Baudot e Morse
Il codice Baudot associava ad ogni lettera, numero o segno di interpunzione un insieme di cinque bit.
Veniva usato ai tempi delle telescriventi, ossia quei sistemi automatici che avevano sostituito il telegrafo in cui l’operatore doveva digitare i messaggi in codice morse. Nelle telescriventi c’era una tastiera su cui l’operatore poteva digitare; tramite un ingegnoso meccanismo di leve e interruttori il testo veniva trasformato in bit in codice Baudot da trasmettere sulla linea di comunicazione, o da memorizzare da qualche parte. Il supporto di memorizzazione era costituito da un nastro di carta, che veniva perforato nelle posizioni opportune. La lettera E, che corrispondeva al codice 00001 prevedeva un solo buco tondo nell’ultima posizione; la lettera V, che corrispondeva ad 11110, prevedeva quattro buchi, lasciando integra la carta nella posizione finale.
Mentre l’Ascii che si usa nei personal computer è di 8 bit, con 256 combinazioni possibili, dando la possibilità di codificare maiuscole, minuscole, cifre, segni di interpunzione e anche lettere accentate, un codice di cinque bit offre molte meno possibilità: due alla quinta, ovvero... solo 32! C’è spazio quindi solo per le lettere maiuscole e per qualche carattere di controllo: spazio, avanzamento di una linea, ritorno del carrello e... cambio modalità. Inserendo il codice apposito era possibile passare dalla modalità Ltrs (lettere) alla modalità Figs (simboli), in cui gli stessi codici delle lettere erano invece associati a cifre numeriche, segni di interpunzione, simboli matematici, caratteri speciali (&, £...).
La foto di un nastro perforato in codice Baudot è visibile su Wikipedia con una definizione sufficiente. Nella parte centrale la striscia era attraversata da una fila di forellini più piccoli di quelli che portavano l’informazione. Forse servivano per assicurare l’allineamento delle varie file col dispositivo di lettura. Erano messi in quella posizione anziché sul bordo in maniera tale da separare in due il codice: da un lato c’erano i primi tre bit, dall’altro gli ultimi due. In tal modo l’operatore poteva evitare di montare il nastro dal lato sbagliato.
Un font gratuito dedicato al Baudot è disponibile su Dafont, creato nel 2008 da Richie Whyte (gratuito solo per uso personale). È stato inserito nella categoria Simboli, ma nella sotto-categoria dedicata ai codici a barre, nella quale di solito la gente non va a sbirciare anche perché l’effetto che si ottiene è monotono e comunque inutilizzabile per i comuni mortali. Nella stessa categoria sono finiti anche il Barmorse e il Morse Tech, che in modi diversi provano a riprodurre il codice morse come un insieme di barre, verticali nel primo caso, oblique nel secondo. Il primo è assolutamente inutilizzabile, visto che non c’è nessuno spazio tra un carattere e l’altro, per cui non si capisce dove finisce una lettera e dove ne comincia un’altra (a differenza dell’Ascii o del Baudot, dove tutte le lettere sono composte dallo stesso numero di bit, nel Morse ogni lettera è composta da una quantità diversa di punti o linee, e non esiste un carattere che indica la separazione tra una parola e l’altra, ovvero lo spazio. È quindi fondamentale che ci sia uno spazio ad separare le lettere una dall’altra, e uno spazio maggiore per separare le parole).
Nel Morse tech un po’ di spazio tra le lettere c’è, ma è difficile da individuare ad occhio. Quindi anche questo è praticamente inutilizzabile.
Su Dafont c’è qualcosa di più adatto per rendere l’idea di questo codice: è il Morse, di Furetto Bislacco, dove le lettere minuscole sono rappresentate con punti e linee, come nel normale uso telegrafico radiantistico, seguiti da una barra (che pure si usa quando qualcuno vuole usare il Morse per lasciare un messaggio scritto). Lo spazio tra le parole è reso solo da un po’ di bianco in più. Inutilizzabili le maiuscole, dove invece manca qualsiasi separazione tra una lettera e l’altra (a meno di non inserirla a mano).
Anche il Bootcamp trascrive il codice come un insieme di punti e linee, senza però allinearli tra di loro, come quando si prova a renderlo a computer, col trattino a mezza altezza a rappresentare la linea, e il punto in basso a rappresentare il punto. A rendere incoerente il tutto c’è la scelta di abbassare l’altezza del trattino in quelle lettere composte solo da trattini, come la M o la O.
Utilizza il codice Morse anche Cesar Mosquera, ma in maniera un po’ bislacca: scarabbocchiando triangoli grandi al posto delle linee e triangoli piccoli al posto dei punti. Ottiene così il Morse Mountain Code.
L’uso di rappresentare le lettere con linee e punti non è una convenzione grafica per visualizzare simboli binari, ma una necessità tecnica. In origine era possibile mandare su una linea elettrica solo una corrente in grado di far scattare un interruttore a distanza che abbassava una puntina fintanto che la corrente arrivava. Sotto la punta con l’inchiostro veniva fatta scorrere una strisciolina di carta. L’operatore che mandava il messaggio non aveva due tasti a disposizione, ma soltanto uno. A seconda del tempo in cui lo teneva premuto, la puntina dall’altra parte tracciava sul nastro scorrevole un segno più o meno lungo, che doveva essere interpretato dal destinatario come punto o linea. E se la digitazione dell’operatore era stata un po’ imprecisa, poteva esserci un margine di ambiguità. Cosa che non avviene nei sistemi veramente binari (a meno di interferenze sulla linea o problemi di apparecchiatura).
Né Furetto Bislacco né Richie Whyte hanno mai caricato altri font sul sito.
Sul web circola la foto di una strisciolina di carta che dovrebbe essere il promo telegramma, col testo “Cosa ha operato Dio?”, (tratto dalla Bibbia, libro dei Numeri). Apparentemente le lettere vennero ottenute senza inchiostro, con tre puntine affiancate che hanno grattato la carta. Comunque, le lettere corrispondenti sono state trascritte a penna sotto ciascun segno in maniera leggibile, mentre sopra c’è, sempre in corsivo, una scritta che commemora la data e le città tra cui è avvenuta la comunicazione (da Baltimora a Washington, sabato 25 maggio 1844).
Veniva usato ai tempi delle telescriventi, ossia quei sistemi automatici che avevano sostituito il telegrafo in cui l’operatore doveva digitare i messaggi in codice morse. Nelle telescriventi c’era una tastiera su cui l’operatore poteva digitare; tramite un ingegnoso meccanismo di leve e interruttori il testo veniva trasformato in bit in codice Baudot da trasmettere sulla linea di comunicazione, o da memorizzare da qualche parte. Il supporto di memorizzazione era costituito da un nastro di carta, che veniva perforato nelle posizioni opportune. La lettera E, che corrispondeva al codice 00001 prevedeva un solo buco tondo nell’ultima posizione; la lettera V, che corrispondeva ad 11110, prevedeva quattro buchi, lasciando integra la carta nella posizione finale.
Mentre l’Ascii che si usa nei personal computer è di 8 bit, con 256 combinazioni possibili, dando la possibilità di codificare maiuscole, minuscole, cifre, segni di interpunzione e anche lettere accentate, un codice di cinque bit offre molte meno possibilità: due alla quinta, ovvero... solo 32! C’è spazio quindi solo per le lettere maiuscole e per qualche carattere di controllo: spazio, avanzamento di una linea, ritorno del carrello e... cambio modalità. Inserendo il codice apposito era possibile passare dalla modalità Ltrs (lettere) alla modalità Figs (simboli), in cui gli stessi codici delle lettere erano invece associati a cifre numeriche, segni di interpunzione, simboli matematici, caratteri speciali (&, £...).
La foto di un nastro perforato in codice Baudot è visibile su Wikipedia con una definizione sufficiente. Nella parte centrale la striscia era attraversata da una fila di forellini più piccoli di quelli che portavano l’informazione. Forse servivano per assicurare l’allineamento delle varie file col dispositivo di lettura. Erano messi in quella posizione anziché sul bordo in maniera tale da separare in due il codice: da un lato c’erano i primi tre bit, dall’altro gli ultimi due. In tal modo l’operatore poteva evitare di montare il nastro dal lato sbagliato.
Un font gratuito dedicato al Baudot è disponibile su Dafont, creato nel 2008 da Richie Whyte (gratuito solo per uso personale). È stato inserito nella categoria Simboli, ma nella sotto-categoria dedicata ai codici a barre, nella quale di solito la gente non va a sbirciare anche perché l’effetto che si ottiene è monotono e comunque inutilizzabile per i comuni mortali. Nella stessa categoria sono finiti anche il Barmorse e il Morse Tech, che in modi diversi provano a riprodurre il codice morse come un insieme di barre, verticali nel primo caso, oblique nel secondo. Il primo è assolutamente inutilizzabile, visto che non c’è nessuno spazio tra un carattere e l’altro, per cui non si capisce dove finisce una lettera e dove ne comincia un’altra (a differenza dell’Ascii o del Baudot, dove tutte le lettere sono composte dallo stesso numero di bit, nel Morse ogni lettera è composta da una quantità diversa di punti o linee, e non esiste un carattere che indica la separazione tra una parola e l’altra, ovvero lo spazio. È quindi fondamentale che ci sia uno spazio ad separare le lettere una dall’altra, e uno spazio maggiore per separare le parole).
Nel Morse tech un po’ di spazio tra le lettere c’è, ma è difficile da individuare ad occhio. Quindi anche questo è praticamente inutilizzabile.
Su Dafont c’è qualcosa di più adatto per rendere l’idea di questo codice: è il Morse, di Furetto Bislacco, dove le lettere minuscole sono rappresentate con punti e linee, come nel normale uso telegrafico radiantistico, seguiti da una barra (che pure si usa quando qualcuno vuole usare il Morse per lasciare un messaggio scritto). Lo spazio tra le parole è reso solo da un po’ di bianco in più. Inutilizzabili le maiuscole, dove invece manca qualsiasi separazione tra una lettera e l’altra (a meno di non inserirla a mano).
Anche il Bootcamp trascrive il codice come un insieme di punti e linee, senza però allinearli tra di loro, come quando si prova a renderlo a computer, col trattino a mezza altezza a rappresentare la linea, e il punto in basso a rappresentare il punto. A rendere incoerente il tutto c’è la scelta di abbassare l’altezza del trattino in quelle lettere composte solo da trattini, come la M o la O.
Utilizza il codice Morse anche Cesar Mosquera, ma in maniera un po’ bislacca: scarabbocchiando triangoli grandi al posto delle linee e triangoli piccoli al posto dei punti. Ottiene così il Morse Mountain Code.
L’uso di rappresentare le lettere con linee e punti non è una convenzione grafica per visualizzare simboli binari, ma una necessità tecnica. In origine era possibile mandare su una linea elettrica solo una corrente in grado di far scattare un interruttore a distanza che abbassava una puntina fintanto che la corrente arrivava. Sotto la punta con l’inchiostro veniva fatta scorrere una strisciolina di carta. L’operatore che mandava il messaggio non aveva due tasti a disposizione, ma soltanto uno. A seconda del tempo in cui lo teneva premuto, la puntina dall’altra parte tracciava sul nastro scorrevole un segno più o meno lungo, che doveva essere interpretato dal destinatario come punto o linea. E se la digitazione dell’operatore era stata un po’ imprecisa, poteva esserci un margine di ambiguità. Cosa che non avviene nei sistemi veramente binari (a meno di interferenze sulla linea o problemi di apparecchiatura).
Né Furetto Bislacco né Richie Whyte hanno mai caricato altri font sul sito.
Sul web circola la foto di una strisciolina di carta che dovrebbe essere il promo telegramma, col testo “Cosa ha operato Dio?”, (tratto dalla Bibbia, libro dei Numeri). Apparentemente le lettere vennero ottenute senza inchiostro, con tre puntine affiancate che hanno grattato la carta. Comunque, le lettere corrispondenti sono state trascritte a penna sotto ciascun segno in maniera leggibile, mentre sopra c’è, sempre in corsivo, una scritta che commemora la data e le città tra cui è avvenuta la comunicazione (da Baltimora a Washington, sabato 25 maggio 1844).
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