I più e i meno popolari di Google

Oggi la classifica di Google dei font più popolari vede al primo posto il Roboto, seguito da Open Sans, Lato, Montserrat, Roboto Condensed, Oswald, Source Sans Pro e Raleway. Sono tutti senza grazie. Open Sans, Montserrat, e Raleway sono i più ingombranti in larghezza. Anche il Roboto lo è, ma non sembra (l’altezza della x è maggiore).
L’Oswald chiaramente è il più condensato di tutti.
Il primo dei serif è uno slab, lo Slabo 27px, seguito dal Merriweather, da un altro slab (Roboto Slab), e dal Playfair Display (noto per il contrasto elevato, adatto per i titoli).
Molto diffuso è il Roboto Mono, seguito tra i monospace dall’Inconsolata.
Tra i display e gli handwriting invece svettano l’Indie Flower (scritta a mano informale), il riconoscibile Lobster (corsivo display), il Patrick Hand (ancora script informale), il Pacifico (altro corsivo display, con meno contrasto e senza spigoli) e lo Shadows into Light (ancora script informale).
Il primo dei calligrafici eleganti è in Dancing Script, di Impallari Type.
Google al momento ha 900 famiglie di font esatte sul sito. Già che ci siamo diamo un’occhiata a quelle che stanno in coda alla lista.
L’ultimo in assoluto è lo Srisakdi, una specie di script con tratti a larghezza costante, f che scende sotto la linea di base con la stessa curva della g, s disegnata in due tratti, w che forma l’occhiello al cento.
Penultimo il Notable, un carattere di impatto, fatto solo di lettere maiuscole ad alto contrasto: a tratti molto spessi se ne alternano di sottili.
Più su c’è il Dokdo, con lettere senza grazie dai bordi incerti che non si allineano sulla linea di base. Lo vedrei bene sul retro della copertina di un disco per adolescenti.
Alla riga superiore troviamo lo Yeon Sung (tentativo di fare uno script con i tratti che si assottigliano e finiscono a punta), il Libre Barcode 128 (con le lettere che stanno al di sotto di un codice a barre) e il larghissimo BioRhyme Expandend.
Poco popolare anche l’Hanalei, con le lettere formate mettendo insieme canne di bambu.
Riscuotono poco successo ma attirano l’attenzione, in ordine sparso: il Butcherman (adatto ai titoli di un film dell’orrore), il Sevillana (calligrafico ordinato ad asse verticale, di concezione semplice con qualche svolazzo qua e là), il Mr Bedfort (calligrafico disordinato con asse inclinata a sinistra).
Gli ultimi della lista sono strani anche per quanto riguarda la classificazione. Srisakdi, che io avrei messo tra gli script, è un display. E ci può anche stare. Ma se togliamo i display, la lista si conclude con Biorhyme Expanded, Dokdo e Notable. Che sono evidentemente display, ma inseriti evidentemente nelle categorie sans serif e serif. Non credo che qualcuno abbia mai avuto in mente di scrivere un testo con questi caratteri.
Anzi, il Dokdo è catalogato come handwriting, come il Gamja Flower (script abbastanza decente) e l’Hi Melody (con le forme un po’ approssimative, i punti e le virgole fatte a cerchietto vuoto).
Tra i graziati più sfortunati ci sono il Suravaram, il Peddana, il Jacques Francois (Cyreal) e l’Asar (Sorkin Type). Più le versioni maiuscolette di qualche font più famoso. Vollkorn Sc, Almendra Sc, Im Fell Double Pica Sc (Sc sta per small caps, small capitals, maiuscole piccole, quindi maiuscoletto).
E tra i Mono? Il meno popolare è Ibm Plex Mono, uno di quelli che sono stati rilasciati più di recente. Penultimo è Overpass Mono. Poi risalendo ci sono il Nova Mono (fatto di tratti rotondi, insoliti), l’Oxygen Mono e il Cutive Mono (coi tratti più delicati, tipo Prestige Elite, ma con A alla Courier).
Uno dei font che non possono ottenere nessun successo a livello internazionale è il Fasthand: manca completamente non solo dell’alfabeto latino, ma anche dei numeri e dei segni di interpunzione. Ha solo le lettere Khmer cambogiane scritte a mano. Certo si può fare di meglio.

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