Linotron 505

Mi lamentavo che sul web c’era poco materiale sulla fotocomposizione e sulle matrici che si usavano all’epoca, ma esageravo. In effetto non è che il materiale non c’è: solo che è nascosto. Adesso ho trovato su Vimeo un vecchio documentario di 15 minuti che doveva servire a presentare la Linotron 505, una macchina per la composizione dei testi costruita dalla Mergenthaler Linotype, una delle aziende leader del settore anche ai tempi della composizione a caldo.
Il video doveva servire per introdurre ai potenziali clienti una tecnologia a quell’epoca avveniristica e innovativa. L’anno è il 1969. L’uso del computer per la fotocomposizione era solo una vaga possibilità futura. I computer inquadrati nel filmato sono i mainframe Univac e Pdp che occupavano un intero ufficio. La stessa Linotron è composta da due mobili: sarà larga quanto cinque lavastoviglie una di fianco all’altra, più le apparecchiature varie appoggiate sopra. La memoria su cui si doveva salvare il testo da impaginare era un nastro di carta perforata, che doveva essere messo a punto con una speciale attrezzatura collegata ad una macchina da scrivere a parte. Sulla macchina c’era un pannello di controllo con molti pulsanti, per decidere cose tipo la grandezza del testo o l’interlinea penso. Potevano essere pigiati e rimanevano incastrati in posizione, con luce accesa per indicare quale era l’opzione scelta. Un monitor mostrava le lettere che venivano proiettate di volta in volta: nulla a che vedere col what-you-see-is-what-you-get, nessuna anteprima, ma solo una lettera per volta, in rapida sequenza tanto da renderle indistinguibili. Il font era una scheda con sedici finestrelle: su ogni finestrella erano disegnati in trasparenza 16 simboli. Quelllo desiderato veniva proiettato grazie a un tubo catodico su carta fotosensibile. Nel documentario si vede nel dettaglio il complicato processo che serviva per arrivare al font: le lettere dovevano essere disegnate in grande, poi ritagliate, poi fotografate con un apparecchio particolare, poi la griglia veniva composta, e poi c’era un altro passaggio fotografico per ottenerla, con apparecchi che dovevano evitare il minimo movimento per non rovinare il risultato finale.
La tecnica fotografica era anche alla base del funzionamento della macchina. La carta fotografica veniva avvolta dentro una scatola per poter essere poi trasferita e sviluppata senza vedere la luce prima che l’immagine fosse fissata.
Per cambiare il font bastava cambiare la scheda aprendo un apposito sportello, ma per ottenere un effetto condensato o espanso mi pare di capire si potesse intervenire sul font stesso, senza nessun costo aggiuntivo, probabilmente spostando le lenti. Chiaro che si trattasse di dettagli di forte attrattiva, in un’epoca in cui non soltanto la versione condensata o espansa erano font a parte, ma anche le varie dimensioni di un font lo erano, e quindi rappresentavano un costo.
Mi pare di capire che anche certe schede elettroniche potevano essere sostituite a seconda delle evenienze, ma non ho approfondito.
In sei anni sul web il documentario è stato visto oltre 26 mila volte. Una manciata di commenti, alcuni dei quali molto significativi, perché fanno riferimento al ricordo della macchine in uso e ai dettagli dei circuiti con cui erano costruite (transistor in gran parte, ma anche circuiti integrati).

Commenti

  1. Consiglio vivamente la visione del documentario che racconta molto bene la transizione dalla fusione a caldo a quella cosiddetta “fredda”.
    https://www.youtube.com/watch?v=OtTLTIpha9U

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