Linotype

La Linotype era una macchina che veniva utilizzata per comporre e giustificare automaticamente le linee di caratteri dei testi.
Prima della sua invenzione il tipografo per impaginare un testo da stampare doveva prendere i caratteri mobili dagli scompartimenti di una cassetta, lettera per lettera. Finito di stampare il testo, doveva rimettere ogni lettera nel suo scompartimento una alla volta, a mano.
Con la linotype bastava digitare su un apposita tastiera il testo, e i caratteri mobili scendevano da soli e si andavano a disporre nel compositoio. Quando la riga era completata, vi veniva colato sopra del piombo fuso, che solidificandosi formava una riga di testo con le lettere in rilievo che poi sarebbero state inchiostrate in fase di stampa (linotype deriva da line-of-type, una linea di caratteri). A quel punto le matrici delle singole lettere tornavano ciascuna nel suo scompartimento in maniera automatica.
La composizione di un testo era ovviamente più rapida rispetto ai metodi precedenti.
La linotype venne inventata nel 1881 negli Stati Uniti da un tedesco, Ottmar Mergenthaler. Venne utilizzata per la prima volta cinque anni dopo nella redazione del New York Tribune, uno dei principali giornali dell’epoca. Restò in funzione nel campo editoriale fino agli anni 70, quando venne sostituita dalla composizione a freddo.
Già nel 1897 le linotype vennero impiegate in Italia, dal quotidiano “La Tribuna”, di Roma.
Su Youtube c’è un documentario in bianco e nero di trentacinque minuti prodotto per spiegare con calma e nei minimi dettagli il funzionamento della macchina a chi poi l’avrebbe usata o riparata. È interessante vedere quanto erano ingegnose le soluzioni che erano state inventate per permettere il funzionamento del meccanismo. Non c’erano “cervelli elettronici” o microchip a regolare le varie operazioni, e in molti casi neanche componenti elettrici. Era tutta una questione di leve: per far sì che venisse rilasciato un carattere per volta, la pressione del tasto da parte dell’operatore tirava su due levette, quella che faceva scendere il primo carattere,e quella che teneva bloccato il secondo della stessa fila. Per fare in modo che ogni lettera tornasse nel suo scompartimento, ogni matrice aveva una particolare combinazione di dentini che variava da lettera a lettera. Il carattere scorreva con i dentini aggrappati ad rotaie che erano interrotte solo in alcuni punti. Finché c’era almeno una delle rotaie a sostenerlo, il carattere non poteva cadere. Solo in corrispondenza del suo scompartimento, tutte le rotaie corrispondenti ai suoi dentini venivano a interrompersi. Il carattere con quella lettera cadeva, mentre le altre lettere, che avevano i dentini disposti in maniera diversa, passavano oltre. Ingegnoso anche il sistema per giustificare i testi: il carattere usato per lo spazio era particolare. Era attraversato da un lungo cuneo metallico. Quando bisognava giustificare la riga, i cunei venivano spinti dal basso verso l’alto, così lo spazio tra le parole aumentava fino a quando la prima e l’ultima non avessero toccato i margini che erano stati impostati all’inizio per stabilire la lunghezza di ogni riga.
Il filmato è in inglese, ma nelle immagini si vede l’impaginazione di un articolo in italiano con la dicitura “Milano, Gazzetta dello Sport”. E in effetti i nomi che compaiono nei titoli di testa sono in italiano, anche se il resto delle scritte è in inglese. “Questo documentario è stato reso possible grazie all’interesse attivo del direttore generale delle Scuole Salesiane Vocazionali e Tecniche, in collaborazione con gli istruttori dell’istituto di Arti Grafiche di Colle Don Bosco, Asti”, dicono i titoli di testa, in inglese.
La tastiera di una linotype non aveva il tasto shift: c’erano quindi i tasti per le minuscole e i tasti per le maiuscole.
Il suono dei tasti doveva essere simile a quello delle macchine da scrivere (probabilmente più rumoroso), ma a questo si aggiungeva, oltre al suono dei caratteri metallici che cadevano, il costante ticchettare un albero girato da un motorino elettrico, collegato con varie cinghie alle altre parti della macchina. Erano di metallo anche i dispositivi che si attivavano per riportare su i caratteri al termine della composizione della riga, e spingerli verso i loro scompartimenti. Nelle redazioni dei giornali, dove di queste macchine ce n’erano a bizzeffe, doveva esserci un frastuono notevole, per non parlare dell’odore del piombo che era stato fuso e che veniva mantenuto sempre caldo. E infatti si trovavano in una stanza a parte rispetto a quelle dove stavano i giornalisti: il giornalista scriveva l’articolo, poi, quando questo veniva approvato, veniva portato al linotipista che componeva le linee. Queste finivano infine sul banco di composizione, dove venivano collocate all'interno della pagina, con l’aggiunta manuale del titolo, lettera per lettera.
Su Youtube c’è un servizio di due minuti sull’ultimo giornale americano impaginato con una linotype, in un paesino del Colorado. È un settimanale, tenuto in piedi da un unico appassionato che ne è direttore, linotipista, stampatore, fattorino e anche tecnico riparatore (per forza di cose).
La gente gli porta gli articoli, lui fa il resto. Da una vita.
Interessante anche vedere la macchina che usa per la stampa. Che inchiostra in automatico, stampa, trasferisce i fogli e li piega anche. Ma ha bisogno sempre dell’intervento umano per inserire i fogli, uno dopo l’altro, mentre è in funzione. La Cbs ha dedicato ha questo settimanale un servizio di sei minuti. Un po’ troppo ironico in alcuni punti, col giornalista che nota che col computer sarebbe tutto più semplice, o che si sofferma su titoli di notizie abbastanza insignificanti. Ma una caratteristica del giornale è proprio questa: mancano la politica o la cronaca nera, e ci sono invece necrologi, buone notizie, informazioni sulle attività della piccola comunità a cui si rivolge.

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