Gazzetta di Modena

La testata della Gazzetta di Modena è in un french clarendon. In pratica un Playbill, font che evoca i saloon, il far west, le diligenze. E, in questo caso, l’Emilia Romagna.
Il giornale fa parte di quelli del Gruppo Espresso (ora confluito in Gedi). I titoli sono in Pt Serif, i testi della prima pagina in Arial. I testi degli articoli... non ci sono. In questo momento, forse per un problema tecnico, è possibile vedere solo titoli, foto, pubblicità e uno spazio bianco.
Il Pt Serif potrebbe essere caricato anche da Google, ma il sito ha deciso di appoggiarlo sul proprio server Gelestatic.
Fonts In Use segnala 17 usi del Playbill, tra cui ovviamente c’è un disco di “Saddle song of the west” (le canzoni dei cowboy), ma c’è tanto altro materiale che col west non c’entra niente. Inclusa la copertina di un libro di Melville, sulla quale appare il disegno di alcune corde. La didascalia del sito è costretta a spiegare che non si tratta del lazo dei cowboy, ma delle funi da marinaio.
Tra le varie segnalazioni, due programmi per computer del 1984 e 1985, che fornivano un vasto assortimento (una decina) di font molto avanzati per l’epoca (bitmap), tra i quali non poteva mancare il Playbill (sotto i nomi di Block o Western).
Il sito scrive che il carattere ottocentesco a cui è ispirato il Playbill era conosciuto col nome di French Antique, ed era in legno anziché in piombo (usato per titoli e poster, ovviamente, non per testi piccoli).
Il Playbill è una rivisitazione moderna, ma neanche tanto: l’anno di rilascio viene indicato nel 1938, designer Robert Harling.
Allo stesso disegnatore sono attribuiti anche il Tea Chest (uno stencil) e il Chisel (una versione decorata del Latin Bold).
La Gazzetta d Modena è stata fondata nel lontano 1859. Una minuscola riproduzione della prima pagina si può vedere su Wikipedia. Il font della testata era diverso. Al centro della testata c’era un simbolo che sembrerebbe quello dei Savoia (ma quell’anno ancora non c’era l’unità d’Italia). Per cui il nome del giornale risultava diviso in due. A sinistra la parola “gazzetta”, a destra “di Modena”. Tutto a caratteri slab maiuscoli in grassetto. Visto che il numero delle lettere era diverso, la prima parola aveva un notevole spazio tra una lettera e l’altra, la seconda parte invece era più ristretta. Dal punto di vista dell’impaginazione, si segnalano molte righe per il recapito e i prezzi (c’è un’intera tabella), niente foto o disegni, nessun titolo a più colonne (solo un titolino in neretto all’interno della colonna). L’impaginazione è a tre colonne separate da righe verticali nere.
Il simbolo dei Savoia si spiega facilmente: il giornale è stato fondato nove giorni dopo del passaggio della città dal ducato di Modena al Regno di Sardegna.
Venne assorbito dal giornale concorrente Il Panaro diciotto anni dopo, per cui il nome Gazzetta di Modena compariva in piccolo sotto la testata del Panaro.
Tra il 1911 e il 1945 operò a Modena una Gazzetta dell’Emilia che rivendicava continuità con la Gazzetta di Modena ottocentesca. Il nome attuale è stato ripreso soltanto dopo la fine della guerra mondiale.
Wikipedia fornisce pochissime informazioni. Un link ad un sito con prime pagine storiche arriva ad un 404-pagina non trovata. Il testo parla ancora del giornale come parte del gruppo Finegil, società che forse non esiste più dall’anno scorso. Non ha una pagina su Wikipedia, la ricerca del nome del gruppo è reindirizzata alla voce Gedi Gruppo Editoriale.
Il French Clarendon non ha una sua voce su Wikipedia in inglese, ma ha un intero paragrafo alla voce Clarendon.
Il Clarendon era uno slab serif rilasciato nel 1845 dalla Thorowgood di Londra.
Compare tuttora sui segnali stradali del National Park Service negli Stati Uniti.
La versione condensata è quella che è alla base della testata del Corriere della Sera.
Il Clarendon francese si distingue notevolmente per il fatto di avere le grazie orizzontali esageratamente più spesse dei tratti verticali.
È il procedimento opposto rispetto a quello che faceva Bodoni: tratti verticali spessi e grazie sottili. Molti pensano che sia sgradevole all’occhio, ma forse proprio per questo attira l’attenzione.
Nell’immaginario collettivo, il Clarendon francese compare sugli avvisi dei ricercati del far west, o sui manifesti del circo. Sulle locandine dei film western, o sulle copertine dei libri western. Era usato anche da altre parti del mondo.
Per quanto riguarda il nome, difficile ricostruirne l’origine. All’epoca tutti i caratteri strani venivano chiamati egiziani, anche se non avevano nulla a che fare con l’Egitto. Qualcuno aveva parlato anche di stile italiano, forse per qualche somiglianza con le capitali rustiche degli antichi romani. Alla fine prevalse la parola French.
Wikipedia mostra un primo rudimentale tentativo di usare caratteri “italiani” sulla copertina di un libro del 1836.
Un carattere di Google che ricorda alla lontana il Playbill è lo Smokum, di Astigmatic.
Non ottiene molto successo, a dire la verità. C’è da dire che i tratti verticali dello Smokum sono molto più sottili rispetto a quelli del Playbill. Questo a grandi dimensioni non crea problemi, a dimensioni medio piccole può creare un effetto fastidioso. Non ha neanche una versione grassetto. Insomma, se usato per imitare la testata della Gazzetta di Modena, fornisce un effetto completamente diverso.

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