Chi odia Comic Sans non capisce niente di tipografia
Circola una frase attribuita a Connare, l’ideatore di Comic Sans, a proposito del suo font, che suona più o meno così: “Se lo ami non sai molto di tipografia. Anche se lo odi non sai davvero molto di tipografia, e dovresti trovarti un altro hobby”.
La questione ha una certa importanza, perché se uno nomina o usa il Comic Sans in un contesto in cui non dovrebbe, rischia di finire criticato molto duramente.
La storia è finita perfino sulle colonne del New York Times.
Più o meno è questa: il disegnatore aveva realizzato un font destinato ad essere inserito in un software per bambini, nel quale un cane diceva delle cose all’interno di un fumetto. Non c’era niente del genere a disposizione all’epoca, e il suo progetto neanche andò in porto, per questioni tecniche (ormai il software era stato progettato secondo altre metriche). Comunque, il font venne inserito tra quelli di default di Windows e quindi finì nelle mani di tutti gli utenti che si affacciavano in quel momento al mondo del computer e dell’home publishing (verso la metà degli anni Novanta). I quali, senza sapere niente di tipografia, lo usarono per gli scopi più impensati. Così un font che era stato immaginato per un’applicazione per bambini lo ritroviamo per indicare i reparti degli ospedali, le tombe, o per comunicazioni ufficiali e chissà che altro. E il disprezzo degli addetti ai lavori, o di quelli che si atteggiano a capirci qualcosa di tipografia, si è indirizzato non su chi ha fatto un uso “sbagliato” del font, ma sul font in sé. È nata la campagna “Ban Comic Sans”, che incitava a non usare il font, e l’attenzione delle persone si è indirizzata sul font in sé più che sul contesto in cui non bisognava usarlo.
Un articolo in inglese che ha toccato di nuovo l’argomento New York Times nell’autunno scorso può essere letto solo dagli abbonati.
In italiano si trovano articoli molto superficiali, che però ricordano anche che c’è chi il Comic Sans lo ama, e per dimostrarlo ha progettato campagne riguardanti questioni serie intenzionalmente con questo tipo di carattere.
Un articolo interessante dal punto di vista letterario è comparso sette anni fa su Dudemag, scritto da una malcapitata che aveva osato paragonare una scritta su una saracinesca al Comic Sans e ha ricevuto aspre critiche (era un’eresia comunque, dato che quella scritta era in un serif italic).
Un post del 2013 sul blog Evilripper ricostruiva un po’ la storia del font, mettendoci anche una foto di come era venuto alla fine il programma Microsoft Bob (senza Comic Sans) e link interessanti, tra cui quello a un blog, ormai abbandonato da anni, che si divertiva a riprodurre tutti i loghi che vedeva... in Comic Sans: dal simbolo di Superman al logo dei jeans Levis, e poi Kodak, Nintendo, Mtv, Jack Daniels, Mgm...
“Anni fa ho assistito a una scena tristissima dove uno sviluppatore è stato costretto a impostare Comic Sans come carattere predefinito per una applicazione web, una tragedia”, diceva il sito.
E riportava quanto scritto nell’ambito della campagna bancomicsans: “Il carattere nella comunicazione scritta è paragonabile al tono della voce in una comunicazione orale. Il simbolo grafico del carattere è di per sé la sua voce. Spesso questa voce parla più forte del testo stesso. Quando si progetta per esempio un cartello con scritto ‘Vietato l’ingresso’ occorre usare un carattere autoritario come Impact o Arial Black. Ricorrere a Comic Sans sarebbe ridicolo”.
L’articolo guarda pure di cattivo occhio quelli che “impostano il Comic Sans sul loro smartphone e ne vanno fierissimi”, ma è disposto a chiudere un occhio. In fondo si tratta di un uso personale. Quello che non sopporta è l’uso di questo carattere nei progetti professionali. “Vuoi che il tuo progetto si presenti in cravatta con il costume da clown? Allora cerca di non usare un font errato”.
In costume da clown ci si è presentato Sua Santità il Papa Emerito Benedetto XVI, quando subito dopo avere fatto il passo indietro che portò all’elezione di Papa Francesco senza la morte del predecessore (un evento che non era mai accaduto in epoca moderna), si ritrovò al centro di un album fotografico di 60 pagine pubblicato dal Vaticano e impaginato interamente in Comic Sans.
Sul sito Mashable, in inglese, c’è qualche schermata dell’opuscolo, soltanto con l’aggiunta che “gran parte dei disegnatori del web considerano [il Comic Sans] un carattere infantile e inappropriato per gran parte degli usi. Al di là dei vostri sentimenti verso il font che chiunque ama odiare, questo potrebbe far discutere di una piccola cosa chiamata infallibilità papale”.
Nel 2014, l’anno del ventennale della creazione del Comic Sans, il sito italiano Linkiesta gli aveva dedicato un articolo, introdotto dall’immagine del cane Rover e dalla scritta “Woof?” in Comic Sans.
Il sito elenca tutte le scuse che possono attenuare la colpa di usare questo tipo di carattere: “Nessuno ci ha mai insegnato a usare caratteri tipografici diversi a seconda di cosa volevamo dire e non avevamo modelli da copiare”. “Persino Microsoft Bob, il programma che doveva insegnarci a usare i computer, ci parlava con il tono di voce sbagliato” (le scritte nei fumetti erano in Times New Roman, carattere originariamente pensato per le colonne del serio quotidiano londinese Times). “E poi forse eravamo semplicemente alla ricerca di un po’ di calore umano, un carattere che permettesse di ritrovare anche dentro i computer un pezzetto della scrittura a mano libera che usavamo fino a un secondo prima”.
I due fumetti nei quali il disegnatore avrebbe cercato l’ispirazione per il suo font sarebbero Watchman di Alan Moore e Il ritorno del cavaliere oscuro di Frank Miller.
La questione ha una certa importanza, perché se uno nomina o usa il Comic Sans in un contesto in cui non dovrebbe, rischia di finire criticato molto duramente.
La storia è finita perfino sulle colonne del New York Times.
Più o meno è questa: il disegnatore aveva realizzato un font destinato ad essere inserito in un software per bambini, nel quale un cane diceva delle cose all’interno di un fumetto. Non c’era niente del genere a disposizione all’epoca, e il suo progetto neanche andò in porto, per questioni tecniche (ormai il software era stato progettato secondo altre metriche). Comunque, il font venne inserito tra quelli di default di Windows e quindi finì nelle mani di tutti gli utenti che si affacciavano in quel momento al mondo del computer e dell’home publishing (verso la metà degli anni Novanta). I quali, senza sapere niente di tipografia, lo usarono per gli scopi più impensati. Così un font che era stato immaginato per un’applicazione per bambini lo ritroviamo per indicare i reparti degli ospedali, le tombe, o per comunicazioni ufficiali e chissà che altro. E il disprezzo degli addetti ai lavori, o di quelli che si atteggiano a capirci qualcosa di tipografia, si è indirizzato non su chi ha fatto un uso “sbagliato” del font, ma sul font in sé. È nata la campagna “Ban Comic Sans”, che incitava a non usare il font, e l’attenzione delle persone si è indirizzata sul font in sé più che sul contesto in cui non bisognava usarlo.
Un articolo in inglese che ha toccato di nuovo l’argomento New York Times nell’autunno scorso può essere letto solo dagli abbonati.
In italiano si trovano articoli molto superficiali, che però ricordano anche che c’è chi il Comic Sans lo ama, e per dimostrarlo ha progettato campagne riguardanti questioni serie intenzionalmente con questo tipo di carattere.
Un articolo interessante dal punto di vista letterario è comparso sette anni fa su Dudemag, scritto da una malcapitata che aveva osato paragonare una scritta su una saracinesca al Comic Sans e ha ricevuto aspre critiche (era un’eresia comunque, dato che quella scritta era in un serif italic).
Un post del 2013 sul blog Evilripper ricostruiva un po’ la storia del font, mettendoci anche una foto di come era venuto alla fine il programma Microsoft Bob (senza Comic Sans) e link interessanti, tra cui quello a un blog, ormai abbandonato da anni, che si divertiva a riprodurre tutti i loghi che vedeva... in Comic Sans: dal simbolo di Superman al logo dei jeans Levis, e poi Kodak, Nintendo, Mtv, Jack Daniels, Mgm...
“Anni fa ho assistito a una scena tristissima dove uno sviluppatore è stato costretto a impostare Comic Sans come carattere predefinito per una applicazione web, una tragedia”, diceva il sito.
E riportava quanto scritto nell’ambito della campagna bancomicsans: “Il carattere nella comunicazione scritta è paragonabile al tono della voce in una comunicazione orale. Il simbolo grafico del carattere è di per sé la sua voce. Spesso questa voce parla più forte del testo stesso. Quando si progetta per esempio un cartello con scritto ‘Vietato l’ingresso’ occorre usare un carattere autoritario come Impact o Arial Black. Ricorrere a Comic Sans sarebbe ridicolo”.
L’articolo guarda pure di cattivo occhio quelli che “impostano il Comic Sans sul loro smartphone e ne vanno fierissimi”, ma è disposto a chiudere un occhio. In fondo si tratta di un uso personale. Quello che non sopporta è l’uso di questo carattere nei progetti professionali. “Vuoi che il tuo progetto si presenti in cravatta con il costume da clown? Allora cerca di non usare un font errato”.
In costume da clown ci si è presentato Sua Santità il Papa Emerito Benedetto XVI, quando subito dopo avere fatto il passo indietro che portò all’elezione di Papa Francesco senza la morte del predecessore (un evento che non era mai accaduto in epoca moderna), si ritrovò al centro di un album fotografico di 60 pagine pubblicato dal Vaticano e impaginato interamente in Comic Sans.
Sul sito Mashable, in inglese, c’è qualche schermata dell’opuscolo, soltanto con l’aggiunta che “gran parte dei disegnatori del web considerano [il Comic Sans] un carattere infantile e inappropriato per gran parte degli usi. Al di là dei vostri sentimenti verso il font che chiunque ama odiare, questo potrebbe far discutere di una piccola cosa chiamata infallibilità papale”.
Nel 2014, l’anno del ventennale della creazione del Comic Sans, il sito italiano Linkiesta gli aveva dedicato un articolo, introdotto dall’immagine del cane Rover e dalla scritta “Woof?” in Comic Sans.
Il sito elenca tutte le scuse che possono attenuare la colpa di usare questo tipo di carattere: “Nessuno ci ha mai insegnato a usare caratteri tipografici diversi a seconda di cosa volevamo dire e non avevamo modelli da copiare”. “Persino Microsoft Bob, il programma che doveva insegnarci a usare i computer, ci parlava con il tono di voce sbagliato” (le scritte nei fumetti erano in Times New Roman, carattere originariamente pensato per le colonne del serio quotidiano londinese Times). “E poi forse eravamo semplicemente alla ricerca di un po’ di calore umano, un carattere che permettesse di ritrovare anche dentro i computer un pezzetto della scrittura a mano libera che usavamo fino a un secondo prima”.
I due fumetti nei quali il disegnatore avrebbe cercato l’ispirazione per il suo font sarebbero Watchman di Alan Moore e Il ritorno del cavaliere oscuro di Frank Miller.
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