Digiset
Su Wikipedia la macchina Digiset viene nominata di sfuggita una sola volta, nella pagina in inglese dedicata alla fotocomposizione. Si sta parlando degli anni 60, delle prime fotocompositrici con monitor a tubo catodico. È stata appena nominata la serie Aps prodotta dalla Alphanumeric Corporation, poi chiamata Autologic. La Digiset viene sviluppata in Germania da Rudolf Hell. Questa tecnica (o questa macchina?) venne commercializzata negli Stati Uniti col nome di Videocomp, dalla Divisione Sistemi Grafici della Rca, poi messa sul mercato da Information International Inc., dice l’articolo.
All’epoca la frontiera non era soltanto la fotocomposizione, ma anche la messa a punto di macchine in grado di produrre nastro perforato per controllare le macchine per la composizione a caldo. In quel periodo vennero messi a punto i primi programmi per andare a capo in automatico.
Scrive il sito Design History che la Digiset è stata la prima macchina a lavorare con caratteri digitali. Erano caratteri bitmap, ovvero quelli che venivano disegnati un pixel alla volta, e non erano scalabili in automatico. Una linea che a piccole dimensioni sembra curva, in grandi dimensioni sarebbe apparsa composta di tanti gradini. Quindi ogni lettera andava ridisegnata varie volte, a ciascuna delle dimensioni alle quali doveva essere prodotta.
La Digiset è il primo vero sistema interamente digitale di composizione a freddo. I caratteri venivano riprodotti con un tubo catodico; la loro immagine veniva proiettata tramite delle lenti su pellicola o carta fotosensitiva. La velocità era di 1000 caratteri al secondo, dice il sito.
Che mostra anche una fotografia dell’apparecchio: a destra c’è una tastiera con supporto che arriva fino a terra. A sinistra due armadi, in uno dei quali si vedono rotoli di nastro per memorizzare le informazioni.
Nel 1968 venne disegnato il Digi Grotesk, primo font digitale, in sette pesi. Questo e i successivi vennero prodotti per l’Hell Design Studio.
Il sito 99 Designs parla della Digiset subito dopo un breve paragrafo sulle macchine per la fotocomposizione nelle quali il font era un disco, con tante finestrelle dove la lettera era ritagliata in trasparenza per far passare il raggio di luce, che, messo a fuoco da una lente e deviato da un prisma, andava poi a impressionare la carta fotografica o la pellicola.
“La macchina Digiset è precursore dei programmi di desktop publishing sui personal computer, solo che era molto, molto più grande”, dice l’articolo.
Lo stesso articolo parla anche del Digi Grotesk, subito dopo un consistente paragrafo sugli sforzi di Frutiger di creare qualcosa che compensasse i punti deboli delle prime macchine fotocompositrici.
Il Digigrotesk, pur essendo disegnato un pixel alla volta, non ha nulla a che vedere con le lettere a gradini che emersero sui computer degli anni Ottanta. Questo perché la risoluzione disponibile sulle macchine specializzate era molto maggiore rispetto a quella degli home computer che emersero poi (dove spesso la griglia era di soli 8x8 pixel, troppo scarsa per ottenere un risultato soddisfacente).
Le curve del DigiGrotesk non sono una serie di gradini: sono curve.
Il sito non fornisce cifre precise.
Un articolo su Medium afferma invece che per ogni glifo si aveva a disposizione una griglia di 100x200. E mostra una a minuscola larga 45 pixel.
Il testo contiene testimonianze dei protagonisti, ed è affiancato vari specimen cartacei dei primi font digitali.
L’articolo prosegue fino all’inizio degli anni 80, quando emerge il concetto di outline, ovvero di disegnare solo il contorno di ogni lettera, che è alla base della tipografia digitale moderna.
All’epoca la frontiera non era soltanto la fotocomposizione, ma anche la messa a punto di macchine in grado di produrre nastro perforato per controllare le macchine per la composizione a caldo. In quel periodo vennero messi a punto i primi programmi per andare a capo in automatico.
Scrive il sito Design History che la Digiset è stata la prima macchina a lavorare con caratteri digitali. Erano caratteri bitmap, ovvero quelli che venivano disegnati un pixel alla volta, e non erano scalabili in automatico. Una linea che a piccole dimensioni sembra curva, in grandi dimensioni sarebbe apparsa composta di tanti gradini. Quindi ogni lettera andava ridisegnata varie volte, a ciascuna delle dimensioni alle quali doveva essere prodotta.
La Digiset è il primo vero sistema interamente digitale di composizione a freddo. I caratteri venivano riprodotti con un tubo catodico; la loro immagine veniva proiettata tramite delle lenti su pellicola o carta fotosensitiva. La velocità era di 1000 caratteri al secondo, dice il sito.
Che mostra anche una fotografia dell’apparecchio: a destra c’è una tastiera con supporto che arriva fino a terra. A sinistra due armadi, in uno dei quali si vedono rotoli di nastro per memorizzare le informazioni.
Nel 1968 venne disegnato il Digi Grotesk, primo font digitale, in sette pesi. Questo e i successivi vennero prodotti per l’Hell Design Studio.
Il sito 99 Designs parla della Digiset subito dopo un breve paragrafo sulle macchine per la fotocomposizione nelle quali il font era un disco, con tante finestrelle dove la lettera era ritagliata in trasparenza per far passare il raggio di luce, che, messo a fuoco da una lente e deviato da un prisma, andava poi a impressionare la carta fotografica o la pellicola.
“La macchina Digiset è precursore dei programmi di desktop publishing sui personal computer, solo che era molto, molto più grande”, dice l’articolo.
Lo stesso articolo parla anche del Digi Grotesk, subito dopo un consistente paragrafo sugli sforzi di Frutiger di creare qualcosa che compensasse i punti deboli delle prime macchine fotocompositrici.
Il Digigrotesk, pur essendo disegnato un pixel alla volta, non ha nulla a che vedere con le lettere a gradini che emersero sui computer degli anni Ottanta. Questo perché la risoluzione disponibile sulle macchine specializzate era molto maggiore rispetto a quella degli home computer che emersero poi (dove spesso la griglia era di soli 8x8 pixel, troppo scarsa per ottenere un risultato soddisfacente).
Le curve del DigiGrotesk non sono una serie di gradini: sono curve.
Il sito non fornisce cifre precise.
Un articolo su Medium afferma invece che per ogni glifo si aveva a disposizione una griglia di 100x200. E mostra una a minuscola larga 45 pixel.
Il testo contiene testimonianze dei protagonisti, ed è affiancato vari specimen cartacei dei primi font digitali.
L’articolo prosegue fino all’inizio degli anni 80, quando emerge il concetto di outline, ovvero di disegnare solo il contorno di ogni lettera, che è alla base della tipografia digitale moderna.
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