Rosetta Stone
Il Rosetta Stone è un font ispirato ai geroglifici egiziani. Una cosa tanto per fare, non troppo curata, con qualche tratto fondamentale mancante. Gran parte dei simboli sono tutti neri su fondo bianco, ma c’è qualche incongruenza: La A e la M che rappresentano due uccelli (avvoltoio e civetta) diversi, hanno una parte outline riempita di bianco. Riflessi simili possono trovarsi anche nel serpente che è stato messo alla V e alla F, e qualche riflesso si nota anche altrove (le onde della N, il becco di U e W, o la focaccia della T).
Il nome del font deriva dalla Stele di Rosetta, quella pietra risalente al secondo secolo avanti Cristo su cui è inciso un decreto in tre diverse grafie: geroglifico, demotico e greco antico. Per la parte geroglifica l’autore del font ha evidentemente utilizzato i segni monoconsonantici, le cui tabelle si possono facilmente trovare anche su Wikipedia, cercando di mettere ogni simbolo nella posizione del suono corrispondente, operazione non sempre agevole perché la stessa consonante poteva avere varie sfumature nella lingua egiziana. Per la parte greca, che occupa la posizione delle minuscole, l’autore ci ha frettolosamente schiaffato delle lettere greche moderne. Che non hanno nulla a che vedere con quelle che si possono vedere sulla parte bassa della Stele di Rosetta. Si trattava ovviamente di lettere maiuscole, mentre quelle inserite nel font sono minuscole.
Completamente trascurata la parte demotica, visto che l’aspetto delle lettere non suscita nel pubblico moderno nessuna impressione, a differenza di quelle greche o egiziane, o anche in altri contesti cuneiformi.
Al momento nella categoria Simboli/Antico di Dafont ci sono vari font geroglifici nella top 25 dei download giornalieri. C’è il Meroitic Hierogliphics, di Reinhold Kainhofer, dai tratti ben marcati; l’Ancient Egyptian Hieroglyphs, di Lene Arendorff, outline dai tratti sottili, scoloriti in piccole dimensioni. C’è poi l’Egyptian Hieroglyphs che invece è una versione in cui i glifi sono tutti neri.
Mentre questi ultimi due coincidono con la tabella che sta su Wikipedia, il primo no.
Non sono gli unici font ispirati all’antico Egitto che finiscono nella top 25: c’è anche il Fonts Vector Hieroglyps di Vector.id (dove ad ogni glifo sono associati vari geroglifici indipendentemente da quello che significano); l’Old Egypt Glyphs e il Greywolf Glyphs, dove si alternano segni monoconsonantici, parole, animali e dei; e il Deities, dove in ogni posizione è inserita la classica raffigurazione di uno degli dei egizi, di profilo, con la testa da animale o con qualche simbolo in alto che lo rende riconoscibile. Nulla a che vedere con la trascrizione dell’antica scrittura egizia.
Trattandosi di simboli, il sito non aggiorna l’anteprima sulla base della parola inserita dall’utente, quindi non permette di confrontare al volo le posizioni corrispondenti in alfabeti diversi (la pagina non contiene solo geroglifici, ma anche cartigli, ornamenti vittoriani o aztechi, statue greche, maschere polinesiane, puttini alati.
Il Rosetta Stone è finito in ultima pagina, nella categoria, con 3 soli download ieri. Alla pari del Khosrau (cuneiforme), mentre hanno fatto peggio ben tre font di simboli maya, data la loro complessità, il fatto che non possono essere utilizzati in nessun contesto, e il fatto di essere sconosciuti a gran parte del pubblico tanto da non evocare una civiltà particolare a prima vista.
Il nome del font deriva dalla Stele di Rosetta, quella pietra risalente al secondo secolo avanti Cristo su cui è inciso un decreto in tre diverse grafie: geroglifico, demotico e greco antico. Per la parte geroglifica l’autore del font ha evidentemente utilizzato i segni monoconsonantici, le cui tabelle si possono facilmente trovare anche su Wikipedia, cercando di mettere ogni simbolo nella posizione del suono corrispondente, operazione non sempre agevole perché la stessa consonante poteva avere varie sfumature nella lingua egiziana. Per la parte greca, che occupa la posizione delle minuscole, l’autore ci ha frettolosamente schiaffato delle lettere greche moderne. Che non hanno nulla a che vedere con quelle che si possono vedere sulla parte bassa della Stele di Rosetta. Si trattava ovviamente di lettere maiuscole, mentre quelle inserite nel font sono minuscole.
Completamente trascurata la parte demotica, visto che l’aspetto delle lettere non suscita nel pubblico moderno nessuna impressione, a differenza di quelle greche o egiziane, o anche in altri contesti cuneiformi.
Al momento nella categoria Simboli/Antico di Dafont ci sono vari font geroglifici nella top 25 dei download giornalieri. C’è il Meroitic Hierogliphics, di Reinhold Kainhofer, dai tratti ben marcati; l’Ancient Egyptian Hieroglyphs, di Lene Arendorff, outline dai tratti sottili, scoloriti in piccole dimensioni. C’è poi l’Egyptian Hieroglyphs che invece è una versione in cui i glifi sono tutti neri.
Mentre questi ultimi due coincidono con la tabella che sta su Wikipedia, il primo no.
Non sono gli unici font ispirati all’antico Egitto che finiscono nella top 25: c’è anche il Fonts Vector Hieroglyps di Vector.id (dove ad ogni glifo sono associati vari geroglifici indipendentemente da quello che significano); l’Old Egypt Glyphs e il Greywolf Glyphs, dove si alternano segni monoconsonantici, parole, animali e dei; e il Deities, dove in ogni posizione è inserita la classica raffigurazione di uno degli dei egizi, di profilo, con la testa da animale o con qualche simbolo in alto che lo rende riconoscibile. Nulla a che vedere con la trascrizione dell’antica scrittura egizia.
Trattandosi di simboli, il sito non aggiorna l’anteprima sulla base della parola inserita dall’utente, quindi non permette di confrontare al volo le posizioni corrispondenti in alfabeti diversi (la pagina non contiene solo geroglifici, ma anche cartigli, ornamenti vittoriani o aztechi, statue greche, maschere polinesiane, puttini alati.
Il Rosetta Stone è finito in ultima pagina, nella categoria, con 3 soli download ieri. Alla pari del Khosrau (cuneiforme), mentre hanno fatto peggio ben tre font di simboli maya, data la loro complessità, il fatto che non possono essere utilizzati in nessun contesto, e il fatto di essere sconosciuti a gran parte del pubblico tanto da non evocare una civiltà particolare a prima vista.
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