Blackwell Vox

Il sito Be More Be Digital ha dedicato alcuni post ai caratteri tipografici, alla loro suddivisione in gruppi e alle caratteristiche di ogni gruppo.
Nel farlo, ha fatto riferimento alla classificazione Blackwell Vox, in cui il primo gruppo sarebbe quello dei caratteri umanistici.
Ho cercato qualche informazione in più sul web, ma cercando Blackwell Vox non viene fuori niente.
O meglio, esiste una classificazione che si chiama Vox, Vox-ATypI per la precisione, a cui è dedicato un articolo su Wikipedia in inglese (ma non in italiano. E comunque anche in inglese c’è scritto che le fonti sono poco chiare e le citazioni sono insufficienti).
Secondo l’enciclopedia, la classificazione è stata sviluppata nel 1954 da un tale Maximilien Vox, ed è stata adottata dall’Associazione Tipografica Internazionale a partire dal 1962.
Lo schema prevede la divisione in 9 gruppi secondo le principali caratteristiche dei caratteri.
Molti tipi di carattere però esibiscono le caratteristiche di più di una classe, quindi in alcuni casi la classificazione è arbitraria.
Le categorie originali di caratteri secondo Wikipedia erano: umanisti, garalde e transizionali (classici), Didone, meccanicisti e lineari (moderni), glifici, script e grafici (calligrafici). 9 in tutto, suddivise in tre maxi categorie. A questi vennero aggiunti i blackletter e i non-latini (ma l’enciclopedia non dice quando) e infine i gaelici, nel 2010.
Il sistema di classificazione è stato criticato perché riflette una mentalità da inizi del Novecento. Ad esempio distingue i garalde dagli umanistici, per i quali spesso la distinzione non avrebbe senso, ma mette slab serif ed egiziani nella stessa categoria.
Nel libro Fonts and Encodings di Yannis Haralambous (che si trova su Google Books) la classificazione è un po’ diversa. Le ultime tre categorie sarebbero: incisi, script e manuali. Incisi sono quelli che riprendono le forme delle iscrizioni sulle lapidi (Optima, Albertus, Latin Wide), script sarebbero i calligrafici a lettere unite (da Zapfino a Mistral), mentre tra i manuali entrerebbero tutti quelli che simulano le scritte a mano a lettere separate, inclusi tutti i blackletter. Si andrebbe quindi dal Comic Sans all’Old English.
Il sito nomina anche Blackwell, per dire che ignora quest’ultima categoria nel complesso. L’ATypI, introducendo la categoria “gothic”, avrebbe spostato i blackletter fuori dalla categoria “manuali”.
Ma si sa qualcosa di questo tale Blackwell?
Un Blackwell famoso sarebbe Lewis Blackwell, direttore di una rivista inglese chiamata Creative Review, autore di numerosi libri sulla tipografia tra il 1992 e il 2000.
Su Typoteque c’è la recensione di uno dei libri scritto da questo Blackwell (di cui non si fa il nome, ma solo il cognome, e si dice che la sua concisa e ben presentata guida alla classificazione dei caratteri è un’appendice essenziale).
Un altro Blackwell, Basil, viene citato nell’appendice del libro “Sei proprio il mio typo”, del giornalista inglese Garfield, come coautore di un libro del 1979 intitolato “Il mondo di Aldo Manuzio”. Questo Blackwell, libraio e editore di Oxford, morto negli anni Ottanta, ha una pagina dedicata Wikipedia, dove la parola tipografia non viene neanche nominata.
Il sito Oert (Open Educational Resources for Typography) nomina Lewis Blackwell nella bibliografia, ma poi fornisce una classificazione arbitraria, mischiando secoli, funzioni caratteristiche.
Interessante la citazione iniziale dell’articolo, attribuita allo scrittore Borges. In cui si dice che “queste ambiguità, ridondanze e deficienze ci ricordano quelle attribuite dal dotto Franz Kuhn ad una certa enciclopedia cinese chiamata Celestial Emporium of Benevolent Knowledge’s Taxonomy”. In cui si dividevano gli animali in: “(a) appartenenti all’imperatore; (b) imbalsamati; (c) addomesticati; (d) maialini da latte; (e) sirene; (f) fantastici; (g) cani randagi; (h) inclusi nella presente classificazione; (i) frenetici; (j) innumerevoli; (k) disegnati con un pennello molto fine; (l) eccetera; (m) che hanno appena rotto una brocca d’acqua; (n) che da molto lontano sembrano mosche”.
L’emporio celestiale della conoscenza benevolente non esiste in realtà, venne inventato da Borges, ma ha meritato una pagina di Wikipedia in inglese (non in italiano).
La classificazione citata dall’enciclopedia è la stessa citata da Oert. Un paragrafo è dedicato ai commenti suscitati dal brano in ambito letterario o filosofico.

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