T-shirt della pedalina
Pensate ad un film ambientato all’interno di una tipografia. Quale vi viene in mente? A me, senza alcun dubbio, La Banda Degli Onesti, con Totò e Peppino.
La trama: il portiere di un palazzo (Totò) entra in possesso di un cliché per stampare le banconote da diecimila lire. Glielo ha dato in punto di morte un ex dipendente della Banca d’Italia, con l’incarico di distruggerlo per non farlo finire in mani sbagliate. Però allo stesso tempo l’amministratore del palazzo decide di mandare sul lastrico il portiere, che non ha voluto assecondarlo nel reato di peculato. Così Totò decide di approfittare dell’occasione che gli è stata data: ingaggia il tipografo Loturco (Peppino) per le apparecchiature e il pittore Cardone per i colori. Si mettono così a stampare banconote false, finché il figlio di Totò, finanziere, viene trasferito a Roma e rivela che si sta occupando proprio di quel caso di contraffazione, e che le indagini sono a buon punto. Basta questo per mandare nel panico gli improvvisati falsari, che tra vari malintesi e peripezie, dovranno trovare il modo per uscirne puliti, o almeno per ridurre i danni.
Il film è diventato un cult e le scene all’interno della tipografia sono epiche. Sia quelle in cui avvengono le operazioni di stampa (frenetiche, con le immagini che scorrono a doppia velocità, solventi e inchiostri che finiscono in testa al povero Peppino, e la carta igienica che spunta sempre al posto della carta filigranata) sia la gag precedente, di quando il portiere va a parlare per la prima volta col tipografo. Errori di composizione e scappellotti in testa al figlio, dita schiacciate all’interno delle macchine, e tanti giochi di parole da parte di Totò (“Voi avete una fabbrica”, “C’è peluria di mezzi”...).
La star di quelle scene è la macchina con cui devono essere stampati i soldi, la pe-da-lina, come scandisce bene Peppino (“E di che marca sarebbe questo pedalino?”, gli chiede Totò). Di una marca che Totò ha già sentito nominare, perché ne ha letto il nome sulla cambiale da pagare che ha imbucato nella cassetta postale del tipografo: “Bordini e Stocchetti di Torino”. “Una fabbrica eccezionale”, dice fiero Loturco. La macchina dovrebbe stampare 100 copie al minuto, ma ne stampa 50 al giorno per mancanza di clienti.
Il nome rimane impresso negli spettatori. Capita spesso che all’indomani della messa in onda del film sulla Rai, Google mandi su questo blog un certo numero di persone che cercano informazioni a proposito della pedalina e della marca in questione.
Io ho cercato sul web, ma mentre le pedaline esistevano veramente (e si chiamavano così perché azionate a pedale), non si trovano tracce di Bordini e Stocchetti. Altamente probabile che il nome sia inventato.
Comunque il nome è rimasto nel cuore dei fan, e qualcuno lo ha omaggiato con una apposita t-shirt che si trova in vendita sul web: 15 euro su Cityshirt; 21,49 iva inclusa, più spese di spedizione su Spreadhirt, ma con la scritta più attraente, tutte le taglie e oltre 10 colori disponibili.
Lo schema è lo stesso: “Bordini e Stocchetti” scritto in grande, sottolineato, in alto, “Macchine tipografiche – Torino”, più piccolo. E sotto “Pedalina” e “1956”, che è l’anno di realizzazione del film. Al centro, in grande, la foto di una pedalina (ritagliata dallo sfondo).
La stessa del film? Temo di no. La ruota laterale è piena, con cinque oblò, mentre quella del film è a vari raggi rettilinei.
Quella della t-shirt è una pedalina Saroglia (sempre di Torino). Il che non esclude che anche quella del film possa essere della stessa marca (su Briarpress c’è la foto di un modello di Saroglia con ruota a raggi). Ma si sa che esistevano altre marche. Anche la società Augusta, sempre di Torino, produceva pedaline. È la stessa società che poi, col nome Nebiolo, divenne la punta di diamante nel settore tipografico, in Italia.
Il Museo della Carta di Fabriano ha quattro pedaline esposte, più una platina elettrica degli anni 50, ma le informazioni che fornisce sono molto vaghe. Anche sul resto del web c’è pochissimo materiale: le foto che si trovano sono poche, e senza marche, senza anni di fabbricazione. C’è peluria di informazioni, diciamo.
Il fatto è che si trattava di macchinari che solo gli addetti ai lavori utilizzavano, e per giunta in era pre-informatica. Quindi la documentazione è ben poca, oltre ad essere scarso l’interesse al giorno d’oggi per tecnologie superate.
Eppure qualcuno che cerca informazioni su Bordini e Stocchetti, ogni volta che va in onda il film, si trova sempre. Non abbastanza per Google Trends, per cui il numero di ricerche è così scarso che il sito si rifiuta di fornire statistiche in proposito.
Per tornare alle t-shirt, quello che cambia da un sito all’altro è il font della scritta col nome della marca.
Su quella di Cityshirt c’è un normale Century Gothic, se non sbaglio.
Sull’altra ce n’è uno più insolito. Stretto, con estremità della C tagliate in obliquo verso l’esterno, T con le estremità tagliate a spiovente, O con quattro lati rettilinei e raccordi tondi.
Che roba è? Sembra familiare, e infatti quelle sono le caratteristiche dell’American Captain di Fontry, che oggi è il rétro più scaricato su Dafont (gratis solo per uso personale).
Sempre su Spreadshirt è possibile acquistare non soltanto la maglietta (uomo, donna o bambino) ma anche felpe, grembiuli da cucina e perfino una sacca sportiva con la stessa grafica.
Cercando sul web, risulta anche che esiste una imprecisata srl chiamata “Premiata ditta Borghini e Stocchetti di Torino” (Borghini, non Bordini) con sede a Capri (forse uno studio di progettazione grafica che opera nel settore della comunicazione e del visual design. Ma su Wikipedia viene attribuita all’azienda la proprietà del multiplex Alpha, un canale del digitale terrestre di cui fanno parte varie tv locali. La società sarebbe controllata da un Television Broadcasting System. Disclaimer: “Questa voce non cita le fonti necessarie”). Anche questo evidentemente un omaggio al film.
La trama: il portiere di un palazzo (Totò) entra in possesso di un cliché per stampare le banconote da diecimila lire. Glielo ha dato in punto di morte un ex dipendente della Banca d’Italia, con l’incarico di distruggerlo per non farlo finire in mani sbagliate. Però allo stesso tempo l’amministratore del palazzo decide di mandare sul lastrico il portiere, che non ha voluto assecondarlo nel reato di peculato. Così Totò decide di approfittare dell’occasione che gli è stata data: ingaggia il tipografo Loturco (Peppino) per le apparecchiature e il pittore Cardone per i colori. Si mettono così a stampare banconote false, finché il figlio di Totò, finanziere, viene trasferito a Roma e rivela che si sta occupando proprio di quel caso di contraffazione, e che le indagini sono a buon punto. Basta questo per mandare nel panico gli improvvisati falsari, che tra vari malintesi e peripezie, dovranno trovare il modo per uscirne puliti, o almeno per ridurre i danni.
Il film è diventato un cult e le scene all’interno della tipografia sono epiche. Sia quelle in cui avvengono le operazioni di stampa (frenetiche, con le immagini che scorrono a doppia velocità, solventi e inchiostri che finiscono in testa al povero Peppino, e la carta igienica che spunta sempre al posto della carta filigranata) sia la gag precedente, di quando il portiere va a parlare per la prima volta col tipografo. Errori di composizione e scappellotti in testa al figlio, dita schiacciate all’interno delle macchine, e tanti giochi di parole da parte di Totò (“Voi avete una fabbrica”, “C’è peluria di mezzi”...).
La star di quelle scene è la macchina con cui devono essere stampati i soldi, la pe-da-lina, come scandisce bene Peppino (“E di che marca sarebbe questo pedalino?”, gli chiede Totò). Di una marca che Totò ha già sentito nominare, perché ne ha letto il nome sulla cambiale da pagare che ha imbucato nella cassetta postale del tipografo: “Bordini e Stocchetti di Torino”. “Una fabbrica eccezionale”, dice fiero Loturco. La macchina dovrebbe stampare 100 copie al minuto, ma ne stampa 50 al giorno per mancanza di clienti.
Il nome rimane impresso negli spettatori. Capita spesso che all’indomani della messa in onda del film sulla Rai, Google mandi su questo blog un certo numero di persone che cercano informazioni a proposito della pedalina e della marca in questione.
Io ho cercato sul web, ma mentre le pedaline esistevano veramente (e si chiamavano così perché azionate a pedale), non si trovano tracce di Bordini e Stocchetti. Altamente probabile che il nome sia inventato.
Comunque il nome è rimasto nel cuore dei fan, e qualcuno lo ha omaggiato con una apposita t-shirt che si trova in vendita sul web: 15 euro su Cityshirt; 21,49 iva inclusa, più spese di spedizione su Spreadhirt, ma con la scritta più attraente, tutte le taglie e oltre 10 colori disponibili.
Lo schema è lo stesso: “Bordini e Stocchetti” scritto in grande, sottolineato, in alto, “Macchine tipografiche – Torino”, più piccolo. E sotto “Pedalina” e “1956”, che è l’anno di realizzazione del film. Al centro, in grande, la foto di una pedalina (ritagliata dallo sfondo).
La stessa del film? Temo di no. La ruota laterale è piena, con cinque oblò, mentre quella del film è a vari raggi rettilinei.
Quella della t-shirt è una pedalina Saroglia (sempre di Torino). Il che non esclude che anche quella del film possa essere della stessa marca (su Briarpress c’è la foto di un modello di Saroglia con ruota a raggi). Ma si sa che esistevano altre marche. Anche la società Augusta, sempre di Torino, produceva pedaline. È la stessa società che poi, col nome Nebiolo, divenne la punta di diamante nel settore tipografico, in Italia.
Il Museo della Carta di Fabriano ha quattro pedaline esposte, più una platina elettrica degli anni 50, ma le informazioni che fornisce sono molto vaghe. Anche sul resto del web c’è pochissimo materiale: le foto che si trovano sono poche, e senza marche, senza anni di fabbricazione. C’è peluria di informazioni, diciamo.
Il fatto è che si trattava di macchinari che solo gli addetti ai lavori utilizzavano, e per giunta in era pre-informatica. Quindi la documentazione è ben poca, oltre ad essere scarso l’interesse al giorno d’oggi per tecnologie superate.
Eppure qualcuno che cerca informazioni su Bordini e Stocchetti, ogni volta che va in onda il film, si trova sempre. Non abbastanza per Google Trends, per cui il numero di ricerche è così scarso che il sito si rifiuta di fornire statistiche in proposito.
Per tornare alle t-shirt, quello che cambia da un sito all’altro è il font della scritta col nome della marca.
Su quella di Cityshirt c’è un normale Century Gothic, se non sbaglio.
Sull’altra ce n’è uno più insolito. Stretto, con estremità della C tagliate in obliquo verso l’esterno, T con le estremità tagliate a spiovente, O con quattro lati rettilinei e raccordi tondi.
Che roba è? Sembra familiare, e infatti quelle sono le caratteristiche dell’American Captain di Fontry, che oggi è il rétro più scaricato su Dafont (gratis solo per uso personale).
Sempre su Spreadshirt è possibile acquistare non soltanto la maglietta (uomo, donna o bambino) ma anche felpe, grembiuli da cucina e perfino una sacca sportiva con la stessa grafica.
Cercando sul web, risulta anche che esiste una imprecisata srl chiamata “Premiata ditta Borghini e Stocchetti di Torino” (Borghini, non Bordini) con sede a Capri (forse uno studio di progettazione grafica che opera nel settore della comunicazione e del visual design. Ma su Wikipedia viene attribuita all’azienda la proprietà del multiplex Alpha, un canale del digitale terrestre di cui fanno parte varie tv locali. La società sarebbe controllata da un Television Broadcasting System. Disclaimer: “Questa voce non cita le fonti necessarie”). Anche questo evidentemente un omaggio al film.
Commenti
Posta un commento