Tipografia elettronica, Apple
Nel paragrafo successivo l’enciclopedia è ancora più esplicita: “È solo per analogia che il termine può essere applicato a qualcosa in cui il materiale non sia composto di parole che rimangono stazionarie su superfici stabili. La lettera creata elettronicamente che vive la sua breve vita mentre si muove su uno schermo a tubo catodico non è un oggetto tipografico”.
In realtà col procedere della tecnologia non ha più senso fare questa distinzione, sempre che l’abbia mai avuto. È vero che prima spesso parole su carta e sullo schermo avevano funzioni completamente diverse: non si può paragonare un’edizione di pregio della Bibbia con i titoli di coda che scorrono velocemente alla fine di un programma tv, o con una schermata che nel corso di un tg fissa alcuni concetti solo per pochi secondi. Ma a parte che le scelte sono le stesse (bisogna lavorare su font, grandezze, colori, distanze dal bordo, per ottenere il miglior risultato possibile), l’invenzione del computer ha sovrapposto in maniera indistricabile la stampa su carta e ciò che può apparire su un monitor (che fino a qualche anno fa era proprio a tubo catodico).
Qualsiasi libro stampato lo si compone al computer: il contenuto che si vede sul monitor e quello che si vede su carta è lo stesso. E il monitor non serve necessariamente solo al tipografo in fase di impaginazione: l’utente finale può scaricare direttamente un pdf e leggere il contenuto in digitale, se non lo vuole stampare. Lo stesso tipo di carattere (che comunque viene disegnato tramite un computer) può essere usato tanto per stampare un opuscolo su carta quanto per impaginare un sito web.
Insomma, limitare il concetto di tipografia alla stampa su carta oggi non corrisponde più all’uso corrente che si fa della parola in questione.
Non a caso su Wikipedia in inglese esiste una pagina chiamata “Typography of Apple Inc.” che ricostruisce quali tipi di carattere la Apple ha usato non soltanto nella pubblicità e nel design dei prodotti, ma anche nei suoi sistemi operativi, per visualizzare i nomi di file e le voci nei menu, ad esempio.
Per quanto riguarda i primi font usati per l’interfaccia utente, l’articolo si limita a dire che venivano utilizzati dei caratteri bitmap adatti alle limitate capacità grafiche dei primi sistemi, senza soffermarsi sulle dimensioni (a quanto ne so sistemi contemporanei inserivano le lettere in una griglia 8x8). La forma di v e w nel Lisa del 1983 era caratteristica, dice l’articolo.
Nell’84 viene introdotto il Chicago, nel 97 sostituito dal Charcoal. Doveva trattarsi in entrambi i casi di caratteri bitmap, si suppone con dimensioni maggiori rispetto a quelli precedenti (ma di quanto?).
Nella voce dedicata al Chicago si parla di una prima versione in 12 pt (pixels?), sostituita poi da una versione TrueType (scalabile).
L’articolo di Wikipedia contiene ben 10 paragrafi dedicati ai font utilizzati nell’interfaccia utente, 6 per quelli usati nel marketing (ad esempio il logo dell’azienda) e uno soltanto per quanto riguarda le tastiere: anche le lettere che compaiono sui tasti hanno avuto bisogno di uno studio particolare. Inizialmente veniva utilizzato l’Univers 47 (condensato leggero obliquo). Sulle tastiere più recenti, dal 2015 in poi, invece compare il San Francisco, ispirato all’Helvetica e al Din e progettato appositamente per la Apple.
La tipografia della Apple deve interessare particolarmente agli italiani, visto che ad occuparsene è stato un italiano, Antonio Cavedoni, che nel 2015 ha presentato le caratteristiche del font San Francisco, il nuovo font di sistema, alla conferenza mondiale degli sviluppatori Apple in California (su Youtube c’è il video di mezz’ora della presentazione, in lingua inglese).
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