Kotta One e la formula M di Dwiggins

Il Kotta One è un carattere gratuito di Google abbastanza singolare. È una via di mezzo tra un italico e un romano. Si direbbe upright italic se le aste fossero verticali, ma non lo sono. Hanno una percettibile inclinazione verso destra, ma meno pronunciata rispetto ad un corsivo normale.
Come i caratteri del Rinascimento, dice la didascalia, non è pensato per mettere in evidenza le parole in un testo romano, ma per essere usato in maniera a sé stante.
L’autrice è una donna, Ania Kruk, classe 87, nata in Polonia ma residente a Barcellona, scrive Luc Devroye.
Ha due font su Google: l’altro, più trendy, è il Cookie, uno script ordinato, ispirato agli anni 50 (Per lo specimen è stata scelta l’immagine di una pinup, o una fittizia copertina del Libro della Giungla di Kipling).
Devroye è riuscito a trovare ben poco altro.
Mi pare di capire che il nome Kotta deriva da Panna Kotta, il nome che era stato scelto per il font, o per una sua versione, intorno al 2010.
Comunque, nella scheda su Google, si fa riferimento alle idee del tipografo americano William Addison Dwiggins e alla sua “M-formula”. Che roba è?
Il nome di Dwiggins non è sconosciuto nel mondo della tipografia, e non solo. È considerato il primo ad avere usato il termine “graphic design”. Era molto critico sul modo in cui erano disegnati i caratteri nella sua epoca, pensava che la qualità stesse peggiorando (era nato nel 1880). Disegnò così il Metro, che è il suo primo carattere di successo .
È un senza grazie. I suoi caratteri più famosi, secondo Identifont sarebbero il Caledonia e l’Electra, entrambi con grazie.
Il Metro venne lanciato sul mercato nel 1929 dalla American Mergenthaler Linotype Company (Dwiggins è nato nell’Ohio). L’autore era già quarantanovenne, e questo era il suo primo lavoro in ambito tipografico.
Le lettere del Metro venivano diffuse in due versioni, per adattarsi ad ogni esigenza. La M poteva essere a fianchi paralleli o divergenti. La e poteva avere il tratto centrale rettilineo o curvo. La a della versione numero 1 era a due livelli, nella versione numero 2 era ad un livello solo. La g pure era disponibile in entrambe le versioni.
Dwiggins era appassionato di marionette. Non solo allestì qualche spettacolo, ma intagliò nel legno le facce delle sue marionette. E l’esperienza gli fu utile anche nel settore tipografico, tanto che la m di Formula M prende il nome appunto dalle marionette.
Il sito della Libre Graphic Research Unit racconta come si svolsero i fatti.
Dwiggins stava lavorando a intagliare il viso di una marionetta che doveva rappresentare una ragazza diciottenne, molto più difficile da fare rispetto al viso magari deformato di una persona anziana. Si era dato tanto da fare per ottenere dei tratti delicati, solo che si era reso conto che era lavoro sprecato, visto che tutta quella qualità non arrivava fino alle ultime file degli spettatori.
Invece di puntare sulle curve morbide, allora, aveva intagliato superfici piatte e spigolose. Da vicino l’effetto non era dei migliori, ma fin dalle ultime file quel viso veniva percepito come il viso attraente di una ragazza giovane.
Anche nelle decorazioni tipografiche pochi segni spigolosi ottengono un effetto più aggraziato rispetto agli accurati dettagli inseriti da Goudy nelle sue iniziali.
Così Dwiggins decise di applicare la stessa tecnica alle lettere normali dell’alfabeto. Anziché disegnare accuratamente la curvatura delle grazie, le semplificò in maniera abbastanza rozza. Anziché variare lo spessore del tratto in maniera graduale, lo fece bruscamente. Anziché puntare tutto sulla simmetria, sulla concordanza delle curve sui diversi lati di un tratto, disegnò dei contorni che sembravano seguire percorsi indipendenti. Viste a grandi dimensioni, le sue lettere erano sgradevoli. Ma stampate a piccole dimensioni, ottenevano un effetto inaspettato.
La stessa cosa che ha cercato di fare Ania Kruk col Kotta One. Che se ingrandito mostra di essere composto di tanti tratti spezzati, che però a piccole dimensioni non si notano.

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