Koho
Koho è una famiglia di font gratuiti non troppo conosciuta che si trova su Google. In effetti è pensata soprattutto per l’alfabeto thai, ma ha un alfabeto latino abbastanza singolare. È un sans serif. A me colpisce soprattutto per la L che ha la giuntura tra i due tratti curva. Ma ad essere singolari sono soprattutto le minuscole, in cui i tratti sono un po’ instabili alle estremità, dove curvano leggermente: guardare la sommità della l o della t. Lo studio è tailandese, Cadson Demak, fondato nel 2002. Ha ben 24 famiglie di font su Google. Le più popolari sono Kanit (senza grazie, ma con qualche tocco slab su i ed l), Prompt (senza grazie, molto largo) e Taviraj (con grazie). Comunque ce n’è per tutti i gusti. C’è lo Sharm che è un cancelleresco, il Bai Jamjuree che è eurostileggiante. I meno popolari sono tasadith (sans sottile), Charmonman (corsivo a lettere unite) e Srisakdi (corsivo, lettere separate e ricche di riccioli, con una strana s composta di due tratti, sia la minuscola che la maiuscola).
Per tornare al Koho, la e senza spigoli e le estremità ad angolo (che stanno anche su d, n, i) rendono la scrittura un po’ serpeggiante, ballonzolante davanti agli occhi, anche se comunque ordinata.
Il vertice centrale della M non tocca la linea di base, ma resta a metà strada. Ed è appuntito. I tratti obliqui raggiungono i vertici in alto a destra e sinistra dopo una morbida curva, senza un tratto rettilineo in corrispondenza della parte superiore delle aste verticali.
Il Domestos Sans, di Gunter Schwarzmaier, T26, rilasciato nel 2000, pure ha provato ad angolare un po’ le estremità della l e di altre lettere (intervenendo soprattutto sul taglio), ma ha ottenuto un risultato molto più rigido. La sua M, dove pure il vertice centrale non arriva fino alla base, ha tagli orizzontali sia sulla parte superiore delle aste verticali, sia sul vertice centrale. Insomma, anche se certe scelte concettuali in termini di forma delle lettere sono simili, il risultato è molto meno amichevole.
Per tornare al Koho, la e senza spigoli e le estremità ad angolo (che stanno anche su d, n, i) rendono la scrittura un po’ serpeggiante, ballonzolante davanti agli occhi, anche se comunque ordinata.
Il vertice centrale della M non tocca la linea di base, ma resta a metà strada. Ed è appuntito. I tratti obliqui raggiungono i vertici in alto a destra e sinistra dopo una morbida curva, senza un tratto rettilineo in corrispondenza della parte superiore delle aste verticali.
Il Domestos Sans, di Gunter Schwarzmaier, T26, rilasciato nel 2000, pure ha provato ad angolare un po’ le estremità della l e di altre lettere (intervenendo soprattutto sul taglio), ma ha ottenuto un risultato molto più rigido. La sua M, dove pure il vertice centrale non arriva fino alla base, ha tagli orizzontali sia sulla parte superiore delle aste verticali, sia sul vertice centrale. Insomma, anche se certe scelte concettuali in termini di forma delle lettere sono simili, il risultato è molto meno amichevole.
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