Museo tipografico Rondani


Cercando sui motori di ricerca “museo tipografico”, uno dei risultati più in vista è il Museo tipografico Rondani di Carmagnola, vicino Torino, in Piemonte.
TripAdvisor lo cataloga col voto di 5.0: su 13 recensioni, 12 lo hanno catalogato come eccellente, 1 come molto buono.
“È un peccato che un museo simile non sia valorizzato quanto meriterebbe”, ha scritto un utente a giugno scorso.
Ironia della sorte, la recensione più dettagliata è scritta proprio dall’utente che ha dato il voto più basso. Si parla di “preziose edizioni, collezioni di manifesti devozionali, stampe e documenti vari” prima che di torchi e attrezzature tipografiche. Altri parlano di “matrici xilografiche e calcografiche”. Da tutte le parti arrivano complimenti alla guida molto preparata (“ottima ed espertissima”, dice un ragazzo).
Su Flickr ci sono solo un paio di scatti ad un torchio e a qualcosa senza didascalia.
Il sito ufficiale è molto ben fatto. All’inizio della pagina c’è la foto di una vetrina piena di libri d’epoca, settecenteschi forse.
Seguono vari brevi articoli tematici, oltre a una descrizione del museo. 
A quanto dice il sito, il museo prende il nome da Giuseppe Rondani, che iniziò a raccogliere i materiali esposti a partire dal 1888.
Rondani era titolare della tipografia Scolastica di Carmagnola. Il museo venne inaugurato già nell’aprile del 1921, al primo piano dello stesso edificio in cui, a piano terra, c’era l’attività commerciale. 
Per un certo periodo venne chiuso, i beni furono in parte dispersi, prima di aprire di nuovo al pubblico nel 1997.
A partire dal 2003 si trova nei locali che fino al 2000 erano stati la sede della Tipografia Scolastica.
Una vecchia foto mostra com’era il museo nel 1921: c’era un solo macchinario presente, un torchio ligneo che era stato usato per stampare il proclama del Santa Rosa.
Il torchio originale adesso è finito al Museo Nazionale del Risorgimento di Torino. A Carmagnola è comunque esposta una copia moderna, identica all’originale. Il sito racconta la storia del Proclama, e ne mostra anche la foto. Il fatto si riferisce ai moti del 1821, quando un corpo di spedizione costituito da trecento uomini a cavallo comandati da Santorre di Santa Rosa attraversò il paese, diretto ad Alessandria, dove doveva aver luogo la raccolta delle truppe rivoluzionarie.
I rivoltosi svegliarono in piena notte il tipografo Barbiè, e lo costrinsero a stampare il proclama, e anche un inno bellico in una sessantina di copie.
Per convincerlo a lavorare per loro, i liberali (che miravano a dichiarare guerra all’Austria per “porre il Re in istato di seguitare i movimenti del suo cuore veramente italiano”) gli firmarono un attestato nel quale certificavano che lo avevano costretto con la forza ad eseguire il lavoro di impaginazione e stampa. Attestato che a quanto pare gli fu utile in seguito, per giustificarsi davanti alle autorità.
Il comunicato è di poco più di una ventina di righe, sotto un semplice titolo “dichiarazione”, tutto maiuscolo, e una riga orizzontale decorata.
Seguono luogo e data, e le firme del Santa Rosa, maggiore di Stato Generale, e Guglielmo di Lisio, comandante due divisioni de’ cavalieri del Re.
Da notare che il nome del Re, presente più volte nel comunicato, è sempre inserito in maiuscoletto, mentre le cariche dei due firmatari sono scritte in corsivo.
Altro dettaglio tipografico: le firme sono tutte in maiuscolo, e la prima ha una spaziatura eccessiva tra una lettera e l’altra.
Da qui uno immagina Santa Rosa come un grande condottiero, la foto sulla sua scheda di Wikipedia lo mostra in abiti civili, con la parte superiore della testa calva, le basette lunghe, gli occhialetti da vista, e una specie di sigaretta in bocca.
La stessa pagina mostra pure una imponente statua del Santarosa in uniforme militare, col viso corrucciato, eretta nella piazza centrale di Savigliano (provincia di Cuneo).
Wikipedia racconta che il Re (Vittorio Emanuele I), abdicò in favore del fratello Carlo Felice. Il quale però non si trovava in Piemonte. La reggenza finì nelle mani di Carlo Alberto, che era d’accordo con Santorre e lo nominò ministro della Guerra (oggi si direbbe della Difesa. Ma a quell’epoca, in cui l’obiettivo dei rivoltosi era dichiarare guerra agli austriaci, questo nome era più appropriato).
Le illusioni furono brevi: Carlo Felice tornò in Piemonte appena sei giorni dopo il Pronunciamento emesso dai generali insorti (e la Dichiarazione stampata a Carmagnola), e sfiduciò Carlo Alberto.
Il quale, insieme con le sue truppe, abbandonò i rivoltosi al loro destino, e non tornò indietro neanche quando Santorre lo raggiunse a Novara e tentò di convincerlo a cambiare idea.
Santa Rosa riuscì a fuggire prima della repressione, e visse in esilio in prima in Svizzera, poi in Francia. Arrivò poi in Inghilterra, dove visse un periodo di crisi per la lontananza dalla patria e dalla famiglia.
Si arruolò infine nell’esercito greco, e morì in battaglia contro gli egiziani, difendendo l’isola di Sfacteria, nel corso della locale guerra di indipendenza.
Santa Rosa si era arruolato come soldato semplice sotto falso nome (Annibale de’ Rossi), a causa dell’ostilità degli inglesi per la presenza dei patrioti italiani.
La battaglia venne combattuta nel 1825, e persa. Solo nel 1927, con la battaglia di Navarino, la flotta franco-russo-inglese riuscì ad allontanare dalla baia i turco-egiziani.
Per tornare al museo di Carmagnola, mi pare che il font utilizzato nel logo sia il Benguiat.

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