Blackadder, Jacob Riley
Il Blackadder è un font molto riconoscibile e anche molto diffuso, visto che è incluso da Microsoft in molti suoi programmi, tra cui la suite Office del 2000 e del 2007.
Ricorda le lettere manoscritte su un foglio di carta ruvida o pergamena come uno le immagina nel Seicento o giu di lì.
Ma le informazioni che vengono diffuse in proposito sono pochissime. Anno di nascita, 1996, disegno di Bob Anderton. Tutto qui.
Sono pochi anche i tag: pirate, decorative, folky, ghost, quaint e script, su Myfonts.
Il font ha una certa popolarità anche perché è stato scelto per fare da sfondo ai dibattiti presidenziali negli Stati Uniti: alle spalle dei due candidati, nei faccia a faccia prima delle elezioni, c’era infatti il testo della dichiarazione d’indipendenza, in colore chiaro su fondo blu.
Nella realtà la dichiarazione venne scritta in corsiva inglese, ma evidentemente non interessava dare una riproduzione fedele. Tanto più che in varie parti del mondo, tra cui gli Usa, si sta dismettendo lo studio scolastico della corsiva inglese. Alle nuove generazioni si insegna solo lo stampatello, anche per scrivere a mano. Il Blackadder è una specie di italico, tenuto conto che è inclinato a destra. Calligrafia cancelleresca, chancery style, direi guardando le bandierine all’estremità superiore delle aste, ma con svolazzi abbastanza elaborati nelle maiuscole.
Di Bob Anderton Myfonts non ha note biografiche e conosce solo quattro famiglie. Di cui due sono coi bordi delle lettere irregolari, a simulare la scrittura su superficie ruvida: Itc Mithras e Buccaneer della Monotype.
L’ultima invece è strana: Lino Cut, sempre della Itc. Senza grazie, larghezza del tratto abbastanza costante, movimentato come se fosse scritto a mano, leggermente inclinato a destra, ma con tanti frammenti attorno al profilo delle lettere. Anno di disegno 1990. Tra i pochi tag di Myfonts c’è “shaky”, tremolante.
A proposito del tag “pirate”, al primo posto della classifica di Myfontsci sta il Jacob Riley, “basato su antichi specimen di stampatori del Diciottesimo secolo”, disegnato a mano con pennino e inchiostro. Disegnatrice Jessica Mc Carty, anno 2011, pubblicato da Magpie Paper Works.
La McCarty, di cui si sa solo che è americana, è molto più prolifica dal punto di vista di Myfonts.
18 famiglie, tutte handwritten.
Al primo posto della classifica il sito ci mette il Liesel, corsivo sempre ispirato a qualche scritto d’epoca (con la d ad asta curva). Poi c’è il Quimbly, senza grazie manoscritto, poi, dopo il Jacob Riley, il Vermandois, un corsivo molto più movimentato, da scrittura di tutti i giorni.
All’ultimo posto ci è finito il Ghouiligoo, e non a caso. Le lettere sono delle macchie, come schizzi di vernice viscosa. “Perfetto per giornalini a fumetti, decorazioni di Halloween e apocalisse zombie”, spiega la didascalia. Disponibile sia nella versione solida, sia separatamente interno e linea esterna, per chi vuole fare scritte bicolori.
Immagino non abbia avuto troppo successo.
Del resto nulla di questa disegnatrice è mai stato segnalato a Fonts In Use. Dove invece c’è una sola segnalazione del Blackadder, usato per la locandina di un film del 2016, The Birth of a nation, diffuso in Italia col titolo “The birth of a Nation – Il risveglio di un popolo”, che parla di una rivolta degli schiavi in Virginia nella prima metà dell’Ottocento.
Ricorda le lettere manoscritte su un foglio di carta ruvida o pergamena come uno le immagina nel Seicento o giu di lì.
Ma le informazioni che vengono diffuse in proposito sono pochissime. Anno di nascita, 1996, disegno di Bob Anderton. Tutto qui.
Sono pochi anche i tag: pirate, decorative, folky, ghost, quaint e script, su Myfonts.
Il font ha una certa popolarità anche perché è stato scelto per fare da sfondo ai dibattiti presidenziali negli Stati Uniti: alle spalle dei due candidati, nei faccia a faccia prima delle elezioni, c’era infatti il testo della dichiarazione d’indipendenza, in colore chiaro su fondo blu.
Nella realtà la dichiarazione venne scritta in corsiva inglese, ma evidentemente non interessava dare una riproduzione fedele. Tanto più che in varie parti del mondo, tra cui gli Usa, si sta dismettendo lo studio scolastico della corsiva inglese. Alle nuove generazioni si insegna solo lo stampatello, anche per scrivere a mano. Il Blackadder è una specie di italico, tenuto conto che è inclinato a destra. Calligrafia cancelleresca, chancery style, direi guardando le bandierine all’estremità superiore delle aste, ma con svolazzi abbastanza elaborati nelle maiuscole.
Di Bob Anderton Myfonts non ha note biografiche e conosce solo quattro famiglie. Di cui due sono coi bordi delle lettere irregolari, a simulare la scrittura su superficie ruvida: Itc Mithras e Buccaneer della Monotype.
L’ultima invece è strana: Lino Cut, sempre della Itc. Senza grazie, larghezza del tratto abbastanza costante, movimentato come se fosse scritto a mano, leggermente inclinato a destra, ma con tanti frammenti attorno al profilo delle lettere. Anno di disegno 1990. Tra i pochi tag di Myfonts c’è “shaky”, tremolante.
A proposito del tag “pirate”, al primo posto della classifica di Myfontsci sta il Jacob Riley, “basato su antichi specimen di stampatori del Diciottesimo secolo”, disegnato a mano con pennino e inchiostro. Disegnatrice Jessica Mc Carty, anno 2011, pubblicato da Magpie Paper Works.
La McCarty, di cui si sa solo che è americana, è molto più prolifica dal punto di vista di Myfonts.
18 famiglie, tutte handwritten.
Al primo posto della classifica il sito ci mette il Liesel, corsivo sempre ispirato a qualche scritto d’epoca (con la d ad asta curva). Poi c’è il Quimbly, senza grazie manoscritto, poi, dopo il Jacob Riley, il Vermandois, un corsivo molto più movimentato, da scrittura di tutti i giorni.
All’ultimo posto ci è finito il Ghouiligoo, e non a caso. Le lettere sono delle macchie, come schizzi di vernice viscosa. “Perfetto per giornalini a fumetti, decorazioni di Halloween e apocalisse zombie”, spiega la didascalia. Disponibile sia nella versione solida, sia separatamente interno e linea esterna, per chi vuole fare scritte bicolori.
Immagino non abbia avuto troppo successo.
Del resto nulla di questa disegnatrice è mai stato segnalato a Fonts In Use. Dove invece c’è una sola segnalazione del Blackadder, usato per la locandina di un film del 2016, The Birth of a nation, diffuso in Italia col titolo “The birth of a Nation – Il risveglio di un popolo”, che parla di una rivolta degli schiavi in Virginia nella prima metà dell’Ottocento.
Commenti
Posta un commento