Le tabelle che FontForge non apre
Ho provato ad aprire il Times New Roman con FontForge (non so se la licenza lo permette, ma non penso di avere creato un danno a qualcuno). La forma delle lettere si può vedere, nessun problema per quanto riguarda la visualizzazione delle funzionalità di base, ma c’è una lunga sequela di Warnings in fase di apertura.
Dice il programma che è costretto a ignorare la tabella DSIG (Digital signature), la LTSH (Linear threshold), la PCLT (dati Pcl 5), la VDMX (Vertical device metrics), la hdms (horizontal device metrix) e “meta”.
Seguono altre avvertenze: questo font contiene sia una tabella “kern” che una “GPOS” la prima verrà letta solo quando mancano indicazioni nella seconda. In conclusione due avvisi su stringhe di licenza nella tabella “name”.
La tabella dal nome più misterioso è la PCLT. Dovrebbe trattarsi di qualcosa “per iniziati”, visto che una spiegazione chiara e comprensibile in giro non si trova. Leggo sul sito della Microsoft che è sconsigliata per i font OpenType basati su linee TrueType. Si rimandano i dettagli al manuale di riferimento fornito dalla Hewlett-Packard, divisione stampanti.
Sullo stesso sito ci sono molti più dettagli riguardanti la tabella DSIG che contiene la firma digitale. La quale serve sia a far sì che i sistemi operativi e i browser possano identificare la fonte e l’integrità dei file prima di usarli, sia a evitare che le restrizioni decise dagli sviluppatori possano essere alterate in un font OpenType.
La tabella LTSH, spiega la Microsoft, serve a migliorare la leggibilità dei caratteri sullo schermo, regolando la larghezza per l’avanzamento lettera per lettera, e si aggiunge ad altri due meccanismi che già lavorano nello stesso settore.
La tabella VDMX, spiega il sito, serve ad evitare “pixel perduti” dal momento che le istruzioni TrueType possono fornire altezza del font che differisce dal risultato vero scalato e arrotondato.
Anche hdmx riguarda i font OpenType con forme TrueType. E permette di costruire tabelle di larghezze intere scalate a particolari dimensioni in pixel.
Sul sito di riferimento della Microsoft si parla anche della tabella “meta”, mentre della Gpos si dice che provvede al preciso controllo sul posizionamento dei glifi per layout di testo sofisticati e rendering in ogni scrittura e linguaggio supportato da un font.
Uno degli esempi che fa il sito riguarda il linguaggio Urdu, dove ogni glifo si attacca al precedente secondo una linea diagonale discendente che procede da destra a sinistra. La tabella GPOS permette allo sviluppatore di definire gli aggiustamenti nella posizione dei caratteri in un font OpenType.
Inutile dire che tutto questo può interessare solo gli sviluppatori professionisti, che poi sono gli unici in caso di capire queste esigenze.
Chi usa il computer non ha bisogno neanche di sapere che un file di caratteri è composto di varie tabelle diverse, ognuna con un nome e una funzione. E anche chi disegna font amatoriali, per hobby, può tranquillamente essere all’oscuro di tutto questo: i normali software, anche gratuiti, permettono di concentrarsi sui dettagli visivi (la forma delle lettere, la gestione dello spazio tra una lettera e l’altra), e poi assemblano le tabelle in automatico all’insaputa dell’utente al momento di generare il file. Chiaramente il risultato non è perfetto, e può essere proprio scorretto se per caso si sta progettando un font per scrivere in Urdu. Ma in fondo chi è che scrive in Urdu, da queste parti?
Dice il programma che è costretto a ignorare la tabella DSIG (Digital signature), la LTSH (Linear threshold), la PCLT (dati Pcl 5), la VDMX (Vertical device metrics), la hdms (horizontal device metrix) e “meta”.
Seguono altre avvertenze: questo font contiene sia una tabella “kern” che una “GPOS” la prima verrà letta solo quando mancano indicazioni nella seconda. In conclusione due avvisi su stringhe di licenza nella tabella “name”.
La tabella dal nome più misterioso è la PCLT. Dovrebbe trattarsi di qualcosa “per iniziati”, visto che una spiegazione chiara e comprensibile in giro non si trova. Leggo sul sito della Microsoft che è sconsigliata per i font OpenType basati su linee TrueType. Si rimandano i dettagli al manuale di riferimento fornito dalla Hewlett-Packard, divisione stampanti.
Sullo stesso sito ci sono molti più dettagli riguardanti la tabella DSIG che contiene la firma digitale. La quale serve sia a far sì che i sistemi operativi e i browser possano identificare la fonte e l’integrità dei file prima di usarli, sia a evitare che le restrizioni decise dagli sviluppatori possano essere alterate in un font OpenType.
La tabella LTSH, spiega la Microsoft, serve a migliorare la leggibilità dei caratteri sullo schermo, regolando la larghezza per l’avanzamento lettera per lettera, e si aggiunge ad altri due meccanismi che già lavorano nello stesso settore.
La tabella VDMX, spiega il sito, serve ad evitare “pixel perduti” dal momento che le istruzioni TrueType possono fornire altezza del font che differisce dal risultato vero scalato e arrotondato.
Anche hdmx riguarda i font OpenType con forme TrueType. E permette di costruire tabelle di larghezze intere scalate a particolari dimensioni in pixel.
Sul sito di riferimento della Microsoft si parla anche della tabella “meta”, mentre della Gpos si dice che provvede al preciso controllo sul posizionamento dei glifi per layout di testo sofisticati e rendering in ogni scrittura e linguaggio supportato da un font.
Uno degli esempi che fa il sito riguarda il linguaggio Urdu, dove ogni glifo si attacca al precedente secondo una linea diagonale discendente che procede da destra a sinistra. La tabella GPOS permette allo sviluppatore di definire gli aggiustamenti nella posizione dei caratteri in un font OpenType.
Inutile dire che tutto questo può interessare solo gli sviluppatori professionisti, che poi sono gli unici in caso di capire queste esigenze.
Chi usa il computer non ha bisogno neanche di sapere che un file di caratteri è composto di varie tabelle diverse, ognuna con un nome e una funzione. E anche chi disegna font amatoriali, per hobby, può tranquillamente essere all’oscuro di tutto questo: i normali software, anche gratuiti, permettono di concentrarsi sui dettagli visivi (la forma delle lettere, la gestione dello spazio tra una lettera e l’altra), e poi assemblano le tabelle in automatico all’insaputa dell’utente al momento di generare il file. Chiaramente il risultato non è perfetto, e può essere proprio scorretto se per caso si sta progettando un font per scrivere in Urdu. Ma in fondo chi è che scrive in Urdu, da queste parti?
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