Milo
In inglese non si usano lettere accentate. Quindi chi scrive solo in inglese non ha bisogno di assicurarsi che nel font le lettere siano presenti. Il risultato può essere problematico in uno di quei rari casi in cui si va a inserire una parola straniera.
È capitato all’Economist di dover inserire la parola “italianità” in alcuni suoi articoli, e veniva fuori che la à visualizzata nel browser era diversa dalla a non accentata.
Cercando la parola “italianità” sul sito viene fuori che è stata utilizzata nove volte, nel corso degli anni. Però in gran parte dei casi mi pare che sia visualizzata correttamente, oggi. Fa eccezione un commento di un lettore nel 2008 che è rimasto scritto in Milo Serif Pro. Là le lettere accentate mancavano.
Gli articoli attuali sono scritti in Milo, che a quanto pare ha risolto il problema, sia nella versione regolare, sia in quella italica.
La sigla Te, presente in vari dei font usati nelle pagine del sito, farebbe pensare che si tratta di una versione personalizzata per la rivista (The Economist).
Il file si trova ospitato sul server del settimanale. Ho provato a sbirciarci dentro per leggere le note sul copyright, ma il formato non è un ttf o otf: è un woff2, quindi le informazioni di base non sono visibili nella scheda delle proprietà attivabile da Windows. Servirebbe forse un programma apposito, che io non ho.
Tra le impostazioni css del sito c’è anche una font-display: swap. Di che si tratta? “Istruisce il browser ad usare il fallback font per mostrare il testo fino a quando il font personalizzato è stato scaricato. Questo è conosciuto anche come ‘flash of unstyled text’”, spiega il sito Css-tricks. Cioè all’apertura della pagina, per un lampo il testo non è nel font previsto dal sito. Il tempo di scaricare il file.
A dire la verità Firefox mostra varie versioni del Milo, alcune delle quali non hanno le lettere accentate. Ma non mi sono messo ad indagare sulla funzione di ogni file.
Per quanto riguarda parte dei titoli e dei menu, è in uso l’EconSansOs, a giudicare dal nome un senza grazie progettato apposta per il settimanale.
La scheda del Milo su Fonts.com, è molto stringata. Designer Michael Abbink, fonderia FontFont. Didascalia di tre righe: alcuni caratteri sono misteriosi, come questo. Le sue origini sono un enigma … segretezza … bla bla ...” niente di interessante.
Più dettagliata quella su Myfonts: Abbink è americano, ha creato questo carattere tra 2009 e il 2010, “ideale per pubblicità, imballaggi, testo dei libri, pubblicazioni, loghi” eccetera, come per testi piccoli.
È dotato si svolazzi, legature, caratteri alternati, maiuscoletto e frazioni. I numeri sono in oldstile e lining, tabulari e proporzionali. Ha ricevuto un paio di premi nel 2011.
E l’EconSans? Secondo un utente di Quora il nome esatto è Economist Sans, di Dieter Hofrichter.
Il disegnatore è tedesco, nato a Manheim e studente della locale scuola d’arte.
Ha fondato nel 2010 la sua fonderia Hoftype, dice la sua scheda su Identifont.
Sebbene nel suo curriculum ci sia anche la calligrafia, tutti i font sono stampatelli abbastanza tradizionali, con grazie o senza. Niente calligrafici, né dingbats, né sperimentazioni strane.
Una cosa che noto è che molti dei font creati da lui hanno un nome italianeggiante: Cala, Corda, Cassia, Epoca, Foro, Pesaro, Carrara, Impara...
Fonts In Use segnala una decina di usi dei suoi fonts, ma non ha note biografiche.
Nessun riferimento all’Economist: il sito lo nomina solo per dire che nell’edizione cartacea usa Itc Officina Dis. a cui utente aggiunge Officina Sans e Ecohead per le pagine interne.
Officina è un nome collegato con quello di un disegnatore noto: Erik Spiekermann, autore del FF Meta (ancora marchio FontFont).
Sul sito di Hoftype al momento è in evidenza il Quant (serif con contrasto, 8 stili diversi. ).
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