I font usati dagli scrittori italiani
Ieri il Post ha pubblicato un articolo sui font usati dagli scrittori italiani. Il sito è rimasto celebre per un articolo uscito cinque anni fa intitolato Perché tutti i libri italiani sono in Garamond. Titolo fuorviante, visto che non è vero, almeno non detto così, ma a tutt’oggi se uno cerca informazioni sul Simoncini Garamond quello è il primo articolo che viene fuori dai motori di ricerca (in mezzo ad altri risultati relativi a siti di download regolari e soprattutto clandestini).
Quell’articolo, firmato Giacomo Papi, viene linkato anche dall’articolo di ieri, che però è senza firma, trattandosi di un collage delle dichiarazioni degli scrittori e relative biografie). Il punto di partenza è: quando uno scrittore deve buttare giù il testo di un racconto o un romanzo, quale font sceglierà per sentirsi a suo agio nella pagina, e magari anche regolarsi visivamente su quanto spazio sta prendendo?
La domanda è stata rivolta a vari scrittori, che hanno inviato le loro risposte. Alcuni di una riga soltanto, altri con molti dettagli in più.
Baricco ha detto che usa il Garamond: “Non posso scrivere con altro font”. Gli stessi caratteri usati nei libri di letteratura, ma, nel suo caso, con testo allineato a sinistra, non giustificato.
Anche Antonella Lattanzi usa il Garamond, corpo 12, “perché è il più simile a quello usato nei libri che ho sempre letto e amato. Mi fa sentire accolta, e mi piace moltissimo”. Il Times New Roman invece è “freddo, severo, e anche un po’ sciatto”.
Donatella Di Pietrantonio è appena passata a Garamond, dopo avere sempre usato Helvetica: “lo trovo più suggestivo sulla pagina”. Ma la sua avventura nel mondo del computer è andata avanti a piccoli passi: per parecchio tempo si è accontentata solo di conoscere Word, il copia-e-incolla e la posta elettronica, rimanendo sempre affezionata al vecchio metodo, quello di scrivere con la biro blu sul quaderno, come fece per il suo primo romanzo uscito dieci anni fa.
Giacomo Papi scrive in Garamond, ma in corpo 14.
Di solito il default sui computer è 12. Ma c’è da dire che la pagina di default è formato A4. I libri sono di formato molto più piccolo, quindi, se si vuole ottenere un effetto simile sullo schermo, o si cambia la dimensione del foglio (ma poi si rischia di trovarsi in difficoltà se lo si vuole stampare sui fogli normali) o si aumenta quella del testo. (Ma questo lo immagino io, perché gli scrittori interpellati non dicono nulla in proposito).
Veronica Raimo ha cominciato con il Verdana (“che ora odio”), poi è passata al Times New Roman e al Simoncini Garamond. Ora invece usa il Cambria, che è comunque uno di quei font forniti col pacchetto Office. Nella “fase pretenziosa” aveva provato ad usare altri programmi diversi da Word, ma non ci si è mai abituata.
Marco Missiroli sceglie un numero dispari per il corpo: 13. Ma ridimensiona anche la pagina: 14,5 per 21 (all’incirca un formato A5, ma impreciso) con 0,5 di “rientranza” per ogni paragrafo.
Molti più numeri vengono dati da Valeria Parrella: qui si punta sul Times New Roman, grandezza 14, interlinea 1.5, rientro 1.5, giustificato, rientro a sinistra e destra di 1.5. “Perché così mi viene una cartella da 1800 battute più o meno”. E quindi riesce a farsi un’idea di quanto ha scritto in base al numero di pagine, o a quanta parte della pagina ha occupato (lo usa anche se deve scrivere articoli di giornale).
Qualche tradizionalista c’è: Paolo Cognetti il manoscritto lo scrive a mano, su quaderni bianchi senza righe né quadretti, possibilmente su carta che non sia bianca. E li conserva pure. Per le penne, nessuna preferenza, “purché siano nere e scrivano”.
Poi passa tutto a computer, usando ogni volta un font diverso: Baskerville per il libro precedente, Century per quello attuale. “Cambiare carattere da un libro all’altro mi sembra quasi necessario”, dice.
Nicola Lagioia punta sul Times New Roman 14, “interlinea minima valore 21, rientro prima riga 0,25 cm, rientro a destra 2,4 cm, allineamento giustificato. “È tutto collegato, non è solo il corpo o il font”, è il suo punto di vista.
Paolo Nori di solito usa il Times New Roman, ma quando ha scritto un giallo si è rivolto all’American Typewriter, sempre in corpo 14. L’inizio della tesi di laurea lo scrisse con una imprecisata macchina da scrivere Olivetti portatile, ma da allora (inizio anni 90) ha sempre scritto a computer, o a mano: “Non mi piace scrivere sul telefono, mi piacciono i taccuini, le penne, è un’altra cosa”.
Due scrittori puntano sul Palatino Linotype: Giorgio Fontana (che detesta il Times New Roman, ma ha usato il Book Antiqua) e Antonio Pascale (“se non uso il Palatino 14 non riesco proprio a scrivere”).
Il Palatino è quello che viene usato dalla Mondadori per la sua narrativa italiana e straniera, come raccontava il vecchio articolo del Post.
Paolo Giordano usa il Baskerville 14, ma la prima stesura è a mano su un quaderno a righe, a spirale.
Stefania Auci usa Times New Roman e Calibri (i default). Walter Siti scrive a mano, su quaderni Monocromo con pennarelli TrattoPen, e poi ribatte tutto col Times New Roman 12.
E Teresa Ciabatti? Tre punti interrogativi. “Io ho sempre usato il predefinito trovato sul primo computer. Anche l’impaginazione e l’intervallo tra le righe”. Salvo poi ritrovarsi delle sorprese: un libro di 200 pagine quando pensava di averne tirate fuori 100. E mettersi a scrivere “tutto appiccicato”, nell’irrazionale tentativo di far quadrare i conti suoi e quelli della casa editrice (almeno, così sembra da come lo racconta lì). Certo che magari pianificando prima corpo e pagina... Ma va bene lo stesso. Il mondo è bello perché è vario.
Unica osservazione che ci aggiungo io: tutti gli scrittori intervistati usano font commerciali. Nessuno che abbia scaricato qualcosa da Google, dove pure ci sono font di una certa qualità, e lo abbia usato per scrivere. Almeno, non ancora.
(L’articolo del Post è impaginato in Georgia, carattere snobbato dagli intervistati; che però viene caricato solo se è installato sul computer dell’utente. In alternativa, la pagina cerca un Times, “Times New Roman”, o sennò il serif di default).
Quell’articolo, firmato Giacomo Papi, viene linkato anche dall’articolo di ieri, che però è senza firma, trattandosi di un collage delle dichiarazioni degli scrittori e relative biografie). Il punto di partenza è: quando uno scrittore deve buttare giù il testo di un racconto o un romanzo, quale font sceglierà per sentirsi a suo agio nella pagina, e magari anche regolarsi visivamente su quanto spazio sta prendendo?
La domanda è stata rivolta a vari scrittori, che hanno inviato le loro risposte. Alcuni di una riga soltanto, altri con molti dettagli in più.
Baricco ha detto che usa il Garamond: “Non posso scrivere con altro font”. Gli stessi caratteri usati nei libri di letteratura, ma, nel suo caso, con testo allineato a sinistra, non giustificato.
Anche Antonella Lattanzi usa il Garamond, corpo 12, “perché è il più simile a quello usato nei libri che ho sempre letto e amato. Mi fa sentire accolta, e mi piace moltissimo”. Il Times New Roman invece è “freddo, severo, e anche un po’ sciatto”.
Donatella Di Pietrantonio è appena passata a Garamond, dopo avere sempre usato Helvetica: “lo trovo più suggestivo sulla pagina”. Ma la sua avventura nel mondo del computer è andata avanti a piccoli passi: per parecchio tempo si è accontentata solo di conoscere Word, il copia-e-incolla e la posta elettronica, rimanendo sempre affezionata al vecchio metodo, quello di scrivere con la biro blu sul quaderno, come fece per il suo primo romanzo uscito dieci anni fa.
Giacomo Papi scrive in Garamond, ma in corpo 14.
Di solito il default sui computer è 12. Ma c’è da dire che la pagina di default è formato A4. I libri sono di formato molto più piccolo, quindi, se si vuole ottenere un effetto simile sullo schermo, o si cambia la dimensione del foglio (ma poi si rischia di trovarsi in difficoltà se lo si vuole stampare sui fogli normali) o si aumenta quella del testo. (Ma questo lo immagino io, perché gli scrittori interpellati non dicono nulla in proposito).
Veronica Raimo ha cominciato con il Verdana (“che ora odio”), poi è passata al Times New Roman e al Simoncini Garamond. Ora invece usa il Cambria, che è comunque uno di quei font forniti col pacchetto Office. Nella “fase pretenziosa” aveva provato ad usare altri programmi diversi da Word, ma non ci si è mai abituata.
Marco Missiroli sceglie un numero dispari per il corpo: 13. Ma ridimensiona anche la pagina: 14,5 per 21 (all’incirca un formato A5, ma impreciso) con 0,5 di “rientranza” per ogni paragrafo.
Molti più numeri vengono dati da Valeria Parrella: qui si punta sul Times New Roman, grandezza 14, interlinea 1.5, rientro 1.5, giustificato, rientro a sinistra e destra di 1.5. “Perché così mi viene una cartella da 1800 battute più o meno”. E quindi riesce a farsi un’idea di quanto ha scritto in base al numero di pagine, o a quanta parte della pagina ha occupato (lo usa anche se deve scrivere articoli di giornale).
Qualche tradizionalista c’è: Paolo Cognetti il manoscritto lo scrive a mano, su quaderni bianchi senza righe né quadretti, possibilmente su carta che non sia bianca. E li conserva pure. Per le penne, nessuna preferenza, “purché siano nere e scrivano”.
Poi passa tutto a computer, usando ogni volta un font diverso: Baskerville per il libro precedente, Century per quello attuale. “Cambiare carattere da un libro all’altro mi sembra quasi necessario”, dice.
Nicola Lagioia punta sul Times New Roman 14, “interlinea minima valore 21, rientro prima riga 0,25 cm, rientro a destra 2,4 cm, allineamento giustificato. “È tutto collegato, non è solo il corpo o il font”, è il suo punto di vista.
Paolo Nori di solito usa il Times New Roman, ma quando ha scritto un giallo si è rivolto all’American Typewriter, sempre in corpo 14. L’inizio della tesi di laurea lo scrisse con una imprecisata macchina da scrivere Olivetti portatile, ma da allora (inizio anni 90) ha sempre scritto a computer, o a mano: “Non mi piace scrivere sul telefono, mi piacciono i taccuini, le penne, è un’altra cosa”.
Due scrittori puntano sul Palatino Linotype: Giorgio Fontana (che detesta il Times New Roman, ma ha usato il Book Antiqua) e Antonio Pascale (“se non uso il Palatino 14 non riesco proprio a scrivere”).
Il Palatino è quello che viene usato dalla Mondadori per la sua narrativa italiana e straniera, come raccontava il vecchio articolo del Post.
Paolo Giordano usa il Baskerville 14, ma la prima stesura è a mano su un quaderno a righe, a spirale.
Stefania Auci usa Times New Roman e Calibri (i default). Walter Siti scrive a mano, su quaderni Monocromo con pennarelli TrattoPen, e poi ribatte tutto col Times New Roman 12.
E Teresa Ciabatti? Tre punti interrogativi. “Io ho sempre usato il predefinito trovato sul primo computer. Anche l’impaginazione e l’intervallo tra le righe”. Salvo poi ritrovarsi delle sorprese: un libro di 200 pagine quando pensava di averne tirate fuori 100. E mettersi a scrivere “tutto appiccicato”, nell’irrazionale tentativo di far quadrare i conti suoi e quelli della casa editrice (almeno, così sembra da come lo racconta lì). Certo che magari pianificando prima corpo e pagina... Ma va bene lo stesso. Il mondo è bello perché è vario.
Unica osservazione che ci aggiungo io: tutti gli scrittori intervistati usano font commerciali. Nessuno che abbia scaricato qualcosa da Google, dove pure ci sono font di una certa qualità, e lo abbia usato per scrivere. Almeno, non ancora.
(L’articolo del Post è impaginato in Georgia, carattere snobbato dagli intervistati; che però viene caricato solo se è installato sul computer dell’utente. In alternativa, la pagina cerca un Times, “Times New Roman”, o sennò il serif di default).
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