Scriptio continua

I popoli antichi che usavano una scrittura alfabetica non mettevano lo spazio tra una parola e l’altra, ma scrivevano tutto attaccato. In effetti quando uno parla non fa una pausa tra le varie parole, ma fa un discorso continuo, quindi non è così scontata l’idea di separarle in un testo scritto. C’è una pausa tra una frase e l’altra, in effetti, ma gli antichi non registravano neanche questa: non avevano infatti la punteggiatura.
Dice Wikipedia in inglese che la scrittura continua (scriptio continua, o scripta continua, o anche scriptura continua) venne usata anche fino al tredicesimo e quattordicesimo secolo, ma lo spazio ha fatto la sua prima comparsa tra il settimo e l’ottavo secolo nelle bibbie e vangeli anglo-sassoni, e il suo uso si era esteso notevolmente nei secoli successivi.
L’enciclopedia mostra una pagina delle Georgiche di Virgilio realizzata a mano in scriptio continua, risalente al quarto secolo dopo Cristo. Le lettere, in uno stile che viene definito “lapidario romano”, sono abbastanza riconoscibili, ma l’interpretazione del testo è molto faticosa perché non si riescono a distinguere le varie parole.
La lettura all’epoca era un’attività molto soggettiva, perché era il lettore che doveva scegliere quando mettere le pause tra una frase e l’altra. Inoltre, per capire il significato di quello che si leggeva, era importante ascoltarne il suono. Tutti praticamente leggevano ad alta voce, tanto che Sant’Agostino ha lasciato scritto il ricordo del suo stupore nel vedere Sant’Ambrogio che leggeva a mente.
Esistono alcuni testi in cui a seconda di come si suddividono le parole si ottengono significati completamente diversi. La frase ABASSECREVIT (i romani conoscevano solo le lettere maiuscole, per giunta) può essere interpretata come “abas secrevit”, l’abate separò, o “ab asse crevit”, venne su dal nulla. COLLECTAMEXILIOPUBEM si può interpretare come “collectam ex Ilio pubem” o “collectam exilio pubem”. “Ex Ilio” significa “da Troia”, mentre “exilio” vuol dire “esilio”. Per capire quale è il giusto significato bisogna conoscere il contesto in cui è inserita la frase (e il tutto si complica se la popolazione di Troia-Ilio è andata veramente in esilio. A che si riferiva l’autore?).
Conoscendo questo problema, i filologi sono riusciti a correggere degli errori che i copisti inserirono nei manoscritti e che magari rimasero nelle copie successive. Come quello contenuto nel primo esempio. Perché mai c’è un riferimento all’abate in un testo di Petronio? Sarebbe difficile rendersi conto di come è nato l’errore, se uno ha a disposizione solo il testo a parole separate. Ma se si sa che il copista era sicuramente un monaco, il quale copiò un testo in scripta continua (che magari non è giunto fino a noi), ecco che la cosa si spiega: ha interpretato male la frase “ab asse crevit” come “abas secrevit”, stravolgendone il significato.
La pagina in inglese di Wikipedia fornisce esempi di scriptio continua anche in altre lingue: greco, cinese, giapponese, thai, giavanese. Sulla pagina in italiano invece c’è la foto di una iscrizione in lingua armena, incisa sulla porta di un monastero.
I romani in certi periodi, e specie nelle iscrizioni e sui monumenti, usarono il punto mediano per separare le parole (un punto sospeso a mezza altezza, cioè centrato verticalmente. Interpunct in inglese).
Sempre lo stesso articolo collega la scriptio continua con gli indirizzi internet, dove visto che non è consentito lo spazio, le parole vengono scritte tutte attaccate (ad esempio il sito de Il Fatto Quotidiano è ilfattoquotidiano.it)

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