Home page House Industries. Consigli di lettura Hoefler

La home page di House Industries è un po’ scomoda. C’è un’enorme immagine, che supera i confini del mio browser, senza nessuna didascalia, che cambia ogni due secondi, in loop. Passandoci sopra il mouse, lo scorrimento si ferma, ma non compare nessuna indicazione. L’unico modo per sapere a che si riferisce l’immagine è cliccarci sopra. Se non si è abbastanza svelti bisogna aspettare il nuovo ciclo (8 immagini in tutto, senza possibilità di tornare indietro). Un metodo che mi mette un po’ a disagio.
L’azienda non produce soltanto font. Oggi in mostra c’è l’House Industries Lettering Manual, un manuale illustrato di 200 pagine che costa 25 dollari, e che insegna a produrre un lettering professionale.
L’autore è Ken Barber: ha un account Instagram (peccato che il sito diventa sempre meno accogliente per chi non è iscritto: ma almeno per un po’ lascia vedere le anteprime delle immagini caricate).
Il suo manuale viene elencato nell’articolo scritto da Jonathan Hoefler sul sito Typography.com (il sito di Hoefler&Co) dedicato alle letture raccomandate in tempo di reclusione forzata dovuta al coronavirus (l’articolo è di tre giorni fa). Gli altri titoli sono: Word by word, the secret life of dictionaries, di Kory Stamper; Dreyer’s English (An utterly correct guide to clarity and style), di Benjamin Dreyer; Word freak: heartbreak, triumph, genius and obsession in the world of competitive scrabble players, di Stefan Fatsis; e Fake love letters, forged telegrams and prison escape maps: designing graphic props for filmmaking, di Annie Atkins.
Quest’ultimo è abbastanza stuzzicante, dal titolo. Mentre la gente normale, quando guarda un film, si lascia trasportare dalle emozioni e dalla trama, l’esperto di tipografia si sofferma sui dettagli tipografici, e basta qualche imprecisione per rovinargli la visione.
Ci sono quelli che si scandalizzano se in un film ambientato alla fine degli anni Cinquanta c’è un font lanciato all’inizio dei Sessanta. Hoefler non è uno di quelli, visto che dice che anche un font moderno ci potrebbe stare bene, purché sia disegnato per inserirsi in quell’epoca, per sembrare vintage. Gli anacronismi che danno fastidio sono altri: giornali seri con titoli urlati, documenti della guerra fredda impaginati anziché battuti a macchina, cartelli fuori dai negozi dell’epoca di Dickens scritti in lettere minuscole, eccetera eccetera.
Il libro si sofferma sui dettagli. Mi pare di capire che nell’Ottocento le fatture venivano fissate insieme con uno spillo, non con una graffetta. Bisogna fare attenzione anche ai prezzi sulla merce esposta. Inoltre ci sono dettagli a cui i non addetti ai lavori non pensano. Ad esempio, racconta Hoefler, che ha letto il libro, il fatto che bisogna produrre varie copie dello stesso documento, se questo viene maneggiato dagli attori in primo piano e si rovina o deve essere distrutto durante la scena. Se un personaggio straccia un telegramma, e quella scena deve essere ripetuta dieci volte, è chiaro che servono dieci copie di quel telegramma. E se sul documento si nota un dettaglio come una macchia di caffè, bisogna lavorare per riprodurre la stessa macchia su tutte e dieci le copie.

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