Museo della carta e della filigrana di Fabriano
Il nome di Fabriano è significativo dal punto di vista storico. Il comune marchigiano, in provincia di Ancona, è sede di una industria della carta con radici nel Tredicesimo secolo. Molte invenzioni fondamentali che riguardano la lavorazione della carta vennero elaborate a Fabriano. Nel Trecento venivano prodotti un milione di fogli l’anno. Seguì un periodo di decadimento, e una ripresa alla fine del Settecento.
Oltre alle cartiere Miliani Fabriano, ancora in funzione, la città è sede di un museo della Carta e della Filigrana. Che ha un sito molto dettagliato, con una video presentazione di 14 minuti molto suggestiva.
Le prima inquadrature mostrano scritte calligrafiche fatte col pennino, e presse da stampa. Ma protagonista del documentario è ovviamente la carta.
Fabriano è stata scelta come location per l’industria cartaria grazie alla ricchezza d’acqua.
Una prima innovazione introdotta in loco è la pila idraulica a magli multipli che, mossi da un mulino ad acqua, riducono in poltiglia gli stracci che servivano a produrre la materia prima.
Una rudimentale forma di automazione, mentre il resto del procedimento andava fatto a mano: un uomo doveva prendere l’impasto da una tinozza con un apposito telaio di forma rettangolare. I fogli si fabbricavano uno alla volta, nulla a che vedere coi grandi rotoli che è possibile realizzare oggi.
Servivano sette anni di apprendistato per imparare i corretti movimenti necessari ad ottenere il foglio perfetto.
Il foglio veniva appoggiato su un panno, poi strizzato sotto una pressa per togliere gran parte dell’acqua, infine appeso a delle ingegnose mollette in grado di reggerlo senza fare pressione e senza rovinarlo.
La seconda invenzione nata a Fabriano era quella della collatura, che serviva per impermeabilizzare i fogli e renderli lisci e resistenti all’umidità e ai batteri.
La gelatina necessaria a questa operazione veniva ottenuta bollendo gli scarti delle concerie.
Poi ogni foglio veniva livellato a mano con un apposito strumento chiamato cialandro.
La terza grande invenzione di Fabriano è quella della filigrana, che permette di distinguere la carta prodotta da quella cartiera da quelle prodotte altrove.
Nel medioevo la filigrana si otteneva appunto cucendo col filo un disegno sul telaio rettangolare che trasforma l’impasto in un foglio. Dove c’è il filo, lo spessore della carta è leggermente minore rispetto allo spazio circostante.
Il sistema è famoso perché è uno di quelli che vengono tuttora utilizzati nella stampa di tutte le banconote, come mezzo immediato per distinguere quelle vere da quelle false. E la carta del Poligrafico dello Stato arriva appunto da una cartiera di Fabriano.
Con tecniche particolari era possibile anche ottenere a mano una filigrana in chiaroscuro, con tutte le sfumature intermedie tra la luce e l’ombra. La tecnica antica la conoscono oggi solo due persone, padre e figlia.
Nel filmato si vedono anche operazioni di composizione e stampa. Composizione a mano, coi caratteri metallici, come si faceva ai tempi di Manuzio e Bodoni (entrambi usarono carta di Fabriano), e stampa con una macchina pianocilindrica dell’Ottocento, azionata a manovella. All’epoca, servivano due persone per poter stampare: uno metteva i fogli, l’altra girava la manovella.
Nel filmato si vede anche un torchio in ghisa di fabbricazione tedesca, di concezione precedente, e la famosa pedalina, dove un unico operatore si occupava sia di inserire i fogli che di azionare il pedale che la metteva in funzione.
Qualche inquadratura la merita anche la Linotype, che serviva per la composizione del testo e che veniva azionata da un rumoroso motorino che muoveva cinghie e pezzi metallici. Il pezzo che si può vedere venne fabbricato alla fine dell’Ottocento, e lavorò fino al 1956 al quotidiano Il Tempo, di Roma.
Il sito del museo è molto dettagliato (anche se l’impaginazione potrebbe essere migliorata): contiene anche un elenco degli strumenti da stampa esposti, con tanto di fotografie. Ci sono tre torchi: lo Stanhope, l’Albion (entrambi pieni di decorazioni raffinate) e uno a barre di torsione, molto raro, con regolazione della pressione a doppio sistema di cunei.
Ci sono poi quattro pedaline (una delle quali venne prodotta dall’Augusta di Torino poco prima che diventasse Nebiolo) e una platina (in pratica una pedalina a motore elettrico, anni 50).
Infine ci sono monotype e linotype per la composizione, e torchio a stella per la litografia.
Oltre alle cartiere Miliani Fabriano, ancora in funzione, la città è sede di un museo della Carta e della Filigrana. Che ha un sito molto dettagliato, con una video presentazione di 14 minuti molto suggestiva.
Le prima inquadrature mostrano scritte calligrafiche fatte col pennino, e presse da stampa. Ma protagonista del documentario è ovviamente la carta.
Fabriano è stata scelta come location per l’industria cartaria grazie alla ricchezza d’acqua.
Una prima innovazione introdotta in loco è la pila idraulica a magli multipli che, mossi da un mulino ad acqua, riducono in poltiglia gli stracci che servivano a produrre la materia prima.
Una rudimentale forma di automazione, mentre il resto del procedimento andava fatto a mano: un uomo doveva prendere l’impasto da una tinozza con un apposito telaio di forma rettangolare. I fogli si fabbricavano uno alla volta, nulla a che vedere coi grandi rotoli che è possibile realizzare oggi.
Servivano sette anni di apprendistato per imparare i corretti movimenti necessari ad ottenere il foglio perfetto.
Il foglio veniva appoggiato su un panno, poi strizzato sotto una pressa per togliere gran parte dell’acqua, infine appeso a delle ingegnose mollette in grado di reggerlo senza fare pressione e senza rovinarlo.
La seconda invenzione nata a Fabriano era quella della collatura, che serviva per impermeabilizzare i fogli e renderli lisci e resistenti all’umidità e ai batteri.
La gelatina necessaria a questa operazione veniva ottenuta bollendo gli scarti delle concerie.
Poi ogni foglio veniva livellato a mano con un apposito strumento chiamato cialandro.
La terza grande invenzione di Fabriano è quella della filigrana, che permette di distinguere la carta prodotta da quella cartiera da quelle prodotte altrove.
Nel medioevo la filigrana si otteneva appunto cucendo col filo un disegno sul telaio rettangolare che trasforma l’impasto in un foglio. Dove c’è il filo, lo spessore della carta è leggermente minore rispetto allo spazio circostante.
Il sistema è famoso perché è uno di quelli che vengono tuttora utilizzati nella stampa di tutte le banconote, come mezzo immediato per distinguere quelle vere da quelle false. E la carta del Poligrafico dello Stato arriva appunto da una cartiera di Fabriano.
Con tecniche particolari era possibile anche ottenere a mano una filigrana in chiaroscuro, con tutte le sfumature intermedie tra la luce e l’ombra. La tecnica antica la conoscono oggi solo due persone, padre e figlia.
Nel filmato si vedono anche operazioni di composizione e stampa. Composizione a mano, coi caratteri metallici, come si faceva ai tempi di Manuzio e Bodoni (entrambi usarono carta di Fabriano), e stampa con una macchina pianocilindrica dell’Ottocento, azionata a manovella. All’epoca, servivano due persone per poter stampare: uno metteva i fogli, l’altra girava la manovella.
Nel filmato si vede anche un torchio in ghisa di fabbricazione tedesca, di concezione precedente, e la famosa pedalina, dove un unico operatore si occupava sia di inserire i fogli che di azionare il pedale che la metteva in funzione.
Qualche inquadratura la merita anche la Linotype, che serviva per la composizione del testo e che veniva azionata da un rumoroso motorino che muoveva cinghie e pezzi metallici. Il pezzo che si può vedere venne fabbricato alla fine dell’Ottocento, e lavorò fino al 1956 al quotidiano Il Tempo, di Roma.
Il sito del museo è molto dettagliato (anche se l’impaginazione potrebbe essere migliorata): contiene anche un elenco degli strumenti da stampa esposti, con tanto di fotografie. Ci sono tre torchi: lo Stanhope, l’Albion (entrambi pieni di decorazioni raffinate) e uno a barre di torsione, molto raro, con regolazione della pressione a doppio sistema di cunei.
Ci sono poi quattro pedaline (una delle quali venne prodotta dall’Augusta di Torino poco prima che diventasse Nebiolo) e una platina (in pratica una pedalina a motore elettrico, anni 50).
Infine ci sono monotype e linotype per la composizione, e torchio a stella per la litografia.
Commenti
Posta un commento