Ano
Uno dei caratteri col nome peggiore in assoluto è l’Ano, disegnato da Gareth Hague ovvero Alias nel 2012. Tanto più che non si tratta di un progetto amatoriale, ma di un font commerciale, anzi, di una famiglia di 54 fonts venduti ad un prezzo di oltre 540 euro. Il fatto è che l’autore è basato a Londra ed evidentemente non ha molta dimestichezza con la lingua italiana.
Il problema è sempre presente per chi vuole vendere prodotti sul mercato internazionale. Circolano su internet numerosi esempi di brand failure, spesso veramente imbarazzanti (anche se non necessariamente verificati, ci sono discussioni aperte in proposito).
Comunque, visto che il carattere in questione era stato progettato per la rivista Another Man, l’idea iniziale non era sconclusionata: prendere le prime tre lettere del nome della rivista e usare quelle.
Le stranezze del carattere sono tante. Prima di tutto è sempre disponibile la versione back italic, cioè un corsivo inclinato a sinistra.
C’è poi una versione in cui le maiuscole hanno la stessa forma delle minuscole, ma più grandi.
E quella in cui le maiuscole sono larghe, più o meno con le dimensioni del quadrato, mentre le minuscole hanno la stessa forma delle maiuscole, ma in versione condensata (larghe mezzo quadrato). In questo modo si possono alternare lettere larghe e strette nella stessa parola, a seconda delle esigenze.
Su Fonts In Use sono segnalati ben 21 usi dell’Ano, alcuni più appariscenti di altri. Ad esempio l’insegna di una boutique a Edinburgo, Rabble, con la A e la seconda B nella versione stretta, mentre la E finale ha le dimensioni della maiuscola e la forma della minuscola.
Di Hague Myfonts non dice molto. Il suo nome lo scrive usando il suo Harbour, del 1998, una via di mezzo tra latino (geometrico) e tedesco (calligrafico). Ne viene fuori una specie di blackletter dalle forme moderne. Interessante. E non ha nemmeno un nome imbarazzante (harbour in inglese vuol dire porto).
Il problema è sempre presente per chi vuole vendere prodotti sul mercato internazionale. Circolano su internet numerosi esempi di brand failure, spesso veramente imbarazzanti (anche se non necessariamente verificati, ci sono discussioni aperte in proposito).
Comunque, visto che il carattere in questione era stato progettato per la rivista Another Man, l’idea iniziale non era sconclusionata: prendere le prime tre lettere del nome della rivista e usare quelle.
Le stranezze del carattere sono tante. Prima di tutto è sempre disponibile la versione back italic, cioè un corsivo inclinato a sinistra.
C’è poi una versione in cui le maiuscole hanno la stessa forma delle minuscole, ma più grandi.
E quella in cui le maiuscole sono larghe, più o meno con le dimensioni del quadrato, mentre le minuscole hanno la stessa forma delle maiuscole, ma in versione condensata (larghe mezzo quadrato). In questo modo si possono alternare lettere larghe e strette nella stessa parola, a seconda delle esigenze.
Su Fonts In Use sono segnalati ben 21 usi dell’Ano, alcuni più appariscenti di altri. Ad esempio l’insegna di una boutique a Edinburgo, Rabble, con la A e la seconda B nella versione stretta, mentre la E finale ha le dimensioni della maiuscola e la forma della minuscola.
Di Hague Myfonts non dice molto. Il suo nome lo scrive usando il suo Harbour, del 1998, una via di mezzo tra latino (geometrico) e tedesco (calligrafico). Ne viene fuori una specie di blackletter dalle forme moderne. Interessante. E non ha nemmeno un nome imbarazzante (harbour in inglese vuol dire porto).
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