Corpo del carattere

In gergo quando si parla di “corpo” di un carattere ci si riferisce alla sua dimensione. Quella che viene appunto chiamata “dimensione” in alcuni programmi di videoscrittura, dove spesso viene preimpostata a 12. Anche chi non è del mestiere sa che per avere le lettere più grandi bisogna scegliere un numero più grande, per avere le lettere più piccole bisogna scegliere un numero più piccolo. Pochi si chiedono a cosa si riferisce quel numero. Ok, 12. Ma 12 che?
Si tratta della misura dell’altezza del carattere, in punti tipografici.
Nel corso della storia si sono usati vari punti tipografici di dimensioni diverse, in proporzione di pollici o di centimetri. Quello che si usa attualmente nei programmi di videoscrittura dovrebbe corrispondere a un settantaduesimo di pollice americano. In millimetri sarebbero 0,352.
Un carattere in corpo 12 sarebbe quindi 0,352 per 12: uguale 4 millimetri e 224 di altezza.
Ma altezza di che cosa? Perché è chiaro che la l è più alta della n. Dove si misura questa grandezza?
Uno potrebbe dire “sulle maiuscole!”, che sono tutte uguali, o “sulla lettera più alta!”. E sbaglierebbe in entrambi i casi. Perché sia le lettere alte che, soprattutto, le maiuscole di solito poggiano sulla linea di base, mentre alcune delle minuscole, di solito basse, scendono al di sotto della linea di base. Di solito quelle che scendono di più sono la p o la g.
Allora uno potrebbe dire: “Si misura dal punto più alto della lettera più alta a quello più basso della più bassa!”. Giusto. E se la lettera più alta è accentata? Sarebbe meglio allora misurare dall’accento più alto della lettera più alta al punto più basso della lettera più bassa. Senza aggiungerci un po’ di spazio extra?
Il sito di Giò Fuga dà una descizione dettagliata di tutte le misure relative al corpo del carattere. Con qualche illustrazione che rende l’idea di come funzionava prima, quando i caratteri erano concreti blocchetti metallici. Là si poteva vedere che l’altezza era uguale per tutti, perché c’era dello spazio vuoto sopra e sotto alla lettera. Per conoscere il corpo si poteva misurare con lo strumento apposito l’altezza del blocchetto metallico (la larghezza invece varia a seconda delle lettere).
E in digitale? Qui le cose si complicano un po’. Perché nessuno vieta agli accenti di andare oltre il bordo superiore del carattere. E nessuno vieta al bordo di una lettera di scendere sotto la cosìddetta spalla inferiore. Non sono mica parti metalliche che interferiscono con le altre. Quindi il disegnatore può sbizzarrirsi come meglio crede. Nel Times New Roman, gli accenti delle maiuscole sono per metà al di sopra della spalla superiore. Nel Papyrus, la j scende molto, molto al di sotto della spalla inferiore.
Ne consegue, che in un vero font digitale il corpo misura la distanza tra l’ideale limite inferiore dei tratti discendenti e l’ideale limite superiore delle minuscole (cioè la punta della l, che di solito arriva poco più su delle maiuscole). Limiti ideali, perché valgono solo per orientarsi e non devono necessariamente essere rispettati dal disegnatore.
Uno dirà: “Ma così facendo le lettere di una riga di testo vanno a interferire con la riga precedente e quella successiva!”.
Sì, esatto. Sarebbe vero se non ci fosse un meccanismo automatico per gestire l’interlinea.
Nella tipografia dell’epoca Gutenberg (prima dell’invenzione del computer) non ci si poneva proprio il problema: i blocchetti coi caratteri della seconda riga si mettevano dopo quelli della prima: quando finiva uno, cominciava l’altro. Per forza di cose. Tutt’al più esistevano delle lamine da mettere tra le righe se uno le voleva spaziare un po’.
Ma nella tipografia digitale due righe possono anche sovrapporsi. Nei programmi di publishing c’è l’opzione manuale per stabilire quanti punti tipografici deve essere distante, in verticale, l’inizio di una riga dall’inizio della riga successiva. Ad esempio mettere un Papyrus in corpo 12 con interlinea fissa a 12 (ma anche a 15, più normale), può avere come conseguenza che i tratti ascendenti di una riga vadano ad interferire con quelli discendenti della riga superiore.
Nei comuni programmi di videoscrittura, tipo Word, l’interlinea è automatica di default, anche quando impostata su “singola”. Questo significa che il programma calcola automaticamente quale è il punto più alto di tutti i caratteri e quale è il punto più basso, e regola di conseguenza la spaziatura tra le righe (e l’altezza visibile del cursore lampeggiante).
È per questo che si può osservare quel fenomeno altrimenti inspiegabile, per cui in un word processor dieci righe di Times New Roman in dimensione 12 sono molto meno alte di dieci righe in Papyrus in dimensione 12. La dimensione dichiarata del carattere ovviamente è la stessa, ma la app ci aggiunge, tra una linea e l’altra, abbastanza spazio da non creare interferenze.
Quindi, quando abbiamo un carattere in grandezza 12 punti tipografici, pari a 4,244mm, non solo non possiamo misurare nessuna lettera che abbia quella dimensione, ma non possiamo neanche prevedere quale sarà la distanza tra una riga e l’altra, ad esempio dalla punta della A alla punta della A che sta alla riga successiva, perché questa distanza viene stabilita di volta in volta dal software a seconda delle caratteristiche del font che è stato scelto.
Il lato negativo è che tutto ciò è un po’ intricato. Il lato positivo è che di solito la gente normale non si pone il problema “Quanto sarà alta una a in corpo 12?” Quindi non si accorge dell’intrico.


Nell'immagine: tre righe in Papyrus. Le due linee verdi rappresentano la grandezza del corpo dichiarato. Gli accenti sulle maiuscole escono interamente da questo spazio, e lo stesso fanno al di sotto i tratti discendenti. Se il programma di videoscrittura non aggiungesse spazio ulteriore tra una riga e l'altra, alcune lettere si sovrapporrebbero (come succede qui). Normalmente, l'interlinea è calcolata in automatico. In tal modo si spiega perché dieci righe di Times New Roman occupano meno spazio, in altezza, di dieci righe in Papyrus, a parità di dimensione (corpo).

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