Collezioni OpenType

Una collezione OpenType è un modo per inserire vari font OpenType in un unico file.Si usa quando due font diversi hanno in comune una parte consistente di glifi. L’esempio che fa la Microsoft riguarda i font giapponesi, che possono avere ciascuno il proprio disegno dei glifi “kana”, ma lo stesso disegno di quelli “kanji”. Ma visto che questi ultimi rappresentano una parte molto consistente del font, copiarli tali e quali in due file diversi sarebbe un grosso spreco di spazio in memoria.
Così si mettono i due font nello stesso file, ma senza duplicare i glifi in comune.
Il fatto che nell’esempio di Microsoft si faccia riferimento ai font orientali già dà un’idea di come per un occidentale non sia molto comune imbattersi in file del genere; non ce n’è la necessità, in gran parte dei casi.
Il suffisso di una collezione sarebbe .otc (Open Type Collection). E cercare un font gratuito in questo formato è già un’impresa.
Ma non bisogna cercarli chissà dove: è possibile che uno ce li abbia già installati col proprio sistema operativo Microsoft. Caratteri come Batang, Dotum, Gulim, Gunsuh, MingLiU, Ms Gothic, NsimSun eccetera sono in formato .otc.
Ovviamente il sistema operativo è predisposto a fornire l’anteprima del contenuto, con la stessa interfaccia di un normale font (sul mio sistema, l’incipit dell’Iliade in varie dimensioni: “Cantami o diva del pelide Achille l’ira funesta”). Con una differenza: compaiono due pulsanti per spostarsi tra i vari font: “Precedente” e “Avanti”.
Ad esempio, cliccando sul file Gungsuh Normale la finestra che si apre è intitolata Batang e BatangChe e Gungsuh e GungsuChe. Il carattere visualizzato è Batang. Spostandosi con gli appositi pulsanti si possono vedere anche gli altri tre. Le lettere dell’alfabeto latino sono diverse, nelle varie schermate: romana, romana condensata, slab, slab condensata. Ma possiamo immaginare che esista un certo numero di glifi in comune tra tutti e quattro i font.
FontForge è in grado di aprire il file, ma non tutto insieme: cliccandoci sopra compare una finestra di dialogo che dice: “ci sono diversi font in questo file; scegline uno”.
Visto che il programma non riesce ad aprire contemporaneamente i diversi font presenti nel file immagino anche che non riesca a creare un file .otc unendo insieme vari font diversi.
In effetti, cercando sui motori di ricerca qualcosa a proposito della creazione di un file .otc, il primo risultato che mi viene fuori è una pagina della Adobe che fornisce non un software, ma due script in Python per effettuare l’operazione. Che significa che bisogna scaricare e installare prima l’interprete Python, se non è già installato sul computer, e poi da riga di comando eseguire il file aggiungendoci a mano le opzioni, il nome scelto per la collezione, e i nomi di tutti i font che si vogliono inserire nella collezione. Ovviamente esiste anche uno script opposto, che data una collezione la scompone nei vari font di base, ma questo lo si potrebbe anche fare uno per volta con FontForge, solo ci si metterebbe più tempo.
Già, ma per usare i singoli font l’utente finale che deve fare? A occhio e croce direi niente di particolare: in un word processor, i font compaiono separatamente, ciascuno col suo nome, anche se si trovano nello stesso file. La finestra di anteprima contiene un programma di installazione, che credo installi in un colpo solo tutti i font presenti nel file. Dico credo perché non ho tentato l’operazione con file sconosciuti, e tutti gli .otc presenti sul mio computer sono file di sistema, che il sistema non mi lascia disinstallare e reinstallare con disinvoltura.
Comunque, se le cose stanno così, per l’utente non cambia niente: può scegliere tra un font e l’altro come sempre. Il fatto che i due font occupino meno memoria perché hanno una parte dei glifi in comune è solo una semplice curiosità.
Molto più interessante è la sintassi per scegliere tra le varianti di un certo glifo in Css. Anche perché si tratta di una tecnica che si usa comunemente per impaginare le pagine web. Un po’ concettualmente si avvicina a ciò di cui abbiamo parlato: c’è chi preferisce usare un certo font con i numeri maiuscoli, chi lo stesso font con i numeri minuscoli. Anziché creare due file uguali in tutto e per tutto tranne che nei numeri, si inserisce il tutto in un solo file, e ognuno se lo personalizza con direttive css che attivano uno o l’altro gruppo di caratteri, a seconda dei suoi gusti. Visto che le opzioni tra cui si può scegliere sono tantissime (le legature, gli svolazzi, le frazioni... più tante opzioni per le lingue straniere), la possibilità di usare il Css evita di creare tante copie diverse dello stesso font e la seccatura di passare manualmente dall’una all’altra di volta in volta (o di inserire manualmente i caratteri speciali).
Però si tratta comunque di un concetto diverso: in una collezione si trovano font diversi, con nomi diversi, inseriti nello stesso file per risparmiare spazio; invece con i Css abbiamo un solo font, con un solo nome. E infatti queste opzioni non sono accessibili in programmi come Open Office, mi pare. Comunque, di quest’altra tecnica bisognerà parlarne in un altro momento.

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