Tiempos, Klim, Pure Pataki

Il sito di informazione alternativa americano Democracy Now usa il Tiempos Headline per i titoli, e un normale Roboto Light per i testi. Il secondo lo pesca da Google, mentre il primo sta sul proprio server, con tanto di disclaimer: “Copyright Klim Type Foundry, Not licensed for desktop use”.
La fonderia in questione è basata a Wellington, Nuova Zelanda. È attiva dal 2005. I suoi font non compaiono su Myfonts.
Ha un sito ufficiale, con i menu scritti nel suo Pitch, una specie di Courier, mentre per i testi è stato usato appunto il Tiempos.
Il fondatore si chama Kris Sowersby. Si può vedere una sua foto su Wikipedia in inglese, scattata mentre parla al Typecon 2010 a Los Angeles.
Tra i suoi progetti ci sono un tipo di carattere usato dall’ente turistico neozelandese, il redesign del Financial Times del 2014 (con creazione dei caratteri Financier), e le lettere per la compagnia aerea Air New Zealand.
Il Financier si può vedere nei suoi vari pesi sul sito ufficiale della fonderia. Insieme a tutti gli altri progetti, tra cui un Untitled Serif e Untitled Sans che di sicuro non brillano per l’originalità del nome (ma sono font abbastanza classici, che tendono a passare inosservati).
Per quanto riguarda il Pure Pataki, c’è una pagina intera dul blog che ne racconta la storia.
Il carattere è stato disegnato per l’uso esclusivo dell’ente turistico neozelandese. Il committente chiedeva qualcosa che rappresentasse lo spirito puro della Nuova Zelanda. Impresa non facile, visto che il paese non ha un’antica tradizione di scrittura latina autoctona.
Il disegnatore iniziò a studiare i vecchi opuscoli turistici, e ovviamente i caratteri di Churchward (il più noto type designer neozelandese del Novecento). Mise a punto varie ipotesi, ci aggiunse decorazioni che potevano ricordare le tradizioni locali. E tutte le sue proposte furono bocciate.
“Troppo ornamentali, troppo insignificanti”, gli disse il responsabile dell’ente. “Ero vicino alla disperazione”, scrive Sowersby, che mostra sul blog alcuni specimen dei progetti scartati.
Ma ecco una nuova ispirazione, trovata in una serie di caratteri disegnati nell’Ottocento, così poco degni di nota che la stessa fonderia che li aveva prodotti li aveva nominati “N° 10” e “N° 19” nell’elenco dei “caratteri per poster”. Senza nome, in pratica, solo col numero del progetto.
Si trattava di una sperimentazione, per l’epoca: un senza grazie condensato con i tratti curvi ricondotti a tratti rettilinei, con gli angoli di un ottagono, in pratica.
Ma questa era solo la base. A cui andava aggiunta una decorazione originale. Che fu il Taki Toru, ossia una serie di tre tacche sul lato sinistro di ogni lettera, attingendo alle Storie delle Origini della tradizione Maori.
Secondo un’antica leggenda, le tacche vennero incise su un pezzo di legno affidato alle acque per ritrovare due eroi navigatori che erano scomparsi. I tre segni rappresentavano tre domande: “Dove siete?”, “Come state?”, “Quando tornerete?”.
Visto che il committente era un ente turistico, quel segno poteva essere interpretato come amore e cura per i viaggiatori. Ma ancora non bastava.
Infatti le lettere vennero realizzate concretamente incidendo il legno kauri, che proviene da alberi che da quelle parti formano foreste secolari.
I caratteri mobili in legno vennero inchiostrati, se ne ottennero delle stampe che poi vennero scannerizzate e digitalizzate. Anche qui, i primi tentativi non andarono a buon fine: sul foglio venivano delle lettere con macchie irregolari, che non davano affatto la sensazione del legno. Bisognò lavorare alla manipolazione digitale delle immagini, per fare in modo che le vere venature del legno kauri fossero visibili in ogni lettera.
Ma il lavoro fatto sui caratteri mobili in legno non è andato sprecato. Ne è venuto fuori un bel documentario breve (5 minuti), che è possibile vedere su Youtube. Ci sono le interviste ai responsabili del progetto, ai realizzatori, e ci sono le immagini del legno che viene intagliato in un garage che dà sul verde, lontano dai palazzi delle città o dagli stabilimenti industriali.
A me colpisce molto il contrasto tra il modo iper-tecnologico con cui i caratteri sono stati disegnati sul legno (in maniera automatica, con una stampante Epiloglaser), e la pazienza con la quale un artista, con martello e scalpello, ha inciso il legno attorno al profilo di ogni lettera.
L’ente del turismo neozelandese usa comunemente il Pure Pataki, non solo nelle pubblicazioni e manifesti cartacei, ma anche sul web. Alcuni titoli del sito web sono scritti usando una versione semplice del font digitale, quella senza le venature del legno ma con le tre tacche bene in vista.
Le tre incisioni sulla sinistra non compaiono su tutte le lettere, ma solo su alcune, e non sempre le stesse. Nel font infatti c’è sia un intero alfabeto intatto che un intero alfabeto alternativo con i segni maori. Andando a comporre il testo, il grafico può scegliere quante e quali lettere intaccate preferisce.

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