Museo della stampa di Lodi
Uno dei musei italiani dedicati alla tipografia si trova a Lodi. In realtà il museo è dedicato alla “stampa e stampa d’arte”, quindi la parte propriamente tipografica occupa solo una sezione del museo. Altre sezioni riguardano la legatoria, la calcografia e la cartevalori, la rilievografia, la fabbricazione della carta, i torchi e le presse. In quest’ultima sezione viene segnalato un acquisto recente: il torchio Columbian, inventato da un americano e prodotto a Londra nella prima metà dell’Ottocento; nel museo c’è l’unico esemplare presente in Italia. Ovviamente il museo è meta di gite scolastiche, e organizza laboratori di vario genere, incluso quello di “stampa con timbri di patata”.
Per quanto riguarda la tipografia a caratteri mobili, il museo espone sia vecchie cassettiere in legno piene di caratteri da comporre a mano, sia macchine per la composizione automatica come monotype e linotype. Ci sono varie stampatrici, da quelle da tavole a quelle pianocilindriche. C’è pure una pedalina (azionata a pedale).
La home page è aggiornata costantemente: il prossimo evento che si annuncia, per sabato 26 maggio è la presentazione di un libro stampato in 150 esemplari e contenente una xilografia, in vendita a 10 euro. L’argomento: i canti della prima guerra mondiale.
L’impaginazione del sito è classica: titoli in Trebuchet, testi in Times New Roman, menu in Arial. Fanno eccezione il logo e lo slogan (“dal piombo a internet”), che però sono in forma di immagini, per cui il font non è incorporato nella pagina.
Più che sul sito ufficiale, un’idea delle apparecchiature esposte uno può farsela sul sito Lombardia Beni Culturali. Qui c’è tutta la storia del torchio Columbian, di cui i proprietari vanno tanto fieri: “gioiello rarissimo”. Ciò che colpisce sono soprattutto le decorazioni: un’aquila, serpenti, fregi... A quanto pare è stato individuato dall’editore Tallone (di cui ci siamo già occupati: ancora oggi compone i libri a mano, lettera per lettera) nella casa di una famiglia inglese in Puglia. Era in pessimo stato, utilizzato come portavasi. È stato acquistato, restaurato, ed ora fa la sua figura nel museo. Progettato da un americano, fabbricato in Inghilterra, ha operato in India nel periodo coloniale, prima di finire chissà come in Italia.
Tra le altre apparecchiature, colpiscono un torchio calcografico del 1750, tutto in legno; una macchina per la composizione meccanica Typograph (alternativa alla linotype), con una fitta rete di fili d’acciaio a vista; la Intertype, una linotype con magazzini di matrici con protezione trasparente, che permettono di vedere lo spostamento dei caratteri durante la composizione.
C’è poi un torchio ottocentesco con cui venivano stampati i volantini per i patrioti durante le cinque giornate di Milano, e una piccola rotativa proveniente dallo stabilimento in cui veniva stampata l’Unità.
Sul sito c’è anche la foto della Pedalina fabbricata dall’azienda Saroglia di Torino a partire dal 1923. Il nome è celebre grazie al film con Totò “La banda degli onesti”: è quella che si vede al primo ingresso nella tipografia di Loturco, e quella su cui si lavora per stampare le banconote false. Nel film la fabbrica costruttrice viene chiamata “Bordini e Stocchetti di Torino”, ma la forma è la stessa: si vede quell’ingranaggio a sinistra dove Totò faceva un rumore strano, facendo insospettire il povero tipografo Loturco (Peppino De Filippo). Dice il sito che nel giro di cinquant’anni ne vennero costruiti oltre diecimila esemplari.
Per quanto riguarda la tipografia a caratteri mobili, il museo espone sia vecchie cassettiere in legno piene di caratteri da comporre a mano, sia macchine per la composizione automatica come monotype e linotype. Ci sono varie stampatrici, da quelle da tavole a quelle pianocilindriche. C’è pure una pedalina (azionata a pedale).
La home page è aggiornata costantemente: il prossimo evento che si annuncia, per sabato 26 maggio è la presentazione di un libro stampato in 150 esemplari e contenente una xilografia, in vendita a 10 euro. L’argomento: i canti della prima guerra mondiale.
L’impaginazione del sito è classica: titoli in Trebuchet, testi in Times New Roman, menu in Arial. Fanno eccezione il logo e lo slogan (“dal piombo a internet”), che però sono in forma di immagini, per cui il font non è incorporato nella pagina.
Più che sul sito ufficiale, un’idea delle apparecchiature esposte uno può farsela sul sito Lombardia Beni Culturali. Qui c’è tutta la storia del torchio Columbian, di cui i proprietari vanno tanto fieri: “gioiello rarissimo”. Ciò che colpisce sono soprattutto le decorazioni: un’aquila, serpenti, fregi... A quanto pare è stato individuato dall’editore Tallone (di cui ci siamo già occupati: ancora oggi compone i libri a mano, lettera per lettera) nella casa di una famiglia inglese in Puglia. Era in pessimo stato, utilizzato come portavasi. È stato acquistato, restaurato, ed ora fa la sua figura nel museo. Progettato da un americano, fabbricato in Inghilterra, ha operato in India nel periodo coloniale, prima di finire chissà come in Italia.
Tra le altre apparecchiature, colpiscono un torchio calcografico del 1750, tutto in legno; una macchina per la composizione meccanica Typograph (alternativa alla linotype), con una fitta rete di fili d’acciaio a vista; la Intertype, una linotype con magazzini di matrici con protezione trasparente, che permettono di vedere lo spostamento dei caratteri durante la composizione.
C’è poi un torchio ottocentesco con cui venivano stampati i volantini per i patrioti durante le cinque giornate di Milano, e una piccola rotativa proveniente dallo stabilimento in cui veniva stampata l’Unità.
Sul sito c’è anche la foto della Pedalina fabbricata dall’azienda Saroglia di Torino a partire dal 1923. Il nome è celebre grazie al film con Totò “La banda degli onesti”: è quella che si vede al primo ingresso nella tipografia di Loturco, e quella su cui si lavora per stampare le banconote false. Nel film la fabbrica costruttrice viene chiamata “Bordini e Stocchetti di Torino”, ma la forma è la stessa: si vede quell’ingranaggio a sinistra dove Totò faceva un rumore strano, facendo insospettire il povero tipografo Loturco (Peppino De Filippo). Dice il sito che nel giro di cinquant’anni ne vennero costruiti oltre diecimila esemplari.
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