Letraset International Typeface Competition
Qualche anno fa Fonts In Use ha pubblicato le foto di un opuscolo del 1973, che annunciava i vincitori dei una competizione internazionale organizzata dalla Letraset. Una competizione di cui ho già sentito parlare per via del Traffic, uno stranissimo stencil che è semi-sconosciuto ma che io ho visto in almeno tre usi contemporanei, e di cui ho l’impressione di avere un ricordo più indietro nel tempo.
Strani gli usi contemporanei, tenuto conto che una versione digitale non si trova in vendita da nessuna parte (ci sono invece delle imitazioni gratuite, non troppo accurate). Dell’autore si sapeva il nome, e si sapeva che era svedese. Su questo opuscolo invece lo si può anche vedere in faccia, sebbene con una risoluzione che andava bene per i ricercati del far west.
Dell’autore non si conoscono altri font. Identifont ha preso nota di una sola versione del Traffic, realizzata nel 1995 per la divisione Agfa della Bayer Corporation, “non disponibile per l’acquisto”. Parecchi caratteri simili catalogati, ma tutti caratterizzati da tratti trasparenti verticali, mentre il segno distintivo del Traffic è l’andamento obliquo di tutte le strisce bianche, tutte parallele tra di loro.
Allo stesso concorso aveva partecipato il Roco, dell’inglese Collis Clemens. Il nome non dice nulla, ma qualcuno lo ha riconosciuto nel videogioco Sonic the Hedgehog 2, del 1992. Videogioco per il Sega Mega Drive, la cui risoluzione massima doveva essere sui 320x224. Insomma, non si era in epoca da font digitali scalabili da installare, è verosimile che qualcuno alla Sega abbia dovuto ridisegnare lettera per lettera, un pixel alla volta. Mi pare che ogni lettera sia alta 14 pixel, e larga probabilmente altrettanto.
Il primo premio, mille sterline, era stato assegnato ad un’americana, Carla Ward, per il Bombere, che deve essere una versione del Grotesque No.9, con lettere in 3d, trasparenti tranne gli spigoli.
Al secondo posto era finito il Magnificat, del canadese Friedrich Peter, un esperimento calligrafico dove ogni tratto è almeno raddoppiato (non troppo leggibile).
Al terzo posto c’era lo Stilla, di un francese, Francois Boltana.
Il post commenta alcuni dei font di cui si può vedere il nome, tra cui il Borderline dell’americano Thomas Gallo, che avrebbe bisogno di tante, tante lettere alternative per poterle incastrare una nell’altra.
Un esperimento interessante era il Good Vibrations, con sfumature graduali che scuriscono da sinistra a destra, per lo spessore del tratto, ma schiariscono nello stesso verso al posto del colore di sfondo.
Altri disegnatori avevano sperimentato sul greyscale: John Reid col Process, a lettere separate, e Christopher Lee, Regno Unito, che però aveva unito il colore di sfondo delle varie lettere, con l’effetto collaterale che era impossibile allineare esattamente due lettere sulla linea di base, e quindi si veniva a creare un disallineamento del colore di sfondo nel punto di contatto che appariva come una linea verticale più chiara tra una lettera e l’altra. (Letraset produceva i caratteri trasferibili – chiamati talvolta in Italia trasferelli – che dovevano essere passati su carta ricalcandoli a matita da un foglio che conteneva le lettere. Per forza di cose il risultato non poteva essere preciso).
Non ci sono italiani tra i partecipanti, ma ce n’è uno tra i giudici del concorso, un tale Marcello Minale, che ha anche una pagina di Wikipedia in italiano.
Nato a Tripoli, studiò arte e architettura in Italia per trovare poi lavoro in Finlandia, prima e poi, negli anni 60, a Londra dove fondò un agenzia che diventerà una delle più affermate nel mondo del design e della pubblicità.
La pagina in inglese di Wikipedia racconta molti dettagli in più. Ad esempio dice che Minale si fece notare anche per il logo della sua agenzia: lo Scribble, ovvero lo Scarabocchio. Che era veramente uno scarabocchio fatto a matita, senza forma precisa (facile da trovare oggi cercando “minale logo” sul web).
Tra i suoi clienti l’enciclopedia nomina Kodak, London Transport, British Airport Autority, Nestle, Harrods, Armani e vari altri.
Wikipedia elenca i suoi libri (alcuni per bambini, la gran parte di design), i suoi lavori, i suoi poster.
Strani gli usi contemporanei, tenuto conto che una versione digitale non si trova in vendita da nessuna parte (ci sono invece delle imitazioni gratuite, non troppo accurate). Dell’autore si sapeva il nome, e si sapeva che era svedese. Su questo opuscolo invece lo si può anche vedere in faccia, sebbene con una risoluzione che andava bene per i ricercati del far west.
Dell’autore non si conoscono altri font. Identifont ha preso nota di una sola versione del Traffic, realizzata nel 1995 per la divisione Agfa della Bayer Corporation, “non disponibile per l’acquisto”. Parecchi caratteri simili catalogati, ma tutti caratterizzati da tratti trasparenti verticali, mentre il segno distintivo del Traffic è l’andamento obliquo di tutte le strisce bianche, tutte parallele tra di loro.
Allo stesso concorso aveva partecipato il Roco, dell’inglese Collis Clemens. Il nome non dice nulla, ma qualcuno lo ha riconosciuto nel videogioco Sonic the Hedgehog 2, del 1992. Videogioco per il Sega Mega Drive, la cui risoluzione massima doveva essere sui 320x224. Insomma, non si era in epoca da font digitali scalabili da installare, è verosimile che qualcuno alla Sega abbia dovuto ridisegnare lettera per lettera, un pixel alla volta. Mi pare che ogni lettera sia alta 14 pixel, e larga probabilmente altrettanto.
Il primo premio, mille sterline, era stato assegnato ad un’americana, Carla Ward, per il Bombere, che deve essere una versione del Grotesque No.9, con lettere in 3d, trasparenti tranne gli spigoli.
Al secondo posto era finito il Magnificat, del canadese Friedrich Peter, un esperimento calligrafico dove ogni tratto è almeno raddoppiato (non troppo leggibile).
Al terzo posto c’era lo Stilla, di un francese, Francois Boltana.
Il post commenta alcuni dei font di cui si può vedere il nome, tra cui il Borderline dell’americano Thomas Gallo, che avrebbe bisogno di tante, tante lettere alternative per poterle incastrare una nell’altra.
Un esperimento interessante era il Good Vibrations, con sfumature graduali che scuriscono da sinistra a destra, per lo spessore del tratto, ma schiariscono nello stesso verso al posto del colore di sfondo.
Altri disegnatori avevano sperimentato sul greyscale: John Reid col Process, a lettere separate, e Christopher Lee, Regno Unito, che però aveva unito il colore di sfondo delle varie lettere, con l’effetto collaterale che era impossibile allineare esattamente due lettere sulla linea di base, e quindi si veniva a creare un disallineamento del colore di sfondo nel punto di contatto che appariva come una linea verticale più chiara tra una lettera e l’altra. (Letraset produceva i caratteri trasferibili – chiamati talvolta in Italia trasferelli – che dovevano essere passati su carta ricalcandoli a matita da un foglio che conteneva le lettere. Per forza di cose il risultato non poteva essere preciso).
Non ci sono italiani tra i partecipanti, ma ce n’è uno tra i giudici del concorso, un tale Marcello Minale, che ha anche una pagina di Wikipedia in italiano.
Nato a Tripoli, studiò arte e architettura in Italia per trovare poi lavoro in Finlandia, prima e poi, negli anni 60, a Londra dove fondò un agenzia che diventerà una delle più affermate nel mondo del design e della pubblicità.
La pagina in inglese di Wikipedia racconta molti dettagli in più. Ad esempio dice che Minale si fece notare anche per il logo della sua agenzia: lo Scribble, ovvero lo Scarabocchio. Che era veramente uno scarabocchio fatto a matita, senza forma precisa (facile da trovare oggi cercando “minale logo” sul web).
Tra i suoi clienti l’enciclopedia nomina Kodak, London Transport, British Airport Autority, Nestle, Harrods, Armani e vari altri.
Wikipedia elenca i suoi libri (alcuni per bambini, la gran parte di design), i suoi lavori, i suoi poster.
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