Storia della tipografia occidentale

Su Wikipedia in inglese (ma non in italiano) c’è una pagina dedicata alla storia della tipografia occidentale. A dare il benvenuto al lettore c’è la foto di un carattere di piombo, quello con la legatura tra la s lunga e la i, appoggiato accanto alla stampa che ne deriva. E basta questo per evocare un altro mondo rispetto a quello attuale, dominato dal digitale. Immancabile una foto di una pagina della Bibbia stampata da Gutenberg nel 1455 coi caratteri textura, modellati su quelli che venivano tracciati a mano dagli amanuensi tedeschi. Uno stile, conosciuto come gotico, che è poi caduto in disuso, e che ai nostri occhi è pressoché illeggibile. In molti non fanno neanche caso che il testo della Bibbia di Gutenberg non è affatto in tedesco: è latino!
L’Italia viene nominata nell’articolo come secondo paese in cui i caratteri mobili vennero sviluppati. Ma inizialmente parla solo di quattro stili di disegno dei caratteri: bastarda, fraktur, rotunda e schwabacher.
Altri stati che già nel Quattrocento cominciarono a porsi il problema della forma delle lettere con cui stampare furono l’Inghilterra, la Spagna e il Portogallo.
Ma la rivoluzione principale della storia della tipografia, all’epoca, è per forza di cose collegata con l’Italia, dove le forme più propriamente gotiche erano viste di cattivo occhio, e dove era in atto un revival dei secoli passati, quelli di cui gli italiani andavano fieri: quelli dell’antica Roma. Le lettere incise sui monumenti, visibili ancora oggi sui monumenti antichi sparsi qua e là in Italia, sul continente e sulle sponde del Mediterraneo, erano ammirate per la loro perfezione geometrica: con molto spazio bianco all’interno (a differenza del gotico) erano anche più leggibili.
Nelle ricerche che gli umanisti svolgevano in quegli anni nelle biblioteche fra gli antichi manoscritti, erano spuntati testi di epoca carolingia scritti in una delle prime forme di minuscola. Che vennero presi a modello dagli amanuensi prima, e dagli stampatori poi. Ancora oggi la forma delle maiuscole che si usano in tutto l’occidente deriva da quelle dei romani, e la forma delle minuscole deriva da quelle dei carolingi (che all’epoca veniva considerata la vera scrittura romana. Solo in seguito ci si rese conto che i romani scrivevano i loro manoscritti con varie forme particolari di maiuscola prima, e di onciale più tardi).
Le foto accanto all’articolo di Wikipedia mostrano la famosa scritta alla base della colonna Traiana, 113 d.C., e poche righe di un vangelo dell’inizio del nono secolo (minuscola carolingia).
Chiaramente nei manoscritti le minuscole non avevano sempre le grazie, o forse avevano un accenno di grazie diverso rispetto a quello a cui siamo abituati oggi. L’aggiunta delle grazie venne fatta dai tipografi per armonizzare le minuscole con lo stesso stile usato per le maiuscole.
Chiaramente i primi nomi che vengono fatti, per quanto riguarda l’Italia, sono quelli dei tedeschi Pannartz e Sweynheim, dei fratelli de Spira, e del francese Nicolas Jenson.
E chiaramente la principale città collegata con gli albori della tipografia in Italia è Venezia, dove lavorarono Jenson e poi Manunzio.
Con Jenson, si smette di disegnare caratteri che tentano di riprodurre le forme manoscritte, e si lavora invece alle forme ideali, che si avvicinano alla perfezione delle iscrizione lapidarie romane.
Un intera sezione dell’articolo è dedicata al corsivo, conosciuto come italico (perché venne elaborato in Italia) o come aldino, perché fu frutto di una scelta di Aldo Manunzio (le forme però vennero intagliate da un altro italiano, Francesco Griffo). Una foto mostra i caratteri disegnati da Ludovico Arrighi nella prima metà del Cinquecento. All’epoca il corsivo non serviva a mettere in evidenza le parole in un testo regolare, come si usa spesso adesso. L’intero testo era scritto in corsivo, tranne le maiuscole, per le quali si usava la versione regolare, la capitale romana. Con un effetto che all’occhio moderno stona un po’, visto che la maiuscola rimane parecchio staccata dal resto della parola.
Roma venne saccheggiata nel 1527, e da allora la penisola è entrata in declino e il baricentro tipografico si è spostato altrove.
Nel Cinquecento lavorò lo svizzero Johan Froben. E anche la famiglia tedesca Wechel, di Francoforte, attiva prima a Parigi, che però non ha una pagina dedicata su Wikipedia.
Ma lo spazio maggiore se lo prende la Francia. La sezione è divisa in tre paragrafi: il primo dedicato a De Colines, Estienne e Augereau, nomi pressoché dimenticati, l’ultimo è dedicato a Granjon (nome che forse qualcuno ricorda), ma il secondo è dedicato a Garamond, il nome più celebre visto che gran parte della letteratura italiana è stata stampata con caratteri il cui nome è dedicato al tipografo francese.
La sezione che segue gli sviluppi tra diciassettesimo e diciottesimo secolo è divisa in vari paragrafi: Fell, Caslon, Fleischmann, Baskerville e... romani moderni (in cui si parla dell’italiano Giambattista Bodoni.
L’ultima sezione, diciannovesimo e ventesimo secolo, dà meno risalto ai nomi i titoli dei paragrafi ricordano l’industrializzazione, il passaggio alla composizione a caldo e poi alla fotocomposizione, e infine l’art nouveau e la new book art. (Manca qualcosa? Il Bauhaus non è neanche nominato...)
Comunque, tornando al Seicento, l’Inghilterra comincia a svolgere un ruolo di guida. Fino ad allora si era rifornita di caratteri olandesi. Il vescovo Fell dovette ricorrere al lavoro di un intagliatore olandese. Le lettere cominciavano ad avere caratteristiche più moderne. Una versione digitale dei caratteri di Fell è stata realizzata, open source, da Igino Marini. Sta su Google.
La prima grande figura nella tipografia inglese è quella di Caslon. E non solo inglese, perché le casse di caratteri Caslon arrivarono anche negli Stati Uniti, dove furono dominanti per tutta la fine del Settecento (che poi è la mitica epoca della rivoluzione, da cui nacque la prima democrazia del mondo). Anche nel resto dell’impero britannico la tipografia era dominata dai caratteri di Caslon (e relative imitazioni).
L’inizio dell’Ottocento è caratterizzato dallo stile egiziano, chiamato così forse a seguito della campagna d’Egitto di Napoleone Bonaparte, in realtà uno stile dalle grazie rinforzate per danneggiarsi di meno nelle operazioni di stampa dei quotidiani.
Gli egiziani, così come i sans, non venivano utilizzati per testi continui, ma solo per i titoli e la pubblicità.
Le macchine Linotype e Monotype vengono nominate nel paragrafo sulla composizione a caldo: anziché comprare casse di caratteri già pronti, chi doveva impaginare un testo comprava solo le matrici. Poi, con un’apposita macchina, fondeva di volta in volta i caratteri di cui aveva bisogno, singolarmente o in linee.
Il New Book Art movement merita solo poche righe in coda all’articolo, e non ha una pagina dedicata sull’enciclopedia online.

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