I manoscritti dei padri della Chiesa

Alcuni antichi manoscritti dei padri della Chiesa sono custoditi nella biblioteca capitolare di Verona. Parecchi anni fa, nel 2004, si è svolto un convegno dal titolo “Il Latino lingua della Chiesa”, e alcuni di questi manoscritti sono stati esposti.
Una descrizione dei documenti scelti per l’esposizione è stata pubblicata dal sito Argentoeno, con un’anteprima in bassa risoluzione di alcune antiche pagine.
Tra i numerosi manoscritti che fanno parte della collezione, sono stati scelti i più antichi, che sono meno attraenti dal punto di vista estetico, visto che mancano delle splendide miniature tardomedievali, ma più preziosi dal punto di vista storico.
Il più antico risale al 517.
Tra i libri esposti c’è anche l’Evangelario Purpureo, in caratteri onciali greci in oro e argento su pergamena sottilissima color porpora.
L’evangelario, che contiene tutti e quattro i vangeli in caratteri onciali e nella versione cosiddetta vetus latina (più vecchia di due secoli rispetto alla Vulgata di Sofronio Eusebio Girolamo) è stato in passato oggetto di venerazione, tanto da essere portato in processione nel Venerdì Santo, sorretto da un sacerdote accompagnato da due chierici coi ceri accesi.
San Bernardino ne rimase colpito, e lo descrisse in una delle sue prediche (nel Quattrocento).
Il colore porpora, nell’impero romano, era associato alla luminosità, ed era prerogativa dell’imperatore. Nel quarto secolo gli opifici della porpora di Tiro, che estraevano il colorante dai molluschi, divennero di proprietà imperiale.
L’idea di tingere di porpora le pagine di pergamena e usare anche oro e argento come inchiostro serviva per dare valore all’oggetto.
Esistono numerosi esemplari di codici purpurei: sul sito dell’enciclopedia Treccani c’è un intera pagina che li descrive nel dettaglio, ma non fa nessun riferimento riconducibile a Verona.
Il testo purpureo più famoso in Italia è il Codex Rossansensis, che si trova in Calabria ma è scritto in greco.
Quello più famoso nel resto del mondo forse è il Codex Argenteus di Uppsala, in Svezia, scritto in lingua gotica, anche se lì le pagine sono molto più scure.
L’uso di porpora e oro per arricchire i manoscritti è segnalato fino a dopo il mille. In epoca romanica e gotica però queste tecniche si usavano soltanto nelle miniature o come elemento di risalto. Piano piano la simbologia si è persa, salvo occasionali revival.
Una foto dell’evangelario veronese si può trovare sul sito La Storia Viva (ripreso dall’Arena).
Per quanto riguarda il convegno del 2005, una sintesi è stata pubblicata ancora sul sito Argentoeno, ma ovviamente si concentra sugli aspetti linguistici.
Una descrizione del manoscritto bizantino di Rossano si trova sul sito del museo diocesano che vi è stato allestito attorno.
La Treccani accenna al fatto che san Girolamo alla fine del quarto secolo si sarebbe scagliato diverse volte contro la consuetudine di realizzare codici purpurei, ma non scende nel dettaglio.
Non mi pare che i testi di San Girolamo siano disponibili in italiano sul web. Forse in latino. Qualcosa c’è in inglese. Provo a tradurre: “Le pergamene sono colorate in porpora, l’oro è fuso per scrivere le lettere, i manoscritti sono decorati con i gioielli, mentre Cristo giace alla porta nudo e morente”.

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