Quante matrici nel magazzino di una Linotype?

Con la composizione a mano inventata da Gutenberg c’era il rischio di esaurire i caratteri mobili nell’impaginazione di un testo molto lungo. Ogni lettera era un oggetto concreto in metallo, che doveva essere preso manualmente da un apposito scompartimento di una cassa e inserito in un compositoio. C’era bisogno di una notevole riserva di caratteri, anche perché nelle operazioni tipografiche non si componeva una pagina alla volta, ma un intero libro, o una notevole parte di esso. In un documentario sull’editore Tallone, che ancora oggi compone a mano, si può vedere tutto un ripiano pieno delle pagine già composte, legate con uno spago e poggiate su un foglio di carta. Esaurendo i caratteri non c’è modo di comporne altre, fino a quando non si sono stampate e smontate le prime, o fino a quando non si sono comprate nuove casse di caratteri (che ovviamente richiedono tempo per essere prodotte e consegnate, e hanno un certo costo). Quando si va a impaginare un nuovo libro, subito dopo avere scelto il formato, l’editore valuta la disponibilità dei caratteri presenti in laboratorio, i quali, pur essendo numerosissimi, hanno una dimensione finita (e anche una grandezza fissa, trattandosi di oggetti concreti: mentre a computer si può facilmente passare da corpo 48 a 40 per fare entrare una parola troppo lunga, coi caratteri metallici non si può fare; se si ha solo il 48 e il 36, nessuna dimensione intermedia è possibile, e bisogna adattare l’impaginazione al materiale a disposizione).
Con la linotype il problema della disponibilità di caratteri scompariva. Nella macchina c’erano le matrici: pigiando su una tastiera, queste finivano nel compositoio a comporre una riga. Qui veniva versato del metallo fuso, che si solidificava e veniva espulso da un’apposita apertura. Si aveva così la riga pronta per essere inchiostrata. La matrice poi tornava in automatico nel suo serbatoio, pronta per essere utilizzata di nuovo nelle righe successive. Un testo di qualunque lunghezza poteva essere composto, a condizione di avere abbastanza metallo a disposizione. E una volta terminato il lavoro, le righe già composte potevano essere fuse di nuovo per fornire la materia prima per nuove righe.
Ma il serbatoio di una linotype, che si chiama “magazzino”, comunque ha una dimensione limitata. Ci sono varie matrici dentro, ma quante? Non sembra che l’informazione sia in evidenza, su internet. Evidentemente quei pochi che ancora si interessano di linotype non si pongono il problema. Eppure qualcuno deve averlo scritto da qualche parte.
Sul sito Linotipia c’è qualcosa. Non in un paragrafo dedicato al magazzino, ma alla voce “scatola di distribuzione. Dove si dice che ognuno dei canali del magazzino può contenere 21 matrici.
Questo che significa? A occhio e croce significa che mentre a computer posso anche comporre una riga composta solo di “a”, con una linotype dopo la ventunesima uno si troverebbe ad avere esaurito le matrici.
E se le lettere erano di dimensione maggiore? Penso che non cambiasse niente: sul sito Linotype.org c’è un’immagine in cui si vedono caratteri di dimensioni diverse incisi su matrici che hanno tutte la stessa altezza. Se i caratteri sono piccoli, è possibili inserire due versioni della stessa lettera sulla stessa matrice, ad esempio chiaro e neretto, oppure romano e corsivo. Se la lettera è più grande, ogni matrice ne può ospitare soltanto una, e resta dello spazio libero. Se la lettera è ancora più grande, lo spazio libero è di meno. Ciò che varia tra le matrici diverse è solo la larghezza.
I canali di una linotype potevano essere 72, ma più comunemente erano 90. 30 per le minuscole, 30 per le maiuscole e 30 per numeri, segni di interpunzione e magari qualche lettera accentata (come si può vedere nella foto di questa tastiera, dal sito Paperblog).
Secondo il sito Circuitous Root, un magazzino per la linotype aveva 91 canali, per matrici di 90 tipi. Alla “e” erano dedicati due canali, anche se non tutte le macchine erano predisposte per gestire il canale supplementare.
In un video caricato dal Museo dell’Industria di Baltimora su Youtube, un ex linotipista spiega come pulire i magazzini della linotype. Ne parla al presente, come se fosse un corso per i nuovi linotipisti: non dice “bisognava tenere pulita la macchina”, ma “devi tenere pulita la macchina”. Probabilmente con le stesse parole, o lo stesso tono con cui è stato insegnato a lui.
In quattro minuti e mezzo, spiega come si smonta il magazzino dalla linotype, come si stacca il pezzo che lo tiene chiuso, e come si fa passare la spazzola all’interno prima di rimontare il tutto.
Ovviamente, prima di pulire il tutto, c’è bisogno di svuotarlo da tutte le matrici: si digita sulla tastiera fino a riempire la riga nel compositoio, poi si apre e si tolgono le matrici appoggiandole in ordine su un ripiano. Le matrici sono circa “fourteen hundred”, quattordici centinaia, ovvero 1400.
Tornano i conti? 21 per 90 = 1890. Sarebbero 18 centinaia.
A 16 matrici per ogni canale si arriverebbe a 1440.
Da qualche parte si parla pure di magazzini corti che erano in produzione all’epoca, ma non si quantifica la differenza tra magazzini lunghi e magazzini corti.
Molti modelli di linotype potevano avere più di un magazzino: ad esempio quattro, intercambiabili semplicemente spostando una leva. Mi pare di capire che non era possibile mischiare nella stessa riga caratteri provenienti da due magazzini diversi. Comunque in un normale uso per passare dal carattere romano a quello italico nella stessa riga, non c’era bisogno di cambiare magazzino: visto che ogni matrice poteva avere entrambe le forme incise su di essa, bastava intervenire sull’allineamento, come si può vedere in quest’immagine da Fontbureau.typenetwork.com. La riga che è stata composta è quella centrale, alternando parole romane a quelle corsive. Tutte le lettere che finiscono al disopra o al di sotto di quella riga non saranno interessate dalla funzione del metallo. I pezzi lunghi, quelli che spuntano sopra e sotto rispetto alle normali matrici, sono gli spazi. Erano composti di due parti, a cuneo, che scorrevano l’una sull’altra, e servivano per la giustificazione del testo. Una volta composta la riga, i cunei scorrevano ad allargare lo spazio finché il lato destro della riga non toccava il bordo che era stato fissato in precedenza. Quello che il computer oggi ottiene matematicamente, aumentando la distanza tra le parole, all’epoca bisognava ottenerlo in maniera meccanica.
Certo, non è detto che ci fosse il canale pieno anche per i simboli meno usati. Comunque ho provato a contare le “a” in qualcuna delle righe che compaiono qui nell’editor di Blogger. In una frase normale, si arriva anche a 15, quindi immagino non ci fossero particolari problemi. Per giunta, nei giornali le colonne sono molto più strette che nei libri, quindi non penso che si potessero esaurire le matrici disponibili per una singola riga, a meno di non farlo apposta.

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