Delmax
Sul web non si trova praticamente nulla su una pressa da stampa chiamata Delmax. Però a lei è stato dedicato un bel filmato caricato su Youtube dall’utente Studio Me. Nessuna spiegazione, didascalia in lingua giapponese e nessuna persona visibile nel filmato (a parte le mani mentre lavora). Però le inquadrature sono di qualità, il montaggio è professionale. Manca qualsiasi colonna sonora, ma l’audio è quello dell’ambiente, ripreso con un microfono estremamente sensibile. Guardare il filmato con il volume alto è un’esperienza strana, si sente perfino il grattare della matita sul foglio, e poi il fracasso fatto dalla macchina in funzione, con lo sbuffare ritmico delle pompette che devono prendere un foglio alla volta aspirando sulla sua superficie.
Il lavoro di cui il documentarista ha seguito le fasi prevedeva di stampare tre volte lo stesso disegno geometrico (un cerchio dentro un cerchio di diametro doppio) in tre colori diversi. Facile da fare, a computer: si realizza il file con l’immagine complessa (con tutti i colori) e poi si clicca sull’apposito pulsante. Invece con la pressa da stampa è tutto più complesso: bisogna prendere la forma in rilievo che deve essere stampata e inserirla all’interno di un telaio, montando insieme dei blocchetti metallici di spessori e lunghezze diversi, che poi vanno fissati con appositi strumenti che si allargano girando una chiavetta da inserire in un buco, per mantenerla in posizione. Sistemato il telaio bisogna occuparsi del colore, che va preso con una paletta da un apposito barattolo e poi spalmato sui rulli, che vanno lasciati girare per ottenere una distribuzione uniforme dell’inchiostro.
I fogli vanno sistemati tutti in una pila che viene tenuta ferma da un apposito braccio metallico, la cui lunghezza e larghezza deve essere regolata a mano, visto che è adatto a qualsiasi formato.
A questo punto la macchina può entrare in funzione e lavorare in automatico: prende i fogli uno alla volta, li stampa, li fa scorrere su un nastro trasportatore sotto e li impila di nuovo.
Fatto questo il disegno è stato stampato solo nel primo colore. Per lavorare sul secondo colore bisogna prima pulire la macchina. Si fanno girare i rulli a vuoto, versandoci sopra un liquido (un solvente?). L’inchiostro precedente sgocciola giù lasciando i rulli puliti e pronti ad essere inchiostrati col nuovo colore.
Anche l’immagine in rilievo deve essere pulita completamente prima di essere inserita nel telaio, ovviamente regolando di nuovo i blocchetti metallici per metterla nella nuova posizione.
Si ripete il lavoro di stampa per il secondo colore, poi nuova ripulitura, poi terzo colore.
Per aggiungerci la parola Albatro in fondo, la macchina deve entrare in funzione una quarta volta.
Certo, l’atmosfera del filmato è un po’ onirica: senza rumori del traffico, senza le chiacchiere di una vera tipografia, senza il sole che entra dalle finestre... senza nemmeno il canticchiare dell’operaio che aziona la macchina. Però è un bel filmato, rende l’idea.
Che “Delmax” sia il nome o meglio la marca della macchina lo si capisce dalle inquadrature, quando la macchina è vista di profilo (es. minuto 3:30). E però i motori di ricerca non restituiscono praticamente nessuna immagine di apparecchiature con questo nome.
A proposito dell’atmosfera di questo video: ho visto un altro documentario in ambito tipografico che punta sul silenzio, sul captare i rumori e sull’inquadrare nel dettaglio le varie fasi delle operazioni. In quel caso il protagonista aveva una faccia, un nome e un cognome: Giuseppe Baracchino, ex capo del reparto punzoni della Nebiolo di Torino. Il documentario lo ritrae mentre incide dei punzoni col metodo tradizionale, ovvero limando un blocchetto di metallo che osserva attraverso una lente d’ingrandimento. All’epoca in cui l’ho visto mi aveva lasciato abbastanza di sasso, perché avevo appena visto un filmato su come lavorava lo stabilimento industriale Simoncini: i disegni venivano realizzati in grande su fogli, e per arrivare ai punzoni c’erano due passaggi attraverso due diversi pantografi. L’operatore in quel caso doveva solo ricalcare il modello che gli veniva fornito, e il macchinario eseguiva l’operazione certosina in automatico.
Ho cercato su Youtube “Incisore caratteri tipografici” e non non ho trovato il filmato sull’incisore italiano. Per fortuna quando ne avevo parlato su questo blog lo avevo linkato, e sono riuscito a ritrovarlo: si intitola The Last Punchcutter (chiaro che non lo trovavo!) e, anche se è stato realizzato per “Griffo, la grande festa delle lettere”, evento organizzato in Italia, e anche se gli autori sono italiani (Affanni e Chiapparini) e anche se la citazione aggiunta in didascalia è di un editore italiano (Tallone) tutta la didascalia è scritta in inglese.
Il filmato giapponese della Delmax in funzione ha totalizzato 32 mila visualizzazioni dall’aprile 2017. The Last Punchcutter si è fermato a 2.700 dal luglio 2016. Purtroppo nemmeno questo blog gli ha mandato traffico finora, a giudicare dalle statistiche relative a quel post.
Il lavoro di cui il documentarista ha seguito le fasi prevedeva di stampare tre volte lo stesso disegno geometrico (un cerchio dentro un cerchio di diametro doppio) in tre colori diversi. Facile da fare, a computer: si realizza il file con l’immagine complessa (con tutti i colori) e poi si clicca sull’apposito pulsante. Invece con la pressa da stampa è tutto più complesso: bisogna prendere la forma in rilievo che deve essere stampata e inserirla all’interno di un telaio, montando insieme dei blocchetti metallici di spessori e lunghezze diversi, che poi vanno fissati con appositi strumenti che si allargano girando una chiavetta da inserire in un buco, per mantenerla in posizione. Sistemato il telaio bisogna occuparsi del colore, che va preso con una paletta da un apposito barattolo e poi spalmato sui rulli, che vanno lasciati girare per ottenere una distribuzione uniforme dell’inchiostro.
I fogli vanno sistemati tutti in una pila che viene tenuta ferma da un apposito braccio metallico, la cui lunghezza e larghezza deve essere regolata a mano, visto che è adatto a qualsiasi formato.
A questo punto la macchina può entrare in funzione e lavorare in automatico: prende i fogli uno alla volta, li stampa, li fa scorrere su un nastro trasportatore sotto e li impila di nuovo.
Fatto questo il disegno è stato stampato solo nel primo colore. Per lavorare sul secondo colore bisogna prima pulire la macchina. Si fanno girare i rulli a vuoto, versandoci sopra un liquido (un solvente?). L’inchiostro precedente sgocciola giù lasciando i rulli puliti e pronti ad essere inchiostrati col nuovo colore.
Anche l’immagine in rilievo deve essere pulita completamente prima di essere inserita nel telaio, ovviamente regolando di nuovo i blocchetti metallici per metterla nella nuova posizione.
Si ripete il lavoro di stampa per il secondo colore, poi nuova ripulitura, poi terzo colore.
Per aggiungerci la parola Albatro in fondo, la macchina deve entrare in funzione una quarta volta.
Certo, l’atmosfera del filmato è un po’ onirica: senza rumori del traffico, senza le chiacchiere di una vera tipografia, senza il sole che entra dalle finestre... senza nemmeno il canticchiare dell’operaio che aziona la macchina. Però è un bel filmato, rende l’idea.
Che “Delmax” sia il nome o meglio la marca della macchina lo si capisce dalle inquadrature, quando la macchina è vista di profilo (es. minuto 3:30). E però i motori di ricerca non restituiscono praticamente nessuna immagine di apparecchiature con questo nome.
A proposito dell’atmosfera di questo video: ho visto un altro documentario in ambito tipografico che punta sul silenzio, sul captare i rumori e sull’inquadrare nel dettaglio le varie fasi delle operazioni. In quel caso il protagonista aveva una faccia, un nome e un cognome: Giuseppe Baracchino, ex capo del reparto punzoni della Nebiolo di Torino. Il documentario lo ritrae mentre incide dei punzoni col metodo tradizionale, ovvero limando un blocchetto di metallo che osserva attraverso una lente d’ingrandimento. All’epoca in cui l’ho visto mi aveva lasciato abbastanza di sasso, perché avevo appena visto un filmato su come lavorava lo stabilimento industriale Simoncini: i disegni venivano realizzati in grande su fogli, e per arrivare ai punzoni c’erano due passaggi attraverso due diversi pantografi. L’operatore in quel caso doveva solo ricalcare il modello che gli veniva fornito, e il macchinario eseguiva l’operazione certosina in automatico.
Ho cercato su Youtube “Incisore caratteri tipografici” e non non ho trovato il filmato sull’incisore italiano. Per fortuna quando ne avevo parlato su questo blog lo avevo linkato, e sono riuscito a ritrovarlo: si intitola The Last Punchcutter (chiaro che non lo trovavo!) e, anche se è stato realizzato per “Griffo, la grande festa delle lettere”, evento organizzato in Italia, e anche se gli autori sono italiani (Affanni e Chiapparini) e anche se la citazione aggiunta in didascalia è di un editore italiano (Tallone) tutta la didascalia è scritta in inglese.
Il filmato giapponese della Delmax in funzione ha totalizzato 32 mila visualizzazioni dall’aprile 2017. The Last Punchcutter si è fermato a 2.700 dal luglio 2016. Purtroppo nemmeno questo blog gli ha mandato traffico finora, a giudicare dalle statistiche relative a quel post.
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