Tricromia
Cercando “tricromia” sul web si trova ben poco. Google ci dice che si tratta di un “procedimento di stampa che consiste nella riproduzione dell’immagine di un oggetto nei suoi colori naturali mediante la sovrapposizione di tre matrici inchiostrate ciascuna con uno dei colori fondamentali (giallo, magenta, ciano)”.
Sappiamo che inizialmente la stampa veniva effettuata in un unico colore: la bibbia di Gutenberg contiene dei segni rossi sulle maiuscole solo perché vennero aggiunti a mano dopo la stampa. In seguito venne in mente l’idea di realizzare stampe con un numero maggiore di colori. Bastava passare lo stesso foglio più volte sotto la pressa: prima per stampare un colore, poi per un altro e così via. Ovviamente era importante un’estrema precisione nell’allineare il disegno, perché se la nuova componente di colore era spostata solo di pochi millimetri rispetto a dove sarebbe dovuta stare, l’effetto ottenuto sarebbe stato sgradevole. I passaggi sotto la pressa potevano essere anche numerosi, a seconda di quanti colori dovevano comparire. I quali venivano preparati separatamente con la sfumatura giusta. In seguito vennero realizzati procedimenti che sfruttavano la sovrapposizione dei vari colori. Così come era stato inventato il sistema halftone per ottenere le varie sfumature di grigio in un’immagine in bianco e nero (scomponendola in una serie di pallini di dimensioni diverse a seconda della luminosità in ogni singolo punto), così venne ideato un sistema per ottenere tutte le sfumature di colore necessarie soltanto sulla base di tre colori fondamentali: giallo, magenta e ciano.
In effetti i nomi di questi tre colori non ci risultano nuovi, perché sono quelli che stanno tuttora alla base dei meccanismi delle stampanti. Le cartucce di questi tre colori si vendono separatamente, ma a questi colori se ne aggiunge un altro: il nero, che permette di dare alle immagini una migliore definizione. Quindi non si parla di tricromia, ma di quadricromia.
Un’altra forma di tricromia magari è quella usata sui monitor per computer, sulle televisioni, sui display dei cellulari. In questo caso però le varie sfumature si ottengono con la combinazione di tre colori diversi: rosso, verde e blu.
Utilizzando le sigle inglesi, quest’ultimo sistema viene chiamato RGB (red, green, blue), mentre l’altro è CMY (cyan, magenta, yellow; col nero diventa CMYK).
Perché questi due sistemi diversi? Perché questi colori reagiscono in maniera diversa a seconda delle diverse superfici su cui devono comparire. Si parla di tricromia additiva e sottrattiva.
Il monitor di un computer è composto di pixel disposti in una griglia. Ogni pixel è composto di tre diverse componenti, una rossa, una verde e una blu. Se tutte e tre le componenti sono spente per ciascun pixel, sullo schermo compare il colore nero. Se tutte e tre sono accese al massimo, sullo schermo compare il colore bianco. Le combinazioni intermedie si ottengono dosando la luminosità di ciascun pixel. Questa è tricromia additiva: più aumenta il valore di ciascuna componente più aumenta la luminosità del risultato finale.
Se invece utilizziamo gli altri tre colori su un foglio di carta, otteniamo il risultato opposto. Visto che il foglio è bianco, quando versiamo poche quantità di ciascun colore o non ne versiamo affatto, la superficie del foglio resta bianca e luminosa. Più la sovraccarichiamo di punti ciano, magenta e giallo, più la superficie appare scura.
Un’altra differenza notevole tra i due sistemi è che mentre sullo schermo la luminosità di ogni singolo pixel viene dosata tra almeno 255 livelli diversi, sulla carta il colore viene versato sempre nella stessa sfumatura: ciò che cambia è la dimensione del pallino che viene impresso in ciascun punto della grigia (nei sistemi più moderni le forme non sono necessariamente circolari). Quindi più i pallini sono grandi e si sovrappongono tra di loro, meno si vede il bianco di sfondo. Tricromia sottrattiva.
Mentre le moderne stampanti per pc sono studiate in maniera tale da ottenere una stampa il più possibile in alta definizione, nella quale non si distingue nessuna griglia, in alcuni sistemi industriali la griglia è comunque riconoscibile, per quanto si cerchi di mantenere i punti il più possibile in piccole dimensioni.
Un esempio è costituito dai quotidiani cartacei, dove tuttora le fotografie vengono stampate in maniera tale che la qualità è notevolmente inferiore a quella che si può trovare sulle riviste, o quella che si può ottenere con la propria stampante domestica.
Sappiamo che inizialmente la stampa veniva effettuata in un unico colore: la bibbia di Gutenberg contiene dei segni rossi sulle maiuscole solo perché vennero aggiunti a mano dopo la stampa. In seguito venne in mente l’idea di realizzare stampe con un numero maggiore di colori. Bastava passare lo stesso foglio più volte sotto la pressa: prima per stampare un colore, poi per un altro e così via. Ovviamente era importante un’estrema precisione nell’allineare il disegno, perché se la nuova componente di colore era spostata solo di pochi millimetri rispetto a dove sarebbe dovuta stare, l’effetto ottenuto sarebbe stato sgradevole. I passaggi sotto la pressa potevano essere anche numerosi, a seconda di quanti colori dovevano comparire. I quali venivano preparati separatamente con la sfumatura giusta. In seguito vennero realizzati procedimenti che sfruttavano la sovrapposizione dei vari colori. Così come era stato inventato il sistema halftone per ottenere le varie sfumature di grigio in un’immagine in bianco e nero (scomponendola in una serie di pallini di dimensioni diverse a seconda della luminosità in ogni singolo punto), così venne ideato un sistema per ottenere tutte le sfumature di colore necessarie soltanto sulla base di tre colori fondamentali: giallo, magenta e ciano.
In effetti i nomi di questi tre colori non ci risultano nuovi, perché sono quelli che stanno tuttora alla base dei meccanismi delle stampanti. Le cartucce di questi tre colori si vendono separatamente, ma a questi colori se ne aggiunge un altro: il nero, che permette di dare alle immagini una migliore definizione. Quindi non si parla di tricromia, ma di quadricromia.
Un’altra forma di tricromia magari è quella usata sui monitor per computer, sulle televisioni, sui display dei cellulari. In questo caso però le varie sfumature si ottengono con la combinazione di tre colori diversi: rosso, verde e blu.
Utilizzando le sigle inglesi, quest’ultimo sistema viene chiamato RGB (red, green, blue), mentre l’altro è CMY (cyan, magenta, yellow; col nero diventa CMYK).
Perché questi due sistemi diversi? Perché questi colori reagiscono in maniera diversa a seconda delle diverse superfici su cui devono comparire. Si parla di tricromia additiva e sottrattiva.
Il monitor di un computer è composto di pixel disposti in una griglia. Ogni pixel è composto di tre diverse componenti, una rossa, una verde e una blu. Se tutte e tre le componenti sono spente per ciascun pixel, sullo schermo compare il colore nero. Se tutte e tre sono accese al massimo, sullo schermo compare il colore bianco. Le combinazioni intermedie si ottengono dosando la luminosità di ciascun pixel. Questa è tricromia additiva: più aumenta il valore di ciascuna componente più aumenta la luminosità del risultato finale.
Se invece utilizziamo gli altri tre colori su un foglio di carta, otteniamo il risultato opposto. Visto che il foglio è bianco, quando versiamo poche quantità di ciascun colore o non ne versiamo affatto, la superficie del foglio resta bianca e luminosa. Più la sovraccarichiamo di punti ciano, magenta e giallo, più la superficie appare scura.
Un’altra differenza notevole tra i due sistemi è che mentre sullo schermo la luminosità di ogni singolo pixel viene dosata tra almeno 255 livelli diversi, sulla carta il colore viene versato sempre nella stessa sfumatura: ciò che cambia è la dimensione del pallino che viene impresso in ciascun punto della grigia (nei sistemi più moderni le forme non sono necessariamente circolari). Quindi più i pallini sono grandi e si sovrappongono tra di loro, meno si vede il bianco di sfondo. Tricromia sottrattiva.
Mentre le moderne stampanti per pc sono studiate in maniera tale da ottenere una stampa il più possibile in alta definizione, nella quale non si distingue nessuna griglia, in alcuni sistemi industriali la griglia è comunque riconoscibile, per quanto si cerchi di mantenere i punti il più possibile in piccole dimensioni.
Un esempio è costituito dai quotidiani cartacei, dove tuttora le fotografie vengono stampate in maniera tale che la qualità è notevolmente inferiore a quella che si può trovare sulle riviste, o quella che si può ottenere con la propria stampante domestica.
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