Stretti su Google Fonts, Six Caps, Cristiano Ronaldo
16 delle famiglie di caratteri presenti su Google hanno anche una versione più stretta che si chiama Condensed.
La più trendy di oggi è il quella del Roboto. Al secondo posto c’è quella dell’Open Sans, che è molto più leggera, come spessore delle aste, e anche più stretta (in una riga ci entrano parecchie lettere in più).
Larga quanto quella dell’Open Sans, al testo posto c’è la versione condensed del Barlow, di Jeremy Tribby, nello sproposito di 18 stili diversi (Roboto ne aveva 6, Open Sans solo 3). Come si arriva a 18? Thin, Extra-Light, Light, Regular, Medium, Semi-Bold, Bold, Extra-Bold e Black. Più i relativi italici.
Seguono Fira, Ubuntu, Barlow Semi Condensed e Fira Sans Extra Condensed, prima di trovare il Saira Extra Condensed che ha una caratteristica: è il più stretto tra quelli visti finora; a parità di corpo, su ogni riga ci entra il maggior numero di lettere. E senza che queste sembrino strette, o che i testo sia illeggibile, anzi: le proporzioni sembrano abbastanza naturali.
Non c’è niente del genere fino ad arrivare all’ultimo della lista, lo Stint Ultra Condensed di Astigmatic, che però, a differenza di tutti gli altri presenti nella categoria, è l’unico serif: slab, per giunta, motivo per cui può risultare più pesante allo sguardo.
Ma il sito, che ha una suddivisione in categorie molto generica e non dà la possibilità di taggare i font, ha anche degli appositi strumenti per selezionare i caratteri sulla base delle loro proprietà. Una di queste si chiama appunto Width, ed è la larghezza delle lettere. I font sono quindi smistati in varie categorie e poi riordinati secondo un criterio a scelta (il default è Trending).
Nella categoria più stretta ce ne sono 12: al primo posto il Teko (la lettera o ha quattro lati rettilinei e raccordi curvi, la a minuscola ha un solo livello), al terzo il BenchNine, con forme più consuete e arrotondate, con molto più spazio bianco all’interno delle lettere, senza occupare una larghezza maggiore in orizzontale: anzi, ne occupa di meno rispetto al Teko.
Al secondo posto invece c’è il Six Caps, di Vernon Adams, che invece è strettissimo: progettato non per fare entrare una scritta normale in poco spazio, ma per stringere, stipare le lettere il più possibile. È un maiuscoletto.
Altri due raggiungono lo stesso livello di strettezza: il Tulpen One, con forme delle lettere originali (la y ha il tratto di destra raffigurato come un segmento perfettamente verticale), e il Dorsa, che però a piccole dimensioni è quello che ha la leggibilità più difficoltosa (tratti troppo sottili). In entrambi i casi, ci sono sia le maiuscole che le minuscole, che invece mancavano nel primo.
Quando le lettere sono molto strette, come nel Six Caps, possono essere definite alte, a seconda se uno rimane impressionato più dalla dimensione orizzontale o da quella verticale.
Stringere le lettere con un normale processore di testi non è una cosa difficoltosa: si può ottenere facilmente (in OpenOffice Writer: selezionare il testo, cliccare col destro, Carattere, scheda Posizione, poi ridurre la percentuale di “Larghezza della Scala”, che automaticamente sta a 100%). Il problema è che il software si limita ad avvicinare tra loro i punti di controllo in orizzontale. Questo significa che mentre le aste verticali si assottigliano, quelle orizzontali restano dello stesso spessore. Quindi si sbalzano tutte le proporzioni.
Di solito invece in un carattere stretto si vuole conservare la proporzione normale (con aste orizzontali che siano più sottili, o che sembrino avere lo stesso spessore, di quelle verticali). Quindi per ottenere un risultato accettabile deve esserci l’intervento di un disegnatore.
Qualche tempo fa ho visto un uso di caratteri stretti, o forse alti. Meglio ancora: altissimi! Per la presentazione di Cristiano Ronaldo alla Juventus. In quel caso l’altezza della parola “Cristiano” era maggiore della sua larghezza. Un font così ancora nessuno lo ha rilasciato, almeno gratuitamente. Quelle lettere avevano una caratteristica singolare: erano tutte sbilanciate in alto. Ad esempio le due estremità della C non si fronteggiavano a metà strada, ma nel quarto superiore. Stesso discorso per il tratto obliquo della N. Insomma, se uno guardasse solo il quarto superiore della parola, potrebbe quasi immaginare che i tratti non si allunghino troppo verso il basso. Dico quasi perché mentre la S è un po’ deformata, il trattino orizzontale della A è stato portato molto più giù di dove dovrebbe stare la linea di base delle lettere, se fossero normali.
Più che un font apposito, immagino che i grafici abbiano preso come base un font stretto di per sé, e abbiano poi allungato le aste verso il basso, approfittando dei tratti rettilinei che non creano nessuna distorsione.
Al posto della T era stato usato il numero 7 (caratteristico del giocatore).
Altre elaborazioni erano state fatte per l’occasione (sia solo col nome che solo col cognome), da cui in effetti viene fuori che l’altezza finale della parola era molto superiore alla sua larghezza.
Il contrasto tra aste verticali e orizzontali era minimo (quelle orizzontali sembravano dello stesso spessore di quelle verticali).
Volendo fare qualcosa di simile, il Six Caps andrebbe bene. Tenendo conto però di differenze palesi che ci stanno nelle lettere: la A ha i fianchi rettilinei divergenti, a differenza di quella scelta per il calciatore che ha i fianchi paralleli e la sommità curva; e il numero 7, che Vernon Adams ha disegnato con l’asta obliqua rettilinea mentre per i grafici juventini la linea parte obliqua da destra a sinistra prima di curvare verso la verticale esatta.
Ho dimenticato di fare riferimento ai colori usati in quel caso, che sono ovviamente il bianco e il nero. Visto che la maglia juventina storicamente è a strisce verticali bianche e nere, guardare la parte centrale della parola equivale a guardare una maglia a strisce bianconere: sono tutte quasi equidistanti, tranne per il fatto che a destra nel numero 7 (o lettera T) la striscia nera è più larga. Ma si trova a metà parola, e risulta in parte coperta dalla foto del calciatore, o dalla sua silhouette disegnata in nero
La più trendy di oggi è il quella del Roboto. Al secondo posto c’è quella dell’Open Sans, che è molto più leggera, come spessore delle aste, e anche più stretta (in una riga ci entrano parecchie lettere in più).
Larga quanto quella dell’Open Sans, al testo posto c’è la versione condensed del Barlow, di Jeremy Tribby, nello sproposito di 18 stili diversi (Roboto ne aveva 6, Open Sans solo 3). Come si arriva a 18? Thin, Extra-Light, Light, Regular, Medium, Semi-Bold, Bold, Extra-Bold e Black. Più i relativi italici.
Seguono Fira, Ubuntu, Barlow Semi Condensed e Fira Sans Extra Condensed, prima di trovare il Saira Extra Condensed che ha una caratteristica: è il più stretto tra quelli visti finora; a parità di corpo, su ogni riga ci entra il maggior numero di lettere. E senza che queste sembrino strette, o che i testo sia illeggibile, anzi: le proporzioni sembrano abbastanza naturali.
Non c’è niente del genere fino ad arrivare all’ultimo della lista, lo Stint Ultra Condensed di Astigmatic, che però, a differenza di tutti gli altri presenti nella categoria, è l’unico serif: slab, per giunta, motivo per cui può risultare più pesante allo sguardo.
Ma il sito, che ha una suddivisione in categorie molto generica e non dà la possibilità di taggare i font, ha anche degli appositi strumenti per selezionare i caratteri sulla base delle loro proprietà. Una di queste si chiama appunto Width, ed è la larghezza delle lettere. I font sono quindi smistati in varie categorie e poi riordinati secondo un criterio a scelta (il default è Trending).
Nella categoria più stretta ce ne sono 12: al primo posto il Teko (la lettera o ha quattro lati rettilinei e raccordi curvi, la a minuscola ha un solo livello), al terzo il BenchNine, con forme più consuete e arrotondate, con molto più spazio bianco all’interno delle lettere, senza occupare una larghezza maggiore in orizzontale: anzi, ne occupa di meno rispetto al Teko.
Al secondo posto invece c’è il Six Caps, di Vernon Adams, che invece è strettissimo: progettato non per fare entrare una scritta normale in poco spazio, ma per stringere, stipare le lettere il più possibile. È un maiuscoletto.
Altri due raggiungono lo stesso livello di strettezza: il Tulpen One, con forme delle lettere originali (la y ha il tratto di destra raffigurato come un segmento perfettamente verticale), e il Dorsa, che però a piccole dimensioni è quello che ha la leggibilità più difficoltosa (tratti troppo sottili). In entrambi i casi, ci sono sia le maiuscole che le minuscole, che invece mancavano nel primo.
Quando le lettere sono molto strette, come nel Six Caps, possono essere definite alte, a seconda se uno rimane impressionato più dalla dimensione orizzontale o da quella verticale.
Stringere le lettere con un normale processore di testi non è una cosa difficoltosa: si può ottenere facilmente (in OpenOffice Writer: selezionare il testo, cliccare col destro, Carattere, scheda Posizione, poi ridurre la percentuale di “Larghezza della Scala”, che automaticamente sta a 100%). Il problema è che il software si limita ad avvicinare tra loro i punti di controllo in orizzontale. Questo significa che mentre le aste verticali si assottigliano, quelle orizzontali restano dello stesso spessore. Quindi si sbalzano tutte le proporzioni.
Di solito invece in un carattere stretto si vuole conservare la proporzione normale (con aste orizzontali che siano più sottili, o che sembrino avere lo stesso spessore, di quelle verticali). Quindi per ottenere un risultato accettabile deve esserci l’intervento di un disegnatore.
Qualche tempo fa ho visto un uso di caratteri stretti, o forse alti. Meglio ancora: altissimi! Per la presentazione di Cristiano Ronaldo alla Juventus. In quel caso l’altezza della parola “Cristiano” era maggiore della sua larghezza. Un font così ancora nessuno lo ha rilasciato, almeno gratuitamente. Quelle lettere avevano una caratteristica singolare: erano tutte sbilanciate in alto. Ad esempio le due estremità della C non si fronteggiavano a metà strada, ma nel quarto superiore. Stesso discorso per il tratto obliquo della N. Insomma, se uno guardasse solo il quarto superiore della parola, potrebbe quasi immaginare che i tratti non si allunghino troppo verso il basso. Dico quasi perché mentre la S è un po’ deformata, il trattino orizzontale della A è stato portato molto più giù di dove dovrebbe stare la linea di base delle lettere, se fossero normali.
Più che un font apposito, immagino che i grafici abbiano preso come base un font stretto di per sé, e abbiano poi allungato le aste verso il basso, approfittando dei tratti rettilinei che non creano nessuna distorsione.
Al posto della T era stato usato il numero 7 (caratteristico del giocatore).
Altre elaborazioni erano state fatte per l’occasione (sia solo col nome che solo col cognome), da cui in effetti viene fuori che l’altezza finale della parola era molto superiore alla sua larghezza.
Il contrasto tra aste verticali e orizzontali era minimo (quelle orizzontali sembravano dello stesso spessore di quelle verticali).
Volendo fare qualcosa di simile, il Six Caps andrebbe bene. Tenendo conto però di differenze palesi che ci stanno nelle lettere: la A ha i fianchi rettilinei divergenti, a differenza di quella scelta per il calciatore che ha i fianchi paralleli e la sommità curva; e il numero 7, che Vernon Adams ha disegnato con l’asta obliqua rettilinea mentre per i grafici juventini la linea parte obliqua da destra a sinistra prima di curvare verso la verticale esatta.
Ho dimenticato di fare riferimento ai colori usati in quel caso, che sono ovviamente il bianco e il nero. Visto che la maglia juventina storicamente è a strisce verticali bianche e nere, guardare la parte centrale della parola equivale a guardare una maglia a strisce bianconere: sono tutte quasi equidistanti, tranne per il fatto che a destra nel numero 7 (o lettera T) la striscia nera è più larga. Ma si trova a metà parola, e risulta in parte coperta dalla foto del calciatore, o dalla sua silhouette disegnata in nero
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