Benguiat
Ed Benguiat è un disegnatore di caratteri nato nel 1927, vivente. Su Wikipedia in inglese c’è una sua foto scattata durante una conferenza: ha i baffi e il cappellino da baseball. Sul resto di internet ci sono suoi ritratti. Il cappellino serve a coprire un problema di calvizie di vecchia data. Benguiat avrebbe totalizzato 600 disegni di caratteri, tra cui Bookman, Souvenir, Edwardian Script, Itc Bauhaus... Ha anche disegnato o ridisegnato i loghi di New York Times, Playboy, Ford, Sport Illustrated. Il carattere che porta il suo nome, l’Itc Benguiat, è finito sotto i riflettori l’anno scorso, grazie al telefilm Stranger Things. Infatti è stato usato per le lettere del logo, quelle che ricordano un’insegna luminosa di tubi a neon rossa.
Tant’è vero che il primo specimen che al momento compare nella pagina di Myfont dedicata al Benguiat riproduce quella scritta outline rossa di fronte a un fondo scuro (stellato). E uno dei tag è appunto “stranger things” (c’è pure “80s”).
Una giornalista del britannico Telegraph, incuriosita dall’interesse nato in rete per i caratteri di Benguiat dopo il lancio del telefilm, ha telefonato all’ottantottenne disegnatore per intervistarlo. Gli autori della serie tv non lo avevano mai sentito nominare, ma neanche lui conosceva il telefilm. Prima dell’intervista però ha visto il filmato di come appaiono le sue lettere nella sigla, per poterle commentare.
L’articolo è lungo e dettagliato: si parla della sua esperienza musicale (era batterista in un gruppo jazz), della sua passione per gli aerei (ha iniziato a pilotare durante la guerra mondiale, proprio nei cieli italiani e poi tedeschi), dei suoi primi lavori come disegnatore (ridicolo a dirsi: il suo primo lavoro consisteva nel cancellare l’incavatura tra i seni nella scollatura delle donne, per via della censura sulle riviste dell’epoca).
Chiaramente nessuno informa Benguiat che userà i suoi caratteri per un progetto commerciale. Lui lo viene a sapere soltanto dopo, vedendo i suoi caratteri ad esempio sulle copertine dei libri di Stephen King. Ma non si lamenta: finché incassa i diritti d’autore, va tutto bene, dice.
E poi quando guardandosi attorno, riconosce le sue lettere in un logo famoso, è soddisfatto. Pensa che in fondo il suo contributo alla società lo ha dato. Ha lasciato un segno.
Del New York Times si è occupato nel lontano 1966. Fino a quel momento, la testata del giornale includeva anche il punto finale, che in quell’occasione venne eliminato.
Do un’occhiata alla testata del New York Times, com’era prima e com’è diventata dopo. A prima vista mi pare identica. Si dice che l’intervento principale sia stato quello di assottigliare i tratti sottili. In realtà c’è un’impercettibile cambiamento di proporzioni nella forma di alcune lettere, tipo la T e la s finale. E un cambio concettuale nella grazia centrale della w.
Ma soprattutto l’innovazione principale sta nel famoso quadratino aggrappato al tratto sottile della T (che compare due volte, nella prima e nell’ultima parola). Fino ad allora, in quel punto ci stava una tacca sottile, come una v capovolta, dai fianchi curvi.
Certo, senza quel quadratino la testata del Times non è la stessa.
Per curiosità do un’occhiata alla T dell’Old English: a parte il tratto che si appoggia al segno curvo sulla sinistra, che è concepito in maniera completamente diversa; sulla verticale sottile non c’è assolutamente niente, né tacche né quadrati.
Tant’è vero che il primo specimen che al momento compare nella pagina di Myfont dedicata al Benguiat riproduce quella scritta outline rossa di fronte a un fondo scuro (stellato). E uno dei tag è appunto “stranger things” (c’è pure “80s”).
Una giornalista del britannico Telegraph, incuriosita dall’interesse nato in rete per i caratteri di Benguiat dopo il lancio del telefilm, ha telefonato all’ottantottenne disegnatore per intervistarlo. Gli autori della serie tv non lo avevano mai sentito nominare, ma neanche lui conosceva il telefilm. Prima dell’intervista però ha visto il filmato di come appaiono le sue lettere nella sigla, per poterle commentare.
L’articolo è lungo e dettagliato: si parla della sua esperienza musicale (era batterista in un gruppo jazz), della sua passione per gli aerei (ha iniziato a pilotare durante la guerra mondiale, proprio nei cieli italiani e poi tedeschi), dei suoi primi lavori come disegnatore (ridicolo a dirsi: il suo primo lavoro consisteva nel cancellare l’incavatura tra i seni nella scollatura delle donne, per via della censura sulle riviste dell’epoca).
Chiaramente nessuno informa Benguiat che userà i suoi caratteri per un progetto commerciale. Lui lo viene a sapere soltanto dopo, vedendo i suoi caratteri ad esempio sulle copertine dei libri di Stephen King. Ma non si lamenta: finché incassa i diritti d’autore, va tutto bene, dice.
E poi quando guardandosi attorno, riconosce le sue lettere in un logo famoso, è soddisfatto. Pensa che in fondo il suo contributo alla società lo ha dato. Ha lasciato un segno.
Del New York Times si è occupato nel lontano 1966. Fino a quel momento, la testata del giornale includeva anche il punto finale, che in quell’occasione venne eliminato.
Do un’occhiata alla testata del New York Times, com’era prima e com’è diventata dopo. A prima vista mi pare identica. Si dice che l’intervento principale sia stato quello di assottigliare i tratti sottili. In realtà c’è un’impercettibile cambiamento di proporzioni nella forma di alcune lettere, tipo la T e la s finale. E un cambio concettuale nella grazia centrale della w.
Ma soprattutto l’innovazione principale sta nel famoso quadratino aggrappato al tratto sottile della T (che compare due volte, nella prima e nell’ultima parola). Fino ad allora, in quel punto ci stava una tacca sottile, come una v capovolta, dai fianchi curvi.
Certo, senza quel quadratino la testata del Times non è la stessa.
Per curiosità do un’occhiata alla T dell’Old English: a parte il tratto che si appoggia al segno curvo sulla sinistra, che è concepito in maniera completamente diversa; sulla verticale sottile non c’è assolutamente niente, né tacche né quadrati.
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