Il Type Designer non esiste in natura
Oggi si dà per scontato che i caratteri siano disegnati da un Type Designer, il quale è un genio, che lavora da solo, una celebrità. Scrive il sito Circutous Root che non è sempre stato così. La figura del Type Designer nasce alla fine dell’Ottocento, come strategia di marketing per contrastare l’avvento della litografia, che permetteva di realizzare pubblicità molto più varie, con i caratteri disegnati di volta in volta in armonia con le illustrazioni circostanti. Nacque così l’esigenza di innovare anche nella tipografia, diffondendo caratteri fantasiosi per tutte le esigenze. La teoria viene definita eretica dallo stesso sito. I Type designer emergerebbero solo dopo il revival messo in atto da William Morris e dopo l’Arts and Crafts movement.
“I Type Designers cambiano il mondo (come fece Morris), sono grandi personaggi (come Frederic Goudy), ribelli solitari (come Victor Hammer), artisti dai molti talenti (come William Dwiggins)”. Questo è l’immaginario moderno, secondo l’autore del sito, David McMillan, del Wisconsin, che ha lavorato a lungo coi caratteri metallici.
Ma per i primi quattro secoli di tipografia, il disegno di caratteri era un processo industriale come tanti altri. Noi oggi guardiamo una forchetta, una tazzina di caffè, una lavatrice, un telefono cellulare, e non vogliamo leggere l’autobiografia della persona che ha realizzato il disegno. Primo, perché in fondo non c’è niente di particolarmente artistico, ma una rielaborazione di modelli esistenti, con numerose limitazioni tecniche e funzionali. Secondo perché non necessariamente c’è stata una sola persona che se n’è occupata. Uno ha fatto il disegno iniziale, che poi è stato corretto dallo stesso disegnatore o da un altro, sulla base di indicazioni arrivate da un dirigente, un ufficio, un addetto apposito.
Lo stesso discorso vale per i caratteri. Un’azienda doveva produrre un carattere per un determinato scopo? Affidava il compito ad un disegnatore. Un anonimo impiegato dell’azienda. C’erano vari passaggi per arrivare dal disegno al carattere metallico vero e proprio. Quindi altre persone coinvolte, correzioni e aggiunte da fare. Una certa lettera ha una certa forma non perché piaceva al disegnatore, ma perché il responsabile del progetto l’aveva imposta, tenendo conto delle esigenze dei committenti. E delle limitazioni tecniche delle attrezzature.
Quindi, mentre oggi ci pare scontato che ogni font è associato al nome di un autore, per i font prodotti prima dell’inizio del Novecento non conosciamo niente. Né il nome dell’autore, né il procedimento preciso con cui veniva realizzato. E lo stesso avviene spesso anche per i font di era pre-digitale. Col computer un designer può lavorare un font dai primi schizzi fino alla diffusione finale. Ma coi caratteri metallici il procedimento era industriale. C’era bisogno di uno stabilimento, di pantografi, di barre metalliche da lavorare, punzoni... Per forza di cose si trattava di un lavoro di squadra.
Del resto anche oggi le cose sono cambiate solo in parte. Se andiamo a vedere su Identifont la scheda del Bodoni della Elsner e Flake, dice che il disegnatore è Giambattista Bodoni, e l’anno il 1790. Possibile che nel Settecento Bodoni lavorasse a un font digitale? Difficile. È chiaro che lo staff della Ef ha lavorato a digitalizzare qualcosa che già esisteva. E di questo staff non è rimasta traccia. Nessun nome.
Il Bodoni di Adobe e Linotype viene attribuito a Giambattista Bodoni e Morris Fuller Benton. Anni 1790, 1908-15, 1986. Fuller Benton, nel 1908, lavorava a un font digitale? No di certo. E chi ci ha lavorato nel 1986, tenuto conto che Fuller Benton è morto nel 1948? E in che formato è stato rilasciato nell’86, tenuto conto che il formato Otf in cui viene diffuso adesso è stato elaborato solo dieci anni dopo? (Su Myfonts il file ha fatto il suo debutto nel 2000).
Insomma, se nell’immaginario collettivo il Type Designer è una star, un punto di riferimento, un eroe della sua epoca, bisogna tenere conto che la gran parte dei designers sono stati, e sono, semplici impiegati di una industria, che svolgono un lavoro tecnico, magari difficile, ma non necessariamente creativo e originale.
Di sicuro, oggi è molto più facile ritagliarsi il proprio piccolo spazio nella storia. Accanto ad ogni font viene rilasciato il nome della persona o delle persone che ci hanno lavorato. E i computer permettono anche ai singoli, al di fuori di qualsiasi industria, di realizzare in solitaria il proprio lavoro, e renderlo pubblico con tanto di firma.
Resta il fatto che quella di Type desiger è una invenzione moderna. E questo è facile da capire. Molto più complesso è il discorso, che si fa sempre su Circuitous Root, che lo stesso concetto di “Typeface”, tipo di carattere, è moderno. Una considerazione interessante, che non si trova facilmente altrove, tantomeno in italiano dove una parola corrispondente a typeface neanche c’è. A maggior ragione la figura di una persona che disegna il typeface è moderna, visto che in passato non esistevano typefaces. Altre pagine interessantissime sullo stesso sito affrontano nel dettaglio la questione.
“I Type Designers cambiano il mondo (come fece Morris), sono grandi personaggi (come Frederic Goudy), ribelli solitari (come Victor Hammer), artisti dai molti talenti (come William Dwiggins)”. Questo è l’immaginario moderno, secondo l’autore del sito, David McMillan, del Wisconsin, che ha lavorato a lungo coi caratteri metallici.
Ma per i primi quattro secoli di tipografia, il disegno di caratteri era un processo industriale come tanti altri. Noi oggi guardiamo una forchetta, una tazzina di caffè, una lavatrice, un telefono cellulare, e non vogliamo leggere l’autobiografia della persona che ha realizzato il disegno. Primo, perché in fondo non c’è niente di particolarmente artistico, ma una rielaborazione di modelli esistenti, con numerose limitazioni tecniche e funzionali. Secondo perché non necessariamente c’è stata una sola persona che se n’è occupata. Uno ha fatto il disegno iniziale, che poi è stato corretto dallo stesso disegnatore o da un altro, sulla base di indicazioni arrivate da un dirigente, un ufficio, un addetto apposito.
Lo stesso discorso vale per i caratteri. Un’azienda doveva produrre un carattere per un determinato scopo? Affidava il compito ad un disegnatore. Un anonimo impiegato dell’azienda. C’erano vari passaggi per arrivare dal disegno al carattere metallico vero e proprio. Quindi altre persone coinvolte, correzioni e aggiunte da fare. Una certa lettera ha una certa forma non perché piaceva al disegnatore, ma perché il responsabile del progetto l’aveva imposta, tenendo conto delle esigenze dei committenti. E delle limitazioni tecniche delle attrezzature.
Quindi, mentre oggi ci pare scontato che ogni font è associato al nome di un autore, per i font prodotti prima dell’inizio del Novecento non conosciamo niente. Né il nome dell’autore, né il procedimento preciso con cui veniva realizzato. E lo stesso avviene spesso anche per i font di era pre-digitale. Col computer un designer può lavorare un font dai primi schizzi fino alla diffusione finale. Ma coi caratteri metallici il procedimento era industriale. C’era bisogno di uno stabilimento, di pantografi, di barre metalliche da lavorare, punzoni... Per forza di cose si trattava di un lavoro di squadra.
Del resto anche oggi le cose sono cambiate solo in parte. Se andiamo a vedere su Identifont la scheda del Bodoni della Elsner e Flake, dice che il disegnatore è Giambattista Bodoni, e l’anno il 1790. Possibile che nel Settecento Bodoni lavorasse a un font digitale? Difficile. È chiaro che lo staff della Ef ha lavorato a digitalizzare qualcosa che già esisteva. E di questo staff non è rimasta traccia. Nessun nome.
Il Bodoni di Adobe e Linotype viene attribuito a Giambattista Bodoni e Morris Fuller Benton. Anni 1790, 1908-15, 1986. Fuller Benton, nel 1908, lavorava a un font digitale? No di certo. E chi ci ha lavorato nel 1986, tenuto conto che Fuller Benton è morto nel 1948? E in che formato è stato rilasciato nell’86, tenuto conto che il formato Otf in cui viene diffuso adesso è stato elaborato solo dieci anni dopo? (Su Myfonts il file ha fatto il suo debutto nel 2000).
Insomma, se nell’immaginario collettivo il Type Designer è una star, un punto di riferimento, un eroe della sua epoca, bisogna tenere conto che la gran parte dei designers sono stati, e sono, semplici impiegati di una industria, che svolgono un lavoro tecnico, magari difficile, ma non necessariamente creativo e originale.
Di sicuro, oggi è molto più facile ritagliarsi il proprio piccolo spazio nella storia. Accanto ad ogni font viene rilasciato il nome della persona o delle persone che ci hanno lavorato. E i computer permettono anche ai singoli, al di fuori di qualsiasi industria, di realizzare in solitaria il proprio lavoro, e renderlo pubblico con tanto di firma.
Resta il fatto che quella di Type desiger è una invenzione moderna. E questo è facile da capire. Molto più complesso è il discorso, che si fa sempre su Circuitous Root, che lo stesso concetto di “Typeface”, tipo di carattere, è moderno. Una considerazione interessante, che non si trova facilmente altrove, tantomeno in italiano dove una parola corrispondente a typeface neanche c’è. A maggior ragione la figura di una persona che disegna il typeface è moderna, visto che in passato non esistevano typefaces. Altre pagine interessantissime sullo stesso sito affrontano nel dettaglio la questione.
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