Computerfont
Nel settore Lcd di Dafont uno si trova ciò che si aspetta di trovare: sia i display a 7 o più segmenti come quelli di certe autoradio; sia dei primitivi bitmap a gradini come quelli che si usavano nelle console di videogiochi portatili o nei primi videogiochi arcade; sia caratteri interrotti da linee bianche orizzontali, che se usati nel giusto contesto possono evocare un vecchio monitor a tubo catodico. C’è pure qualche dot-matrix che può essere usato per emulare una vecchia stampante o una di quelle scritte luminose che stanno in certi autobus, per esempio.
Ma quello che mi colpisce di più oggi è il Computerfont, di autore sconosciuto.
È un disegno che è di una certa notorietà, ho visto qualcosa del genere di recente sul tendone di un tir, ma lì per lì non mi viene in mente nessun nome. Le lettere hanno i tratti rettilinei, raccordati da curve molto strette, ma il tratto distintivo è che a una certa altezza i tratti verticali ingrassano improvvisamente, senza apparente motivo. Immagino che fosse una soluzione tecnica per facilitare il riconoscimento automatico da parte di qualche primitivo software.
Comunque, inizio a passare la descrizione a Identifont e in 7 domande arrivo alla soluzione: l’ispirazione del Computerfont deriva dal Data 70, disegnato da Bob Newman nel 1970, digitalizzato oggi in un due versioni, una di Itc e Letraset, l’altra di Elsner+Flake.
Chiaramente ci sono molti altri font che sfruttano la stessa idea, in un modo o nell’altro, con risultati molto differenti.
Myfonts non ci aggiunge praticamente niente dal punto di vista della storia del font. Anche i tag sono ben pochi (tra cui noto Ocr, il riconoscimento automatico di un testo da parte di un software).
Devroye dice che Newman è britannico, il Data Seventy è il suo font più famoso, e si tratta di un “tipo di carattere display che emula le forme dei primi caratteri per computer). Uhm, non mi convince molto.
Meglio quello che scrive Identifont: “Simula testo leggibile dal computer”.
Una cosa che nel Computerfont mi lascia spiazzato è il numero 4, che a prima vista è praticamente uguale al 9, se si esclude l’estremità del tratto orizzontale che spunta a destra subito dopo l’asta verticale.
Effettivamente nel Data 70 la forma era quella, ma con una differenza: nel 4 il tratto orizzontale era palesemente più in basso che nel 9.
Chiaramente il Computerfont non è una versione libera del Data 70, ma un font diverso ispirato più o meno agli stessi principi. Basta prendere una qualsiasi lettera per rendersi conto che i criteri in base ai quali decidere quale tratto bisognava ingrassare sono diversi. E cambiano pure le proporzioni: in entrambi i casi la Q ha la coda realizzata come un rigonfiamento interamente interno all’occhiello, ma la larghezza di questo rigonfiamento è diversa, nei due font.
Il Computerfont ha qualche easter egg, ovvero disegni che non c’entrano niente col resto dell’alfabeto. Si riconoscono varie navette spaziali di qualche primitivo videogioco, stilizzazioni di un Apple Macintosh del 1984, e un’astronave di Star Trek, al posto del carattere per-mille.
Ma quello che mi colpisce di più oggi è il Computerfont, di autore sconosciuto.
È un disegno che è di una certa notorietà, ho visto qualcosa del genere di recente sul tendone di un tir, ma lì per lì non mi viene in mente nessun nome. Le lettere hanno i tratti rettilinei, raccordati da curve molto strette, ma il tratto distintivo è che a una certa altezza i tratti verticali ingrassano improvvisamente, senza apparente motivo. Immagino che fosse una soluzione tecnica per facilitare il riconoscimento automatico da parte di qualche primitivo software.
Comunque, inizio a passare la descrizione a Identifont e in 7 domande arrivo alla soluzione: l’ispirazione del Computerfont deriva dal Data 70, disegnato da Bob Newman nel 1970, digitalizzato oggi in un due versioni, una di Itc e Letraset, l’altra di Elsner+Flake.
Chiaramente ci sono molti altri font che sfruttano la stessa idea, in un modo o nell’altro, con risultati molto differenti.
Myfonts non ci aggiunge praticamente niente dal punto di vista della storia del font. Anche i tag sono ben pochi (tra cui noto Ocr, il riconoscimento automatico di un testo da parte di un software).
Devroye dice che Newman è britannico, il Data Seventy è il suo font più famoso, e si tratta di un “tipo di carattere display che emula le forme dei primi caratteri per computer). Uhm, non mi convince molto.
Meglio quello che scrive Identifont: “Simula testo leggibile dal computer”.
Una cosa che nel Computerfont mi lascia spiazzato è il numero 4, che a prima vista è praticamente uguale al 9, se si esclude l’estremità del tratto orizzontale che spunta a destra subito dopo l’asta verticale.
Effettivamente nel Data 70 la forma era quella, ma con una differenza: nel 4 il tratto orizzontale era palesemente più in basso che nel 9.
Chiaramente il Computerfont non è una versione libera del Data 70, ma un font diverso ispirato più o meno agli stessi principi. Basta prendere una qualsiasi lettera per rendersi conto che i criteri in base ai quali decidere quale tratto bisognava ingrassare sono diversi. E cambiano pure le proporzioni: in entrambi i casi la Q ha la coda realizzata come un rigonfiamento interamente interno all’occhiello, ma la larghezza di questo rigonfiamento è diversa, nei due font.
Il Computerfont ha qualche easter egg, ovvero disegni che non c’entrano niente col resto dell’alfabeto. Si riconoscono varie navette spaziali di qualche primitivo videogioco, stilizzazioni di un Apple Macintosh del 1984, e un’astronave di Star Trek, al posto del carattere per-mille.
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