Museo delle scritture Manuzio a Bassiano
Il noto stampatore del Quattrocento e Cinquecento Aldo Manuzio era nato in un piccolo comune del Lazio, Bassiano, attualmente in provincia di Latina. Se ne era allontanato presto, per studiare a Roma e lavorare in altre parti d’Italia, prima di stabilirsi a Venezia dove fondò e fece prosperare la sua attività.
Tra le innovazioni che introdusse nella stampa ci sono l’uso del corsivo e il formato “in ottavo” (i libri “tascabili” dell’epoca, meno di 20 centimetri di altezza).
Bassiano è fiero di avere dato i natali ad un personaggio così illustre, e gli ha dedicato un monumento, una strada, una biblioteca, un bar... e un museo.
Il museo contiene ben poco dell’attività di Manuzio e dei suoi discendenti: meno di dieci libri, raccolti in un’unica stanza. Ma tutt’attorno è stato costruito un percorso che attraversa la storia della scrittura dalle origini ai nostri giorni, attraverso gli usi più disparati.
Ci sono riproduzioni delle tavolette cerate su cui scrivevano i romani, dei tessuti su cui scrivevano i popoli italici. Ci sono vecchi strumenti di scrittura, penne, pennini. Si arriva alle macchine da scrivere, dalla Olivetti M40 dell’inizio del Novecento fino alle ultime macchine elettriche. La carrellata si conclude con computer degli anni 80, tra cui l’Apple Macintosh e lo Zx Spectrum.
Ogni angolo, stanza, corridoio del museo è dedicato ad un uso diverso della scrittura: ci sono le scritture straniere (arabo, cinese, ebraico, cirillico), i cartelli di avvertimento (da un vecchio “Non sputare per terra” ad un “attenti agli squali” in lingua inglese), i telegrammi, i marchi per il bestiame, i graffiti urbani, eccetera. Una stanza è riempita di banchi e quaderni della prima metà del Novecento, e cappelli goliardici universitari (che sono caduti in disuso).
Qua e là ci sono opere d’arte moderna sul tema della scrittura: sculture in materiali poveri, un volto realizzato con i libri o con circuiti dei computer, una macchina del tempo con una finta intervista a Manuzio, eccetera. All’ingresso, per vedere degli ideogrammi, una strana installazione in cui bisogna guardare attraverso dei buchini: ogni buco un ideogramma.
Stranezze a parte, i cimeli che mi interessano di più, ovviamente, sono quelli tipografici.
All’ingresso, in quella che era la stalla del palazzo Caetani (gli stessi che erano proprietari del noto castello della vicina Sermoneta) è esposta una classica pressa a torchio, in metallo, che viene ancora utilizzata per dare dimostrazioni stampa.
Nel più grande di laboratori c’è una ingombrante pressa piano-cilindrica col marchio di Norberto Arbizzoni – Meccanico – Monza”.
Accanto, una cassettiera con ben 24 tipi di carattere diversi.
All’altro capo della stanza, una pressa Liberty, tedesca, con marchio “F.M.Weilers Liberty Machine Works”.
Entrambi i macchinari potrebbero risalire alla seconda metà dell’Ottocento.
Il museo ha varie postazioni multimediali, e organizza anche laboratori pratici per i ragazzi. Tra le altre attività, la scrittura con canne intagliate come nel medioevo, o l’uso di timbri rudimentali realizzati incidendo in rilievo le lettere dell’alfabeto sui tappi di sughero.
Il sito web, realizzato dagli studenti dell’Itis, contiene qualche foto, numeri e indirizzi per mettersi in contatto coi responsabili.
Tra le innovazioni che introdusse nella stampa ci sono l’uso del corsivo e il formato “in ottavo” (i libri “tascabili” dell’epoca, meno di 20 centimetri di altezza).
Bassiano è fiero di avere dato i natali ad un personaggio così illustre, e gli ha dedicato un monumento, una strada, una biblioteca, un bar... e un museo.
Il museo contiene ben poco dell’attività di Manuzio e dei suoi discendenti: meno di dieci libri, raccolti in un’unica stanza. Ma tutt’attorno è stato costruito un percorso che attraversa la storia della scrittura dalle origini ai nostri giorni, attraverso gli usi più disparati.
Ci sono riproduzioni delle tavolette cerate su cui scrivevano i romani, dei tessuti su cui scrivevano i popoli italici. Ci sono vecchi strumenti di scrittura, penne, pennini. Si arriva alle macchine da scrivere, dalla Olivetti M40 dell’inizio del Novecento fino alle ultime macchine elettriche. La carrellata si conclude con computer degli anni 80, tra cui l’Apple Macintosh e lo Zx Spectrum.
Ogni angolo, stanza, corridoio del museo è dedicato ad un uso diverso della scrittura: ci sono le scritture straniere (arabo, cinese, ebraico, cirillico), i cartelli di avvertimento (da un vecchio “Non sputare per terra” ad un “attenti agli squali” in lingua inglese), i telegrammi, i marchi per il bestiame, i graffiti urbani, eccetera. Una stanza è riempita di banchi e quaderni della prima metà del Novecento, e cappelli goliardici universitari (che sono caduti in disuso).
Qua e là ci sono opere d’arte moderna sul tema della scrittura: sculture in materiali poveri, un volto realizzato con i libri o con circuiti dei computer, una macchina del tempo con una finta intervista a Manuzio, eccetera. All’ingresso, per vedere degli ideogrammi, una strana installazione in cui bisogna guardare attraverso dei buchini: ogni buco un ideogramma.
Stranezze a parte, i cimeli che mi interessano di più, ovviamente, sono quelli tipografici.
All’ingresso, in quella che era la stalla del palazzo Caetani (gli stessi che erano proprietari del noto castello della vicina Sermoneta) è esposta una classica pressa a torchio, in metallo, che viene ancora utilizzata per dare dimostrazioni stampa.
Nel più grande di laboratori c’è una ingombrante pressa piano-cilindrica col marchio di Norberto Arbizzoni – Meccanico – Monza”.
Accanto, una cassettiera con ben 24 tipi di carattere diversi.
All’altro capo della stanza, una pressa Liberty, tedesca, con marchio “F.M.Weilers Liberty Machine Works”.
Entrambi i macchinari potrebbero risalire alla seconda metà dell’Ottocento.
Il museo ha varie postazioni multimediali, e organizza anche laboratori pratici per i ragazzi. Tra le altre attività, la scrittura con canne intagliate come nel medioevo, o l’uso di timbri rudimentali realizzati incidendo in rilievo le lettere dell’alfabeto sui tappi di sughero.
Il sito web, realizzato dagli studenti dell’Itis, contiene qualche foto, numeri e indirizzi per mettersi in contatto coi responsabili.
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