Duos
In evidenza sul sito di Underware c’è un interessante monoline: il Duos.
Il concetto è semplice: si traccia una linea a rappresentare lo “scheletro” di ogni tratto come si farebbe con una biro, o con un gessetto alla lavagna, senza nessuna preoccupazione di tratti più spessi o più sottili come invece si fa quando si parte dall’outline, la linea esterna del glifo.
Una cosa semplicissima da fare coi programmi per disegnare i font: dopo aver improvvisato l’asse centrale di tutti i tratti, si clicca su “espandi tratto”, scegliendo poi le dimensioni e la forma del pennino (possibilmente facendo in modo che l’altezza sembri uguale alla larghezza), e le soluzioni da adottare per estremità e raccordi.
Facile a dirsi, molto più difficile ottenere un risultato gradevole.
Comunque, risultati diversi si possono ottenere cambiando le singole impostazioni. Proprio quello che hanno fatto ad Underware, rilasciando il carattere in 10 stili: c’è una versione Sharp, in tre pesi diversi: light, regular e black. Poi c’è una versione Round, con le estremità arrotondate (tre pesi). E poi c’è una versione Brush, dove i tratti sono disegnati a pennello, con strisce lasciate bianche alle estremità laddove le setole del pennello che si solleva dal foglio non lasciato tutte il segno dell’inchiostro (ancora tre pesi). Infine c’è una versione Paint, simile alla versione precedente ma con le imperfezioni più sfumate, questa in un peso soltanto.
Interessante in alcune lettere qualche interruzione imprevista: ad esempio l’occhiello sull’asta di b e d non si chiude, e le estremità sono sul prolungamento una dell’altra.
“Usatelo a larghe dimensioni, perché è fatto per catturare l’attenzione”, suggerisce il sito. Ogni stile ha molte lettere alternative e legature, nonché vari svolazzi differenti.
Sono state aggiunte anche delle lettere intermedie, polisemiche, che possono essere interpretate in modi diversi. Un esempio? C’è una l che sembra una h, una o che sembra una a, una t che sembra una v. Il risultato che che con queste lettere si può scrivere una parola che può essere interpretata come “love” o come “hate”. Sia “amore” che “odio”, a seconda.
L’occasione era troppo ghiotta, la conferenza We Love Graphic Design del 2015 (in Danimarca?) ha usato questa parola nel logo (e pure sulle bottigliette d’acqua minerale).
Underware, secondo quanto scrive Devroye, sarebbe basata all’Aia, Helsinki e Amsterdam (probabilmente le residenze dei tre fondatori). Ma Devroye non dice niente a proposito del Duos, che risulta sconosciuto anche a Identifont, anche se si trova sul sito di Adobe.
Sul sito di Underware c’è una scheda molto dettagliata in cui si spiegano i principi base che ne hanno portato al disegno. Una parola chiave è “speed”, velocità, veloce, nel senso che il carattere riproduce una scrittura a mano frettolosa, la più frettolosa in assoluto tra tutti i vari handwriting prodotti dallo stesso studio. Un gif animato mostra come variando le impostazioni cambiavano le irregolarità alle estremità.
Altri paragrafi svelano il mistero della illusione ottica che deve essere messa a punto per far sembrare il tratto monolineare: “Se il tratto ha matematicamente lo stesso spessore ovunque, l’occhio umano percepisce alcune parti più spesse di altre. C’è bisogno di contrasto per far sembrare le lettere monolineari”. Infatti alcune parti sono fino al 23% più spesse di altre.
Un intero paragrafo affronta l’argomento dello scheletro come elemento di design. “Il risultato della biro usata ogni giorno è un testo monolineare, praticamente niente più che un semplice scheletro nudo. Per un disegnatore di caratteri un tale scheletro può diventare un elemento interessante nel processo di disegno”.
È così facile disegnare uno scheletro e variare in automatico spessore, cuvatura, stile delle estremità, che la tentazione era quella di rilasciare centinaia di versioni diverse dello stesso carattere. “Ma un sovraccarico di stili non dà nessun valore supplementare all’utente finale”, scrive Underwear. “Che cosa dovrebbe fare un disegnatore con 300 stili di uno script monolineare? Offrire troppo stili in una famiglia di font è solo spostare la decisione dal disegnatore all’utente finale. Si potrebbe pensare che posporre la decisione sia una cosa saggia”. Invece no: deve essere il disegnatore a ridurre la scelta e rilasciare soltanto gli stili migliori. Solo 10, in questo caso. “La migliore soluzione per rendere semplice la vita dell’utente finale”, scrive Underwear.
Il concetto è semplice: si traccia una linea a rappresentare lo “scheletro” di ogni tratto come si farebbe con una biro, o con un gessetto alla lavagna, senza nessuna preoccupazione di tratti più spessi o più sottili come invece si fa quando si parte dall’outline, la linea esterna del glifo.
Una cosa semplicissima da fare coi programmi per disegnare i font: dopo aver improvvisato l’asse centrale di tutti i tratti, si clicca su “espandi tratto”, scegliendo poi le dimensioni e la forma del pennino (possibilmente facendo in modo che l’altezza sembri uguale alla larghezza), e le soluzioni da adottare per estremità e raccordi.
Facile a dirsi, molto più difficile ottenere un risultato gradevole.
Comunque, risultati diversi si possono ottenere cambiando le singole impostazioni. Proprio quello che hanno fatto ad Underware, rilasciando il carattere in 10 stili: c’è una versione Sharp, in tre pesi diversi: light, regular e black. Poi c’è una versione Round, con le estremità arrotondate (tre pesi). E poi c’è una versione Brush, dove i tratti sono disegnati a pennello, con strisce lasciate bianche alle estremità laddove le setole del pennello che si solleva dal foglio non lasciato tutte il segno dell’inchiostro (ancora tre pesi). Infine c’è una versione Paint, simile alla versione precedente ma con le imperfezioni più sfumate, questa in un peso soltanto.
Interessante in alcune lettere qualche interruzione imprevista: ad esempio l’occhiello sull’asta di b e d non si chiude, e le estremità sono sul prolungamento una dell’altra.
“Usatelo a larghe dimensioni, perché è fatto per catturare l’attenzione”, suggerisce il sito. Ogni stile ha molte lettere alternative e legature, nonché vari svolazzi differenti.
Sono state aggiunte anche delle lettere intermedie, polisemiche, che possono essere interpretate in modi diversi. Un esempio? C’è una l che sembra una h, una o che sembra una a, una t che sembra una v. Il risultato che che con queste lettere si può scrivere una parola che può essere interpretata come “love” o come “hate”. Sia “amore” che “odio”, a seconda.
L’occasione era troppo ghiotta, la conferenza We Love Graphic Design del 2015 (in Danimarca?) ha usato questa parola nel logo (e pure sulle bottigliette d’acqua minerale).
Underware, secondo quanto scrive Devroye, sarebbe basata all’Aia, Helsinki e Amsterdam (probabilmente le residenze dei tre fondatori). Ma Devroye non dice niente a proposito del Duos, che risulta sconosciuto anche a Identifont, anche se si trova sul sito di Adobe.
Sul sito di Underware c’è una scheda molto dettagliata in cui si spiegano i principi base che ne hanno portato al disegno. Una parola chiave è “speed”, velocità, veloce, nel senso che il carattere riproduce una scrittura a mano frettolosa, la più frettolosa in assoluto tra tutti i vari handwriting prodotti dallo stesso studio. Un gif animato mostra come variando le impostazioni cambiavano le irregolarità alle estremità.
Altri paragrafi svelano il mistero della illusione ottica che deve essere messa a punto per far sembrare il tratto monolineare: “Se il tratto ha matematicamente lo stesso spessore ovunque, l’occhio umano percepisce alcune parti più spesse di altre. C’è bisogno di contrasto per far sembrare le lettere monolineari”. Infatti alcune parti sono fino al 23% più spesse di altre.
Un intero paragrafo affronta l’argomento dello scheletro come elemento di design. “Il risultato della biro usata ogni giorno è un testo monolineare, praticamente niente più che un semplice scheletro nudo. Per un disegnatore di caratteri un tale scheletro può diventare un elemento interessante nel processo di disegno”.
È così facile disegnare uno scheletro e variare in automatico spessore, cuvatura, stile delle estremità, che la tentazione era quella di rilasciare centinaia di versioni diverse dello stesso carattere. “Ma un sovraccarico di stili non dà nessun valore supplementare all’utente finale”, scrive Underwear. “Che cosa dovrebbe fare un disegnatore con 300 stili di uno script monolineare? Offrire troppo stili in una famiglia di font è solo spostare la decisione dal disegnatore all’utente finale. Si potrebbe pensare che posporre la decisione sia una cosa saggia”. Invece no: deve essere il disegnatore a ridurre la scelta e rilasciare soltanto gli stili migliori. Solo 10, in questo caso. “La migliore soluzione per rendere semplice la vita dell’utente finale”, scrive Underwear.
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