Diatronic
Il nome forse ha significato qualcosa nelle epoche passate, ma al giorno d’oggi è caduto pressoché nel dimenticatoio. Il sito dell’enciclopedia Britannica non ha una voce dedicata all’argomento, ma solo cinque righe nella pagina dedicata alle tecniche di stampa.
La Diatronic era una “phototypesetter” fabbricata in Germania, che aveva una tastiera e “plates” da 126 simboli. In pratica si trattava di una macchina per la fotocomposizione: la luce passava attraverso tutti i simboli sulla lastra, e dei prismi si posizionavano in maniera tale da selezionare solo la luce del carattere scelto.
L’enciclopedia non fornisce nessun riferimento temporale, ma elenca una grande quantità di phototypesetters, sia facenti parte di questa categoria sia di altre (dalle macchine manuali fino a quelle elettroniche).
Una lastra della Diatronic si può vedere su Wikipedia in inglese, nella pagina dedicata alla Berthold Type Foundry, “una delle fonderie più grandi e di maggior successo per gran parte della moderna era tipografica; rese possibile la transizione dalla tipografia “a caldo” a quella “a freddo” e si dissolse solo con l’arrivo dell’era digitale”. La lastra aveva le dimensioni di un palmo di mano. Era scura, con i caratteri in trasparenza, disposti in file e colonne secondo un’ordine apparentemente casuale. (se non per il fatto che ogni maiuscola si trova accanto alla corrispondente minuscola).
Due righe soltanto dedicate alla Diatronic, anche qui senza nessun riferimento temporale (la fonderia è attiva dalla metà dell’Ottocento).
Nella pagina di Wikipedia in inglese dedicata al phototypesetting almeno troviamo qualche data: la Diatronic è del 1967. Berthold aveva già realizzato le macchine Diatype nel 1960, e nel 1977 realizzò le macchine Ads. Secondo l’articolo l’azienda non aveva esperienza nel campo dell’equipaggiamento per la composizione a caldo, ma al momento del passaggio alla composizione a freddo entrò sul mercato, e i suoi prodotti furono i leader nel mercato europeo negli anni 60 e 70.
Qualcosa di più dettagliato sta sul sito Prepressure, dove c’è proprio una foto frontale della macchina Diatronic.
Lo “schermo” era di una sola linea. Sull’unità potevano essere installati 8 caratteri (lì dice “typefaces”, ma non è escluso che si tratti di “font”).
La carta ovviamente doveva essere carta fotografica.
Il resto dell’articolo è un’accozzaglia di altri eventi avvenuti lo stesso anni, sia nel mondo tipografico sia storico, scientifico, musicale e politico.
E questo mi pare sia tutto quello che c’è in evidenza sui motori di ricerca a proposito di questo argomento. Altri sistemi di fotocomposizione avevano le lastre organizzate in maniera completamente diversa. La Diatype ad esempio aveva le matrici a forma di disco. Una foto è visibile su Gizmodo.
Il meccanismo di funzionamento di queste macchine era molto più rudimentale, come si può osservare in un video postato su Youtube due anni fa da un tale Typography Guru. Qui non c’era una tastiera, ma una maniglia scorrevole che doveva essere tirata sul carattere da inserire nel testo.
Non c’era neanche un display, ma solo una scala graduata per far capire all’operatore a che punto della pagina si trovava. L’effetto finale non si sarebbe potuto vedere fino a quando la carta non fosse stata portata in camera oscura, e sviluppata con le normali tecniche fotografiche.
Nel video compaiono in sovrimpressione filmati, immagini e disegni d’epoca che rendono l’idea di come funzionava il sistema.
Si vedono anche macchine di altri tipi: come quella che aveva delle matrici uguali a quelle della linotype, ma con una finestrella trasparente attraverso cui passava il raggio di luce per imprimere la forma del carattere sulla carta.
La Diatronic era una “phototypesetter” fabbricata in Germania, che aveva una tastiera e “plates” da 126 simboli. In pratica si trattava di una macchina per la fotocomposizione: la luce passava attraverso tutti i simboli sulla lastra, e dei prismi si posizionavano in maniera tale da selezionare solo la luce del carattere scelto.
L’enciclopedia non fornisce nessun riferimento temporale, ma elenca una grande quantità di phototypesetters, sia facenti parte di questa categoria sia di altre (dalle macchine manuali fino a quelle elettroniche).
Una lastra della Diatronic si può vedere su Wikipedia in inglese, nella pagina dedicata alla Berthold Type Foundry, “una delle fonderie più grandi e di maggior successo per gran parte della moderna era tipografica; rese possibile la transizione dalla tipografia “a caldo” a quella “a freddo” e si dissolse solo con l’arrivo dell’era digitale”. La lastra aveva le dimensioni di un palmo di mano. Era scura, con i caratteri in trasparenza, disposti in file e colonne secondo un’ordine apparentemente casuale. (se non per il fatto che ogni maiuscola si trova accanto alla corrispondente minuscola).
Due righe soltanto dedicate alla Diatronic, anche qui senza nessun riferimento temporale (la fonderia è attiva dalla metà dell’Ottocento).
Nella pagina di Wikipedia in inglese dedicata al phototypesetting almeno troviamo qualche data: la Diatronic è del 1967. Berthold aveva già realizzato le macchine Diatype nel 1960, e nel 1977 realizzò le macchine Ads. Secondo l’articolo l’azienda non aveva esperienza nel campo dell’equipaggiamento per la composizione a caldo, ma al momento del passaggio alla composizione a freddo entrò sul mercato, e i suoi prodotti furono i leader nel mercato europeo negli anni 60 e 70.
Qualcosa di più dettagliato sta sul sito Prepressure, dove c’è proprio una foto frontale della macchina Diatronic.
Lo “schermo” era di una sola linea. Sull’unità potevano essere installati 8 caratteri (lì dice “typefaces”, ma non è escluso che si tratti di “font”).
La carta ovviamente doveva essere carta fotografica.
Il resto dell’articolo è un’accozzaglia di altri eventi avvenuti lo stesso anni, sia nel mondo tipografico sia storico, scientifico, musicale e politico.
E questo mi pare sia tutto quello che c’è in evidenza sui motori di ricerca a proposito di questo argomento. Altri sistemi di fotocomposizione avevano le lastre organizzate in maniera completamente diversa. La Diatype ad esempio aveva le matrici a forma di disco. Una foto è visibile su Gizmodo.
Il meccanismo di funzionamento di queste macchine era molto più rudimentale, come si può osservare in un video postato su Youtube due anni fa da un tale Typography Guru. Qui non c’era una tastiera, ma una maniglia scorrevole che doveva essere tirata sul carattere da inserire nel testo.
Non c’era neanche un display, ma solo una scala graduata per far capire all’operatore a che punto della pagina si trovava. L’effetto finale non si sarebbe potuto vedere fino a quando la carta non fosse stata portata in camera oscura, e sviluppata con le normali tecniche fotografiche.
Nel video compaiono in sovrimpressione filmati, immagini e disegni d’epoca che rendono l’idea di come funzionava il sistema.
Si vedono anche macchine di altri tipi: come quella che aveva delle matrici uguali a quelle della linotype, ma con una finestrella trasparente attraverso cui passava il raggio di luce per imprimere la forma del carattere sulla carta.
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