movimento in alto, dove punzone incideva la lettera.
All'inizio solo i contorni, poi, con passaggi successivi si allargava piano piano la base dell'occhio (il taglio in profondità della lettera deve essere in sezione conica).
Il punzone veniva poi temprato, controllato con strumenti di precisione (meccanici e ottici) e corretto manualmente fino a quando il disegno diventava identico all'originale.
Il punzone poi veniva reso quadrato, e sopra vi venivano incise tutte le informazioni necessarie a identificarlo.
Nel settore produzione intanto bisognava prendere delle bandelle di metallo, controllarle a mano, e poi inserire in una macchina che le tagliava col profilo delle matrici (uguale per tutte). Un'altra macchina le rifiniva, con altre macchine si incidevano sul bordo i segni che servivano ad indicare serie e corpo, e il “falso occhio”, ovvero la lettera che sarebbe comparsa di fronte al linotypista. I segni venivano anneriti per renderli visibli, adoperando un inchiostro speciale inattaccabile dai prodotti che venivano usati per pulire le macchine compositrici.
Altre macchine preparavano la sede dell’occhio e poi lo incidevano. La lettera si imprimeva col punzone, con un colpo secco a viva forza. Su ogni matrice c’erano due glifi (per esmpio regolare e grassetto). Quindi bisognava inserire due punzoni per ogni matrice.
Venivano effettuate ulteriori verifiche, meccaniche e ottiche e ulteriori rifiniture e smussature, il taglio dei dentini, le tacche al piede, la gola, la piallatura, l’impressione del marchio di fabbrica.
Finalmente si arrivava al magazzino.
Ma le lavorazioni non erano ancora finite. I dentini infatti andavano sistemati solo al momento della vendita delle matrici, visto che macchine compositrici diverse e paesi diversi usavano combinazioni diverse. E anche allora si doveva procedere con ulteriori fresature.
Infine le matrici venivano inserite a mano nelle scatole che venivano poi spedite al cliente.
E oggi? Una volta finito il disegno al computer, visualizzato il risultato sullo schermo e sul foglio che viene fuori dalla stampante, il font viene distribuito in digitale. Senza bisogno di fresature di nessun genere, o di scatoloni. Per disegnare font basta un normale computer, un monitor bello grosso, e una stampante affidabile.
Tutta questa attenzione su Simoncini deriva dalla mostra che c’è appena stata a Bologna (ha chiuso dieci giorni fa, era aperta dalla fine di settembre).
Il catalogo della mostra è in vendita a 25 euro, Ronzani editore.
Il Garamond di Simoncini è ancora molto usato nell'editoria italiana. Una cosa che non sapevo è che il Delia di Simoncini venne progettato per gli elenchi telefonici.
Le immagini sono in bianco e nero. La voce narrante ha lo stesso ritmo di quella dei film di don Camillo.
La fabbrica era divisa in quattro reparti principali: attrezzeria, disegno, punzoni, produzione.
Sulla facciata della fabbrica, accanto al nome, compariva in grande il profilo inconfondibile di una matrice per Linotype, con tutti i dentini che permettevano alla macchina di distinguere una lettera dall’altra in maniera automatica.
Le lettere venivano disegnate a mano in dimensione prestabilita, poi ricalcate con cura a china, prima i contorni, poi all'interno dell'occhio (la parte che viene stampata). Quest’ultima operazione si faceva col pennellino.
Le lettere poi venivano affiancate a comporre parole, che venivano fotografate e riprodotte in varie grandezze per verificarne la leggibilità.
Se la lettera superava l'esame, veniva riportata a mano su lucido: un foglio di plastica indeformabile e trasparente.
Il lucido veniva portato nel reparto punzoni, dove c’erano due tipi di pantografo: quello per il ritaglio dei modelli e quello per l'incisione dei punzoni.
Un tecnico ricalcava i contorni del disegno. Un utensile riproduttore incideva la lettera su una lastra di ottone.
Ne veniva fuori una lettera metallica, grande una decina di centimetri, che veniva verificata grazie al lucido che era già stato realizzato, per assicurarsi che fosse fedele all'originale fin nei dettagli.
La lettera veniva poi fissata su una base, sulla quale venivano scritti i dati della lettera (la serie di appartenenza). Veniva poi riposta, per essere ripresa quando si fossero dovuti fabbricare nuovi punzoni.
A questo punto la lettera veniva inserita nei pantografi del secondo tipo, in orizzontale.
Un addetto spingeva il copiatore lungo i bordi in rilievo della lettera, guardando attraverso una specie di periscopio. Un albero verticale riportava il movimento in alto, dove punzone incideva la lettera.
All'inizio solo i contorni, poi, con passaggi successivi si allargava piano piano la base dell'occhio (il taglio in profondità della lettera deve essere in sezione conica).
Il punzone veniva poi temprato, controllato con strumenti di precisione (meccanici e ottici) e corretto manualmente fino a quando il disegno diventava identico all'originale.
Il punzone poi veniva reso quadrato, e sopra vi venivano incise tutte le informazioni necessarie a identificarlo.
Nel settore produzione intanto bisognava prendere delle bandelle di metallo, controllarle a mano, e poi inserire in una macchina che le tagliava col profilo delle matrici (uguale per tutte). Un'altra macchina le rifiniva, con altre macchine si incidevano sul bordo i segni che servivano ad indicare serie e corpo, e il “falso occhio”, ovvero la lettera che sarebbe comparsa di fronte al linotypista. I segni venivano anneriti per renderli visibli, adoperando un inchiostro speciale inattaccabile dai prodotti che venivano usati per pulire le macchine compositrici.
Altre macchine preparavano la sede dell’occhio e poi lo incidevano. La lettera si imprimeva col punzone, con un colpo secco a viva forza. Su ogni matrice c’erano due glifi (per esmpio regolare e grassetto). Quindi bisognava inserire due punzoni per ogni matrice.
Venivano effettuate ulteriori verifiche, meccaniche e ottiche e ulteriori rifiniture e smussature, il taglio dei dentini, le tacche al piede, la gola, la piallatura, l’impressione del marchio di fabbrica.
Finalmente si arrivava al magazzino.
Ma le lavorazioni non erano ancora finite. I dentini infatti andavano sistemati solo al momento della vendita delle matrici, visto che macchine compositrici diverse e paesi diversi usavano combinazioni diverse. E anche allora si doveva procedere con ulteriori fresature.
Infine le matrici venivano inserite a mano nelle scatole che venivano poi spedite al cliente.
E oggi? Una volta finito il disegno al computer, visualizzato il risultato sullo schermo e sul foglio che viene fuori dalla stampante, il font viene distribuito in digitale. Senza bisogno di fresature di nessun genere, o di scatoloni. Per disegnare font basta un normale computer, un monitor bello grosso, e una stampante affidabile.
Tutta questa attenzione su Simoncini deriva dalla mostra che c’è appena stata a Bologna (ha chiuso dieci giorni fa, era aperta dalla fine di settembre).
Il catalogo della mostra è in vendita a 25 euro, Ronzani editore.
Il Garamond di Simoncini è ancora molto usato nell'editoria italiana. Una cosa che non sapevo è che il Delia di Simoncini venne progettato per gli elenchi telefonici.
Commenti
Posta un commento